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SPLENDORE DEL VENTO. Il Viaggio (fr. 2006)

EB di Terzet

 

Giacché l’uomo s’è rinchiuso da se stesso,

 fino a vedere tutte le cose solo attraverso

le strette fenditure della sua caverna.

                                                          Blake

 

 

 

Antefatti

 

 

 

 

Silenzio fragoroso

Poesia

Sopraffatta dai tempi

Permane

Fibrillante insidia

 

 

 

 

 

Appillata farfalla

Alla colonna indenne

Disposta alla bellezza

Vibra al vento del mare

Incredulo della rotta ala.

 

 

 

 

 

 

 

e intanto continuano

le apparizioni

delle navi sopra i tetti

geometrie gialle e nere

confuse con le ortensie e

i rossi gerani.

 

 

 

 

 

 

Vorrei avere un giardino

Un giardino profumato

Per poter dire agli amici

Non posso muovermi

Non posso partire

Devo curare le mie dalie.

 

 

 

 

 

Distinguere il dolore, quello

Accettato da quello che non

Comprendiamo è esercizio che

Tutti d'impronta facciamo,

Sterile cosa giacché non capire

Certe cose fa parte dell'umana

Condizione e della pietà.

 

 

 

 

 

 

Una linea di demarcazione

Sta invisibile e forte

Tra il mondo umano e quello

Animale stranamente

Tuttedue feroci.

 

 

 

 

La condizione perfetta

cercata o non dichiarata di

un Tempo che non c'è più

forse - rimane indice e

riscatto della malvagità e

della malizia che ogni Epoca

vede agire dall'umana gente.

 

 

 

 

 

Ore belle

per faticose cose e

antiche e ardue

per passare poi

alla volgarità banale

dei gesti quotidiani questo

impone duro coraggio.

 

 

 

Nell'antro di un cuore

le sue variazioni

i palpiti ritmici

insomma possedere

un'anima completamente

forse è solo il vero

esercizio di libertà.

 

 

 

 

Se spezzare un ramo di

resistente rosa

produce fiore più forte

permette

gesto di gentilezza

a chi

amore si dona.

 

 

 

 

Accesa la luce rossa

l'otturatore elettronico

ferma l'immagine

scatta subito cercandone

un'altra rimandando a dopo

quello che già avevamo visto.

 

 

 

 

 

Il cavaliere impenna il

cavallo nella lotta

contro il mostro

avversario sleale e forte:

le zampe sono salde

le redini ben guidate

la spada affilata come

i denti del nemico e

così va avanti sovrana

guerra perenne.

 

 

 

 

 

Si allungano sotto il bosco e

la neve cade senza suono

le orme delle scivolate

mentre per vie acquose

il rumore delle rocce

respinge lontano la paura del buio

mancanza di silenzio che

dice il ritmo della voce.

 

Il battito nel petto

accordato come piccolo

usignolo o pettirosso

sobbalzo per ogni battuta

attento a quel che accade

pronto a morire per una

impercettibile dissonanza.

 

Ne si avvede la glossinia di

campeggiare sul davanzale

chiaro e al sole non esposto

ricamate le foglie a campana

granato è il fiore che

accoglie complicati insetti

semplicemente le gocce

di pioggia non temibile

per rimanere splendore.

 

 

 

 

Si strappano le carte del sole

accese sopra la montagna

rotonda circonferenza di

riverberi accecanti e sbavati

lungo le pendici di querce

verticali come alberi natalizi

nelle forre tagliate dai passi

di sudore di morte di spasimo di

uomini che lasciano anche

il giorno nascente

per tagliare gli spaghi

arrotolati alle gole pelose.

 

 

 

 

 

 

L'autostrada corre pulita e

levigata tra montagne arricciate

di un rossore patinato

montagne di pietra nera

argillosa di un fiume

veloce e calmo che scorre

spumosamente arroventato dai sassi

precipitati come le anime di

chi passato di qua è caduto

volando per la prima volta.

 

 

 

 

 

 

Stride l'armonica nella bocca

spaccata da troppi canti solitari

nei freddi senza luna

seduto lungo un rigagnolo

come una cartolina delle vacanze

aspettando la fine dei suoni

per un motivo nuovo

la fine della notte recante.

 

 

 

 

 

Attraverso lungo i prati

lavanda che lotta con insetto

al margine del bosco senti

le vigilanze di chi non vedi

ombre paurose sembrano

tra riverberanze di luce,

animali in fuga per l'uomo

nient'altro che vita rumorosa

minuscola sotto gli sterpi

tanta che la mente teme

di non sostenere l'impatto.

