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Matteo Bianchi, Fischi di merlo, Edizioni del Leone, 2011

Antonio Spagnuolo

La trasparenza ricercata di alcune luminosità stilistiche che questo giovanissimo autore offre tra versi molto vicini alla musicalità del pensiero e della creatività riesce di pagina in pagina a coinvolgere il lettore per quella soffice e malcelata saggezza che si annida corposa nel “dettato”.

“Facciamo così: / tu spegni la luna, / io raccolgo i cocci / di stelle brillate / e arrotolo il cielo, / persiano di fine fattura. / La mia luna / si è persa. / Mi avanza/ il solito buio / marcio / e stramarcio.”

Qualche segnale della tradizione arricchisce la scrittura con l’insistere di figure e colori poeticamente compiuti, nel mentre il quotidiano con la sua semplicità e la sua imprevedibile oscillazione tesse chiusure esistenziali.

“Matteo Bianchi – scrive Mario Specchio in quarta di copertina – ha introiettato la lezione di Montale e < gli schiocchi di merli > del poeta ligure sono divenuti < fischi > suoni prossimi alla vocalità eppure sempre trattenuti in un al di qua della coscienza dove la città e le sue strade sospese in una magia dimessa, gli amici gli e amori, i ricordi e i presagi parlano solo quando tutto è stato detto e le parole sono chiamate a testimoniare, attraverso un gioco di echi e di rimandi analogici, ciò che resta di quel silenzio.”

Ferrara, la città natale, appare in tutta la sua fascinazione per quelle armonie che palazzi e strade e riflessi e penombre sono capaci di miscelare alle magie del rimembrare, per una poesia che promette visioni e note.

Il sogno trascina la memoria con una sua propria musicalità tra l’umana carezza e silenzi pulsanti.

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