Tu sei qui: Portale PIAZZA 1 BIBLIOTECA Giampiero Neri, Paesaggi inospiti, Mondadori, 2009

Giampiero Neri, Paesaggi inospiti, Mondadori, 2009

Antonio De Marchi - Gherini

Se dobbiamo crederci, Paesaggi inospiti, dovrebbe essere l’ultima fatica poetica di Giampiero Neri, e titolo mai fu più calzante per i tempi e i luoghi, del corpo e dello spirito, che viviamo in questo primo scorcio del nuovo secolo e del terzo millennio dell’era cristiana.

Come nelle precedenti raccolte, più volte rimaneggiate, accorpate, limate; Paesaggi inospiti non è terra di spreco. Si ravvisa una levigatezza di linguaggio e una strutturale e sapiente sintassi classica che  è merce rara di questi tempi ,sia in prosa che in poesia.

Linguaggio dicevo, e d’altra parte già sottolineato da più parti, ridotto alla pura essenza, non solo controllo dello scialo verbale ma anche emozionale, questa è la cifra stilistica di Neri, che ne fa un caso unico nel panorama della poesia contemporanea italiana.

Non è neppure regione di canti salmodianti o di tiritere, tanto per riempire pagine, anche se una religione laica, una pietas per gli uomini, gli animali e le cose è ben presente; religione intesa come religo: tenere insieme, prima che il tempo cancelli tutto.

Il poeta scava minuziosamente  in profondità alla ricerca dell’eterna sorgente dell’essere e dell’esserci , qui e ora, con il suo carico di memoria dolente ed euforica ad un tempo. Un euforia particolare, quella gioia che scaturisce per improvvise folgorazioni di memoria che una via, un monumento, una piazza, anche solo una nenia o un profumo, ci riporta magicamente indietro nel tempo, ladro dalle mani rapaci.

Con un amore quasi maniacale, parrebbe che il nostro si trovi più a suo agio con gli animali che con gli esseri umani, e come dargli torto. Queste creature, a volte indifese, non sanno commettere le atrocità che l’uomo d’oggi come quello di ieri è capace di mettere in atto.

Amore per gli animali, anche se a volte usato come pretesto descrittivo, per raccontare altro, che ricordano il Gozzano dei Colloqui. Ma le sue poesie, da sempre, fanno venire alla memoria le nature ‘morte? di Morandi. Spoglie all’osso ma con una luce sempre crescente, cambio d’angolo, aggiustamento di prospettiva o ‘occhio di bue’, per illuminare zone d’ombra.

Eppure, pur nel verso libero, le sue poesie hanno un ritmo, una musicalità interiore, il suo, però, è un solfeggiare a togliere, più che a mettere. Quasi a scolpire una sintesi nel granito, più che a scrivere, conscio che tanto rimane poco o nulla di tutto l’affannarsi a vivere e a scrivere.

Per dirla con Paul Valéry: ”Quello che colpisce in lui e ce lo rende vivo, è la consapevolezza di sé; dell’essere interamente raccolto entro la propria attenzione; e l’acuta coscienza delle operazioni del pensiero, coscienza così volontaria e così esatta che può fare dell’Io uno strumento la cui infallibilità dipende soltanto dal grado di coscienza che egli ne ha”.

La vita di ognuno diventa paradigma del male e della sofferenza universale:

La madre non ne aveva sopportato il lutto,

ed era stata trovata annegata

nella piscina della villa,

i suoi gioielli in ordine sul bordo

senza nessun messaggio.

E qui un dolore atroce, quando il poeta aveva solo diciotto anni, dolore che si sommava ad altro dolore di cui, dopo un rovello durato una vita, Neri è riuscito a ‘liberarsi’ calibrando il tiro al millimetro.

Quella mattina di novembre

aveva visto l’arrivo di suo padre

davanti alla scalinata del Terragni.

Nell’abbracciarlo la bicicletta era caduta a terra,

“ se erano tutti da ammazzare”

aveva detto “doveva essere l’ultimo”.

 Ma come sfuggire all’idea che:

A sentire il contadino

che guidava il carretto

l’asino sia stato colpito

da una pallottola vagante

Si era trovato sulla scena

di un crocevia conteso

negli ultimi sussulti della guerra

e come un eroe di Metastasio

vi era condotto a morire.

Questi versi, che idealmente chiudono la trilogia iniziata con L’abito occidentale del vestito (1976), seguita poi da Armi e mestieri (2004) che includeva e arricchiva Teatro naturale (1998), hanno la forza quieta della memoria che resta tale come sigillata in istantanee senza tempo, che forse ingialliranno un poco, ma, sia pure con il pudore del nascondimento e la rappresentazione mimetizzata di un ‘bestiario sociale’, hanno la  peculiarità di ridare dignità e senso ai fatti e alla realtà vissuta ma sempre presente.

Il poeta però é cosciente che tutto scorre, o come direbbe un buon buddista, tutto è impermanente, ma  lo sforzo e la ‘fatica’ della scrittura è proprio questo remare controcorrente per risalire al punto alfa, da dove nascono e si generano tutti gli eventi del destino personale, epperò universali se è vero, come amava ripetere David Maria Turoldo, che ogni uomo è un’esperienza unica e irripetibile, con tutto il suo carico di eventi, di gioie, di sofferenze, insomma quella che con un termine abusato, ma che trova pochi sinonimi, si chiama vita.

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