 

 

 

 

 

 

 

La nave affonda il taglio

implacabile mare circolare

va la prua tra le spumate sbuffanti

come le corna del toro che

le narici polpose rigonfie

salta in alto per sbalzare

l'uomo saltante sul dorso

come la nuda terra e irta

di boschi e cascate in autunno

tra aria leggera e odori brucianti

che non quieta come il mare neppure

sotto il sole perpendicolo e

la notte che tutto riavvolge.

 

 

 

 

 

 

Muta se ne va medusa

da maree e da venti ritmata

avvezza lamina senza meta

spuma sottile e troppo umile

sospinta senza fine sarebbe

arenata come un niente tra

le vie oblique del profondo se

bellezza non la sostenesse.

 

 

 

 

 

 

 

 

Cavalcata

 

 

Attaccate le ali al cavallo

il giovane come grifone

corre per la pianura senza

alberi e ruscelli solo una

tavola alla vista bruciata

solcata da grilli e cicale senza più

usignoli e passa il fanciullo

nel manto stellato di azzurro

alla ricerca di una rosa canina

memore del bosco di tigli

la cerca rabdomante d'alloro

cavalcando senza sosta e passa

distese infinite e desolate di

morti cespugli e carcasse consunte

senza sosta viaggia senza una

lacrima o sudore in fronte

al vento selvaggio di questa

regione abbandonata dalla vita

e suona e suona e suona

la tromba e getta semi di miele:

rosa, dove stai rosa canina?

dove allarghi i tuoi petali

le tue foglie regolari i

tuoi boccioli duri e carnosi:

Dove sei rosa che il tempo

passa e tanto è passato

senza che il mio viaggio

sia terminato e stanco è

il cavallo ed io tremo dalla fatica

e dall'ansietà di trovarti

dalla paura di avere sbagliato

sentiero aspro e acerbo

non il sentiero che

conduce alle foreste tue ai campi

dorati e bagnati dalla pioggia

fertile bevuta dai cigni e raccolta

da te rosa bella rosa da sempre

ricercata corona avvezza

agli eccellenti uomini forti.

 

Cavalca ancora oggi il fanciullo

polvere sul mantello poca

ancora forti le forze e anelanti

di trovare l'oggetto dell'andare

tempi ed epoche trascorse

infiniti spazi travolti

terre e mari depressioni e

montagne incarbonite

oltrepassate senza mai sosta

lo sguardo attento ed impaziente

sempre al possibile prodigio

antico non vecchio continua

la sua avventura strana

mai cedendo alla stanchezza

disperazione e sfiducia ignote

alto e vigoroso nel suo

furoreggiante andare.

 

 

 

 

 

 

 

Gioia e naufragi

 

 

 

Il ricatto sublime della santità

raggiunge le strade illuminate

nella notte che non ritorna

mai uguale se non come

cartolina di un viaggio

anch'essa diversa e sempre

stampata con altri colori e

non vien meno il desiderio

di continuare a viaggiare

a lottare contro i fantasmi

creati a noi dalla mente,

la nostra fantasia se malata

conduce non all'opera ma

al disfacimento suo proprio

quando si pensa all'originalità

all'apertura di cieli e praterie

larghe e profonde solo

avvallamenti e riflessi,

briciole rimanendo alla storia

che le inghiotte come

la bella libellula zanzara

fastidiosa: niente dentro gli occhi

rimane se non li chiudiamo,

li stringiamo respingendo gli umori e

gli affanni che aumentano

nella calca delle prefigurazioni.

Solo una menzogna può

portarci ristoro, un poco di

pace scontata con il ritrovarsi

inerti dinanzi a se stessi,

colpiti dal vuoto veduto che

si para di fronte insinuante e nostro,

un niente che diventa piano piano

nulla dove non possiamo più

naufragare per la gioia di una

azione volontariamente cercata.

 

 

 

 

 

 

 

Cerimoniale

 

 

Fumano le mani dietro i vestiti

cerimoniosi, fumano scoperte

nell'aria incensata alla cerca della

mano amica, vicino o lontano

poco importa purché la stretta

sia possibile, fumano in cerca

di un tepore dove il respiro si

possa acquietare e riposare.

Fuori piove ancora,

più leggera di prima.

Piove e fuma l'asfalto coperto

dalle suole, dalla paura di perdersi

per le strade stridenti di luci

e buie per un'occhio avvilito

dai fragori ritmati di una cerimonia,

non festa.

Cerimonia per mano cercante,

mano cercante nella solitudine tagliente

altra mano per passeggiare tranquilli

lungo l'argine del fiume pieno di pesci

che ricorda la campagna dove

si bruciò la pienezza del cuore

abbandonata per la troppa quiete.

 

 

 

 

 

 

Finisterre

 

 

Da qualche parte del mondo

esiste una spiaggia chiamata

dei morti.

