Eugenio Nastasi, Un sogno guidato, Lepisma, 2009
Antonio De Marchi - Gherini
Quello che Eugenio Nastasi ci consegna è un libro dalle varie interpretazioni possibili. Dialogo con sé stesso o con un altro/a che fa capolino. Discorso e dettato poetico volutamente basso nei toni e nella cernita dei lemmi. E d’altra parte lui stesso ci facilita il compito.
Scrivo su note basse
chiosando i fatti della vita
e non perdere memoria dei pensieri
che segnano gli errori.
Note subliminali ci guidano,
labirinto segreto
tra il bene e il male come trama
di un broccato.
Liberi?
L’intreccio ci irride e debole il suono
della tua nota
lotta in attesa di essere seguita.
Alcuni tracciati della poesia contemporanea sembrano passare per cunicoli forzati, per aperture ove il rovello dello spirito non cerca di riplasmarsi per delimitare o contenere.
Non è così per il vissuto e l’immaginario rappresentato in queste pagine di Eugenio Nastasi.
Lieve e sottaciuta, ma presente, un’ironia amara ci conduce ad una sorta di cadenzato passo epigrammatico. Il discorso esplorativo tiene ben presente gli ultimi esiti della psicanalisi e della psicosintesi applicata all’arte. Potremmo parlare di ‘poesia scientifica’ nella disanima dei sentimenti umani, degli umori e delle folgorazioni che appartengono e pertengono all’essere umano e alla vita quotidiana.
Insomma la parola feriale di Nastasi non è, come in molta poesia attuale, il labirinto chiuso della propria coscienza, è parola evocativa di rappresentazione della coscienza.
Leggiamo training autogeno:
Riposati, mio cuore, dormi, non é
così vicina, né legata al polso
che batte, l’ora che può cambiare
il corso della tua vicenda,
niente sprona più intensamente
l’avidità della luce
se non la gioia e la paura di sapere;
…………………………………
Bisogna riconoscere ad Eugenio Nastasi un tenace lavoro di lima, di scorporo di concetti e levature, per lasciare il netto e non il lordo di certa poesia prolissa e vaniloquente.
Lavora di bulino e anche di raspa: Il respiro a volte si fa affannoso e grave, ma poi si riprende. Sotteso al testo, non poi tanto nascosta, vi è una fede cristica che lo sorregge e corrobora. In altro luogo ho parlato di somiglianza a certa poesia anglosassone per l’uso del quotidianese e per la folgorazione di certe immagini icastiche, una lussureggiante descrizione dell’animo umano e delle sue pulsioni, anche le più nascoste e dissimulate, inserite in un paesaggio interiore ed esteriore quasi metafisico.
A volte i testi paiono prose poetiche di una semplice e luminosa chiarezza. Paesaggi illuminati e compenetrati dal motivo amoroso. Viene alla mente il miglior Cardarelli dove l’intensa riflessione brucia il fondo prosastico e alimenta quel martellante recitativo, quel monologo che giustamente fu detto drammatico.
Poesia autobiografica la si potrebbe definire, ma di un autobiografismo che non ha nulla di intimistico, o quand’anche lo sfiora, lo fa con grazia leggera.
Ora sarebbe il caso di illuminare o abbuiare il lettore con altre citazioni, ma credo di aver detto l’essenziale e per il resto rimando alla lettura della raccolta, compatta e coesa nel suo dire.
Il poeta offre un lavoro che si distingue per la tendenziale organicità e completezza, mettendo in essere l’energico fluire del verso che, come limpida acqua lustrale, purifica lo sguardo e invita a seguirlo in questo suo cammino nel paesaggio interiore dell’anima e nel suo viaggio verso l’infinito. Anche se il nostro i piedi li tiene saldamente ancorati a terra, buon per lui, con alcuni punti fermi, che come dicevo poc’anzi, gli derivano da un fede cristiana e cattolica priva di dubbi, almeno nei suoi contenuti essenziali.