Dall'alto si riconosco i profili

appuntiti della costa,

circondano alberi tra il verde e il bruno

chiazze di argento e di ferro

si specchiano nell'acqua che azzurra e bianca

batte e ribatte sulla semicircolarità sabbiosa

grigia e verdastra con lampi di nero

a contrastare la giornata chiara e ventosa

pulita che vedi lontanissimo oltre

il lecito orizzonte ma non riconosci

nessun corpo marcito dal liquido

che eternamente ripercorre la sua via,

non riconosci nessuno e niente in questa

spiaggia dei morti dove regolarmente vanno a

dondolarsi corpi vestiti alla meglio,

ignari di questo destino d'acqua.

 

Qualcuno era stato capitano in una

bella barca di Saint Jean de la Luz,

barca di mille colori e drappi come quella galleggiante

sulla navata centrale della chiesa:

un altro era stato un coraggioso soldato

sfuggito a mille bottiglie con le ragazze più belle:

altro un ardimentoso giocatore di rugby

forte e sano e gentile fuori dal campo

un poco distratto nella vita:

un altro impiegato felice

della vacanza conquistata:

pochi giorni al debole sole di queste scogliere:

un altro sono io

se avessi osato gareggiare con me stesso

e lasciarmi cullare dalle onde

se non fossi capace solo

di narrare l'accaduto e scrivere

epitaffi a sconosciuti di una vita intera.

 

 

 

 

 

 

 

 

Scompaginati dagli urli

lanciati da luoghi pericolanti

dappertutto ritornano gli echi

arrotolati attorno agli instabili piedi

che saltano presi da febbre terzana

morsicati dalla tarantola sonora.

 

 

 

 

 

 

Dettagli

 

 

 

 

 

 

Primo Maggio

 

 

Immerso in una mattina

spugnosa di nubi ritagliate

come se Matisse segnasse

il cielo dei suoi blu e

traversato breve tragitto

i resti frizzanti di un meriggio

spazzato da un temporale,

stupefacente è passato

questo giorno di festa.

 

 

 

 

I dettagli

 

 

Le cose si presentano dettagli

rettangoli di verde e di giallo

a comporre una distesa unitaria,

le cose sono disposte così che non

puoi non scattare uno zoom e

rallentare avvicinandola la sequenza

spezzettata degli elementi concorrenti,

e poi l'attesa che riappaiano lontano

quelle cose medesime fissate

nel sole e nella luce di un fu,

medesime cose che lentamente

svaniscono con il ritornare eterno

del sole e della mano che le fanno

esistere sino alla loro scomparsa.

 

 

 

 

Dintorni e piccola città

 

 

Rincorrere.

Non rimane che stare al gioco

del pomeriggio e leccare

un gelato senza pensare o

sperare di combinare qualcosa,

un breve passaggio tra i colli

che portano un leggero vento

tra piccoli laghi e porcellane,

uliveti e grandi ville abbandonate

anche dai cartelli turistici verso

un lentissimo calare del sole

confuso tra i primi lampioni

di una periferia dominata dalle pietre

di un castello in rifacimento.

 

 

 

 

 

 

Colli Euganei

 

 

Distanti si piegano i contorni

delle case dei campanili che

soggiacciono al riverbero

chiaroscuro dell'ombra

ancora macchiata di rosso,

distanti dietro questa vetrata

tra il verdeggiare della strada

nel mezzo di una fossa tra punte

di colline terrose tra avvallamenti

che portano al girotondo delle mura,

distanti come serpente adagiato

le testa ritta per sentire meglio

come disporsi al dovuto risveglio.

 

 

 

 

 

Pensieri di viaggio

 

 

I legami con la terra sono

minimi, poco della

natura lussuriosa

poco della sua istintualità che

nega ogni ragione, ogni concettualità

senza più poter riandare alla fonte

dell'iniziato viaggio che si consuma

inesorabile tra i contrasti della mente.

I legami con la natura sono

flebili e ancora non solidi

i concetti per viverli totalmente;

difficile equilibrio bisogna instaurare

pericoloso filo sottile tra

paranoia e intelligenza che

in ogni istante può degenerare

nell'eccesso di questo o di quello,

quando una parte prevale troppo sull'altra,

quando una parte troppo debole si mostra,

e allora il disagio è forte, forse delirio

sapendo di non stare nel medio termine

sbattuti tra la frusta dell'animalità e

la lucidità dell'intelletto, spasmo

che solo si acquieta nel silente dormire,

si calma solo uscendo dalla lotta

per la realtà che non si sostiene più

e si cerca un modo di essere al riparo

dai colpi come quando una nave cerca rifugio

dietro il promontorio al sicuro dalla tempesta.

 

 

Viaggiare diviene pericoloso

essendo la meta confusa

poco chiara nei dettagli,

e le tappe intermedie sono

punti di fuga precipitosa

luoghi dove non sostare e

scappare dicendo di andare

altrove e vedere cose nuove,

invece è solo paura di

non saper restare tranquilli

nella solitudine del proprio essere.

 

 

 

Viaggiare diviene tormento

di continuo spostamento

smania che prende come

incessante prurito e brucia la pelle

questa smania di non potersi fermare

in questo luogo e goderne la bellezza

ansiosi di riandare in altro perché

più godevole frainteso; l'altrove è

l'impossibilità interiore della

pace e della sicurezza nel rapporto

tra questo nostro corpo e il mondo.

 

 

E ci muoviamo, ci spostiamo

incessantemente ricercando

sensazioni illusioni fantasmi

e fantasticherie che marchino

questa realtà: questo è il luogo:

maligne e maliziose menzogne

sapendo ci diciamo

comunque tentando questa figura

che sia ultima forma e vera per sedare

il conflitto e rimanere soddisfatti.

 

 

 

 

 

 

L'immaterialità della forma

respinge la fatica del fare

mentre si consolida l'idea

presentatasi leggera

volatile come alcool

per non perdersi tra le

pesantezze della cosa

dove sarebbe caduta.

 

 

 

 

West

 

 

Impassibilità di una perla

a caso trovata tra le colline

perla nera come il terreno

dove il bisonte rivive a stento

tra una prateria punteggiata di croci

e una sfilata di souvenir,

ricordo o memoria o solo affare

della scomparsa di un tempo

impolverato di morti e di frodi

senza eroi se non quelli poi

dal cinema creati del vincente

ancora trascinantesi come

cercatore d'oro.

 

 

 

 

 

L'insensata ricerca del luogo

il voglioso affanno di averlo

per risolvere il problema del come

occupare lo spazio del tempo

temporaneamente.

 

 

 

 

 

Biforcazione

 

 

La separazione del viandante

avviene cautamente e in fretta

alla biforcazione dove la strada

porta da una parte alle montagne

dall'altra scende verso il mare:

il bivio separa i compagni che

senza parlare prendono i sentieri diversi

fiduciosi di arrivare là

dove l'implacata smania

li attira senza speranza.

 

 

 

 

 

La rottura confonde i segnali

che sfilano tra le fibre del legno

interrompe il sistema comunicante

non permette l'andare avanti

il continuare l'affannante costruire

quello che si stava edificando,

la rottura blocca l'avanzamento

di ogni agire e ricaccia indietro

il già espresso e rimette in bilico

il possibile compimento che rimane

fortuita speranza irrinunciabile.

 

 

 

Segni di pericolo

 

 

I graffi e le sbavature lasciate sulla terra

indicano urgenza di aiuto

esclamano un pericolo presentatosi

lasciano messaggi a chi sopravviene

di attenzione al territorio che

infido ondeggia delicato al sole

ripieno di tranquilla rumorosità

nessuna insidia lasciando pensare.

Scorrendo per le piane e i balzi

la fretta di vivere e correre

non bada ai segni incisi

e la trappola da tempo lontano

posta tra le cose più innocue

scatta decisa e inevitabile.

Così tramonta un vivere

lasciato totalmente a sé

in un meriggiare scolorito

assorto all'ascolto di sé

dove mutamento è trascorso a morte.

 

 

 

 

 

 

L’inizio

 

 

Lo sforzo di iniziare il viaggio

consuma le energie ridotte

dalla fatica di trattenersi

di non cedere alla tentazione

di rimandare ancora una volta

l'andare che pur preme e piace

ma il tratto della distanza

tra il punto di stacco che pare

incollarsi alla terra aderente

come macigno appuntito

e il punto di destinazione non

viene colmato dall'immaginazione

se non con ombre paurose

che allentano il desiderio

premono per la decisione di rinunciare

fanno decidere per la calma del rinvio.

Supremo lo sforzo di staccarsi dalla colla

nel sudore che attanaglia

ogni muscolo e articolazione

enorme come sollevare il mondo

è lo sforzo che alla fine riesce

a tagliare gli ultimi legamenti

e scatta così il corpo ancora debole

verso il completamento del tragitto

rassicurato nel mentre scorre lo spazio

da piccoli atti ripetuti con

lenta progressione verso il ristabilimento

e la conquista di un benessere che sarà

nella contentezza di essere altrove.

Sino al successivo ripresentarsi del

momento di doversi staccare dal luogo,

dalla tana ammucchiata per troppo tempo

quale unico nido soffice contro le

sgarberie della vita, le screpolature

arrossate di un tempo maligno.

 

 

 

 

Incerta quasi maldestra

è iniziata la cerca,

sicuro il dettato

nel fermo svolgere di parola.

 

 

 

 

Preparazione

 

 

Disporre le carte e le mappe,

i fogli stradali accanto e le penne

per segnare di nero le colorate strade

e non perdere di vista le lateralità

dove sorgono cattedrali non visitate

grumi di paesaggi fantasticati come belli,

leggere le didascalie di ogni foglio turistico,

di ogni centimetrato album per non perdersi

niente e nulla delle cose da vedere se il viaggio

rimarrà quello progettato, se il progetto

non muterà in corso d'opera.

Accanto ai canali e ai fiumi blu

le autostrade rosse attraversano

luoghi i più sognati e pensati

nelle fantasie di una lettura,

nei rimandi di servizi fotografici

eludendo dal costruendo andare

i luoghi comuni delle masse agostane,

scartando ogni comunicazione falsificata

per la ripetizione estiva e natalizia,

ogni possibile passaggio per spazi

che non abbiano rimandi alla nostra cultura

e non siano possibilità di riempimento,

anche una casa rotta ma all'interno

dello spirito della terra e del cielo nostri

a soddisfare la voglia di vivere in prima

persona quello che abbiamo goduto

con l'intelligenza della memoria e con

l'abbandono del sogno, prefigurazioni che

sentiamo rinascere quando solo le nominiamo.

 

 

 

 

 

Prologo

 

 

 

La preparazione dell'occorrente è

la verità di quello che andremmo a vedere

in carne ed ossa, vero nella mente e

da sempre concreto.

Inciamperemo

nelle varie stoffe a rigoni con

stelle verdi e trapezi blu,

tra le scarpe basse e leggere

senza lacci un poco sformate

e comode,

tra le spazzole per lucidare

e i pannosoffici caramellosi,

tra le calze e i calzini che troppo

non devono costringere il piede,

tra i calzettoni di lana confortanti

e i lacci di ricambio.

Nella sacca verde e nella valigia,

doppia valigia blu,

cominciamo ad impilare senza modestia

le maglie i maglioni ben riposti,

le camicie con la maniche corte:

due con i polsini e i sottili gemelli

.   .   . questa giacca che sta bene con questi calzoni

come se dovessi partecipare a feste non so quali .  .   .

ancora biancheria con i sacchetti per il ricambio,

alcuni foulard per riparare il collo dal vento

o nascondere le prime pieghe sotto il mento?

berretti e cappelli quanto basta per non prendere freddo

per nascondere al sole i capelli tagliati cortissimi,

orologio, sveglia, carta, tanta carta con matite e penne

album per notazioni che andranno perdute

sotto il segno di ogni giornata,

macchine fotografiche e una borsata di rullini

per fermare quello che l'occhio e

la mente hanno già veduto e quello

che l'intelligenza dimenticherà velocemente.

Poco manca alla conclusione del rito preparatorio

messo in cantiere alcuni giorni prima per abituarsi

alla novità non per entrare nello spirito del viaggio

che ancora non viene pensato e la testa allontana

con ogni possibile scusa.

. . . La preparazione iniziata si conclude

quasi sempre con una dimenticanza che

qualche cosa vorrà pur dire senza scomodare

grandi nomi del profondo, se non altro

che non tutta era presente la memoria

e altro sotterraneamente si pensava o si voleva;

mentre ci si dava da fare con apparente facilità

da qualche altra parte stava il pensiero

forse là dove non si deve andare

là dove si può rimanere senza affannarsi   .   .

E poi uscire di casa e guardare

con gioia e rammarico

al curato giardino raccolto nel freddo

con strani fiori quasi margherite

che ricolmano un vaso di terracotta,

un vascone dove dalie e garofanini

si accalcano facendosi largo tra

gli ultimi spazi lasciati liberi

dal rampicante rigogliosissimo

e un cespuglio di rose dal nome dimenticato

da sempre là a sbocciare fiori

tra il giallo e il rosa con triangolari spine.

La lavanda si è distesa con molto profumo

e fa a gara con i giacinti a raggiungere

il posto dei narcisi che stentano un poco,

foglie verdi e un biancospino alto

a sinistra uscendo dal portoncino attendono

il sole del mattino per ristorarsi,

memori nelle giornate di luglio dell'acqua

che a pozze si formava ad ogni innaffiata.

Dal giardino passare all'ascolto

dei suoni del quartiere, delle strade commiste,

delle piazze ripiene di auto, dei negozi

nel loro tentativo goffo di bellezza,

nelle sconnessioni dei marciapiedi,

nella prospettiva che chiude al mare

e ricorda l'impero di Magritte

aiutato dalla bassa luce stradale

infiammata ad ondate dai fari delle moto

che rombano via come aeroplani

lungo la discesa che ricorda quelle

della costa centrale della California,

in fondo una parata di luci come

insegne luminose ininterrotte nel loro

cangiare di colori e luminescenze.

 

 

 

 

 

Il Castello

 

 

Allungato chiude lo spazio della piazza

come un fronte portuale di mattoni

tra il rosso e il rosato a strati di grigio

recinto da cespugli di rose

tutt'intorno posteggi di auto

bandiere adagiate alle aste

il bastione centrale da luce

giallocra rimbalzato al nero del cielo.

Non tornei e dame e cavalieri

vengono alla mente né assalti ed assedi,

tranquilla una vasca zampilla tra

silenziose giostre rotanti passeggiando

alla mano uomini e donne di tutte le taglie.

Fortemente dipinto qualche cranio pelato

con le orecchie e il naso allungato da

pendagli che paiono argenti e sono latta

come il marmo che ricorda i morti delle guerre.

Troppo accatastato alle case, alle strade

il castello è un ordinato museo

con qualche finestra sgangherata,

adagiato tra i profumi della pasticceria e

i coni gelato dei brasiliani.

 

 

 

 

La Villa

 

 

Cèzanne ha dipinto per solidi

senza badare più alla natura

scontento del disordine suo,

ha imbrigliato alcuni concetti

geometrici e li ha stemperati

con pennelli e spatole tagliando

acutamente gli spazi e lavorando per

blocchi non spigolosi.

Immemore della lezione,

la villa se ne sta macignoso blocco

appuntito da tutti i lati al centro

di una invisibile peschiera, una pozza

che s'allunga per tre lati, e memore dei mori

slancia una torretta levantina con a cappello

un galletto che gira come il vento.

Ancora è fatta di segno col dito

dai turisti dentro le quattroporte

non vista più dai camionisti, dai quotidiani

trasportatori di latte e di vino che badano

ai passaggi a livello, alla curva storta

più che al rugginoso segnale giallo

che indica il nome un tempo glorioso.

 

 

 

 

 

 

Il Giardino

 

 

Schiacciando sassolini sotto le scarpe basse

si caracolla sotto un sole ventoso

per la prima mattinata forse

dopo giornate a picco e appiccicose,

verso il belvedere che sta in alto

come deve essere, prospettante

il declino delle aiuole, delle fontane,

della lontana pianura calma e viola

puntata di case e di torri, quelle metafisiche

viste tante volte ai musei, proprio solitarie e

dense di ombre con silenti movimenti leggeri,

campagna dolce e aspra insieme di questo bel

paese troppo trascurato, andando

alla sommità della scalea con pochi compagni

accanto e i clic delle fotografie, col fastidio ciarlare

eccoci sul pianoro a semicerchio, le statue

riversanti acqua e spruzzi intermittenti,

immemori di ogni trascorso

fedeli fino in fondo al ruolo

fino alla rottura continuando

la scansione liquida con poco rumore.

Lo sguardo va oltre l’orizzonte velato,

oltrepassa ogni possibile vista e ritorna

vicino a chiudere il disegno sorprendente

della sapiente scelta di colori e di forme,

l’alternanza delle ondulazioni tra concavi

lievi per convessità non impertinenti.

Il sole rimane alto sopra il bosco dei cedri

le nuvole stanno ai lati come corteggiando

e la campanella che risuona squillante

ci trova accomodati su una panca petrosa

comoda dopo la passeggiata, e ci rende

contenti di questo tranquillo trascorso che

ha rimesso a posto anima e stomaco.

 

 

 

 

 

Paesaggio ferroviario

 

 

 

. . . . . correre al treno che non sai il marciapiede

all'ultimo momento cambiato per qualche accidente

lungo la strada ferrata al sud

tra promontori e campagne ancora malariche,

improvviso l'annunzio da un altoparlante che

rimbomba una voce non più femminile,

e correre di nuovo verso le scale mobili

che non funzionano, scansare facchini e viaggiatori

tirandosi dietro le valigie, sbilancianti,

la spalla sbilenca, stupiti di farcela con quel peso,

stupiti di non scivolare tra le increspature delle corsie,

stupiti di non aver già perso il treno, questo grosso

treno internazionale che ci porterà verso i saliscendi

di pianori senza un albero, disegno assolato di Dalì,

quello per il Don Quijote, col locomotore che non ce la fa

a raggiungere la sommità della salita che non sembra

così micidiale, e ronfa con i suoi diesel lanciandosi

nella discesa con un sibilo di velocità che non si

trasmette alla carrozza tenuta per bene e che

dice la povertà endemica di questa terra,

la dignità di un popolo povero ancora,

uscito da poco dall'ultima dittatura europea

dichiarata, popolo sfiancato dal sole e dalla storia.

Le valigie rollano tra le assi di metallo sottile,

sopra le teste rilasciate e dondolanti

secondo lo scendere e il salire dentro

un'aria forzata, sopportabilmente fresca,

fuori cespugli verdegrigi di piante use

alla mancanza d'acqua, qualche rovina in fondo,

pochissime le case dei contadini disseminate

di animali come i tuoi, rassicuranti nonostante

il lento progredire di questo treno chiamato rapido.

Passeggiare tra i vagoni per rilassare il corpo,

riassettare i calzoni con le mani carezzevoli,

stirarsi, allungare e stendere la muscolatura,

fumarsi una sigaretta in attesa che l'orologio

punti l'ora di arrivo, chiedendo un caffè che

risciacqua la bocca caldo, senza aroma e gusto,

ma ben assortito con il cilindro fumante

fumo che non aspiri per paura del cancro

che in questo momento è diventata leggero

tremore allo stomaco nell'aspettativa di arrivare. . . . .

 

 

Finalmente questa lumaca rossa e gialla

snodatasi per tutta la diagonale della mappa

dal nord verso il centro della cartina geografica,

s'infila come un razzo sotto le arcature di alluminio

della stazione ferroviaria, tutta nuova che non riesci

a ricordarti il luogo, piena di teste e di valigie e di

colorate insegne, carrettini di bevande e panini,

questa larga stazione con fontanelle di granito

tantissime cabine per telefoni pubblici, tutti occupati,

dove una voce cadenzante dice che siamo a destinazione,

solo per far scendere i bagagli, cercare un facchino,

tentare l'impresa di un taxi per raggiungere il prenotato hotel.

 

 

 

 

Momenti

 

 

 

 

 

 

Tarquinia

 

 

Istantaneamente, con stupore per la cosa,

ricorda le strane casette con tegole rosse,

pensiline che s'aprono a capofitto dentro la terra

dove ti portano smussati gradini e scivolosi

ed entri in un antro, una camera di sepolti vivi,

dipinta qua e là con affreschi di bella porpora

con cadmi e celesti ad incorniciare le teste,

vesti drappeggiate con ricami finissimi,

rilievi murali di armi e spade con utensili,

oggetti di tutti i giorni stampati per sempre,

fiori ed alberi tra improbabili leonesse,

pesci e delfini tra onde tratteggiate appena:

squisita civiltà propria di una cultura consolidata,

mondo che aveva conquistato il dominio delle cose,

prezioso mondo che però

non conosceva il cielo e aveva paura.

 

 

 

 

 

Firenze

 

 

Firenze rossa di polvere

sopporta il peso della storia,

il peso di magnificenze

che la soffocano.

La vogliono città museo

un ghetto della bellezza

che dovrebbe sopportare allora

l’allontanamento anche degli abitanti

solo rimanendo gli addetti al funzionamento

di questa macchina per turisti.

 

Chiacchiera aperto il popolo

ad alta voce tra le strade a bugnato,

chiuso dentro il cinto delle mura,

pronto all’incasso dalle trapassate glorie

niente cedendo al contemporaneo,

smisurata fierezza

impossibile speranza  che persista

grandezza senza sacrifici di rinnovamento.

 

L’impolverata Firenze

continua il suo vivere alle spalle

di quanto fu, mostrando alle compagnie

frettolose e irretite quello che non ha fatto

quello che non può fare più, soddisfatta

del ricavo becero e della fama insostituibile.

 

 

 

La trasformazione chimica

della Stella di Natale non si esaurisce

nello stupore per foglie verdi

alla luce del sole diventate rosse

( ne hanno costruite di gialle di rosa di azzurre

poi un nero ancora instabile.

Va il pensiero alle bellezze

che la curiosità e l’ingegno umani

possono e alle cose nefaste anche,

protratto il gesto sino alla fine dei tempi,

straordinaria capacità di novità

giocata però in un mercato dove vige

la legge del chi è più bravo o più bello

- chi vincerà la corsa di Ascot?

annullando così la purezza dell’invenzione.

 

 

 

 

Siena

 

 

Serpente disteso, ondulato

su tre colli sta solinga ed elegante

la conchiglia del Campo da cui

tutto si irradia, anche il profumo dei dolci

l’aroma dei pici, la fragranza delle olive

e dei vini. Fieramente continua la storia

in quel che gli rimane con la passione

e l’ardore di una giovine dama a passeggio

con Guidoriccio e il Buon Governo,

radiosa del rosso di Duccio che si è

sparso per le colline e la campagna

a formare le tre delizie di Montalcino.

 

 

 

 

 

Ravenna

 

 

Imprendibile città, punteggia il territorio

di impareggiabili azzurri e stelle d’oro

oltre i cilindri snelli ricamati dalle tegole

arrotondate, tra oasi di giardini

smisuratamente piccoli che si spandono

insoliti tra i muri e i mattoni come

le figure dell’immobilità segnanti il centro

sempre diverso e rintracciabile.

Le processioni accompagnano da destra

da sinistra avvolgendo lo sguardo

per ogni dove, inondano di luce con

compassata gioia la maestà

che non rimane muta ma narra

di quelle mani che tutto accolgono,

circolarità che non è volontà di prendere

solo perfezione di un  cuore

memore di una mente bene impostata.

 

 

 

 

Napoli

 

 

Napoli, capitale non

per decreto borbonico;

Napoli, città d’arte senza

essere recinto invivibile;

Napoli, imbellita ma non

per soluzioni superficiali;

Napoli, che si rinnova e salta di tempo;

Napoli, di spirito universale nonostante

o in grazia della sua parlata;

Napoli, che compete con tutte le altre

grandi città per gentilezza e cultura,

Napoli, non vivente di anarchismo ma

anarchica contro ogni sopruso;

Napoli, che sa di essere tra un cielo un mare

isole golfi e costiere le più fascinose,

Napoli, amata quando si ama.

 

 

 

 

 

L’Annunciazione di Firenze

 

 

Ruotano lineari i dodici alberi

Cornice al gesto offerente che

Stordisce anche Madonna

Mentre legge tra vitrei veli e

Tenta di frenare appena sul farsi

Il discorso che muterà il corso

Degli astri e dell’uomo,

Parola unica di vita rotonda,

Sollecito per i tempi e il criterio

Trasfigurazione del paradiso terrestre.

 

 

 

 

Tondo Doni

 

 

Forza immane e semplicità unite

nel porre intreccio tra

la circonferenza perfetta

la piramide rassicurante

la sinusoide invadente,

trinità non solo matematica,

grandiosa sintesi tra l’esplosione

di un viola di un arancio di un rosso

e della carne col rosa centrale.

 

 

 

 

Paestum

 

 

Dopo il tuffatore sospeso tra mare e cielo,

niente pensi che ti stupisca quando

il romore del fiume avverti

gonfio di acque verdi e brune

tra le querce vicino a Nettuno

compagno simmetrico di Cerere,

la volta uranica squassata da lampi

e la pioggia che cola dalle colonne,

le trabeazioni le metope i triglifi

un gorgogliare di tempesta

- perché non la senti normale

e rimbalza il pensiero a Shelley?

Questo recinto sacro che declina

al mare intravisto dalle colonne rigonfie,

alle spalle l’anfiteatro degli Appennini,

spaurisce come la siepe recanatese

e il naufragio diventa connubio

di emozione e bellezza, Platone distante.

 

 

 

 

Velia dopo Ercolano

 

 

Irta e aspra è la salita assolata

verso la sommità nuda e difficile

come il discorso sacro

sull’indagine necessaria,

dell’ordine e del dissesto antichi,

visione della deità che conduce

alla scienza della cupola celeste,

sapienza raggiunta senza opposizioni,

sapienza che ad un moto della natura

si frantuma in macerie e morte,

ombre e orme quasi indecifrabili

al ripensamento di chi viene e vede.

 

 

 

 

 

Le guerre tutte espressioni

di una volontà dominatrice,

nefaste ed ingiuste,

ma quando il coraggio supera

l’arditezza, consapevole e temerario,

allora il riscatto si fa avanti a dire

che si può combattere per libertà

questa utopia che spinge al sacrificio.

 

 

 

 

 

 

Milano

 

 

Pochi i palazzi che si distaccano

dal severo grigiore imperiale,

poche le grandezze da mostrare,

manifestazioni moltiplicate

sparse furbescamente come

nascite della novità.

Vastamente anonima si allarga

inghiottendo altre case e strade

senza potersi scrollare di dosso

le stimmate dell’industriosità

accompagnata dal vuoto dell’animo,

cavo che palpi tra le periferie come

nelle angolature di zone centrali

dove gente e cose si confondono

senza più spazio alla personalità.

 

 

 

 

 

Torino

 

 

Preziosa di edifici s’accompagna

per lungo tratto di ombrosi alberi

come i ventosi portici tracciati

sino all’incrocio dei fiumi

vicino alla Collina e i monti dietro,

color di perla e cotto, leggermente depressa:

si ritaglia in modo garbato

nel confuso ricordo regale,

eccentrica nell’atmosfera di Francia

che resta nonostante i nuovi miscugli,

cortesemente restia a mostrare

i gioielli d’Oriente e d’Occidente.

 

 

 

 

Genova

 

 

Superbia e ignoranza

tracciano la storia cieca

di questa mai capitale

sempre al servizio dei potenti

a ricavare benefici tenuti nascosti.

Veduta dal mare insospettabile

s’accende di punteggiato splendore;

buia e sporca la ritrovi dentro la curva

spelacchiata dei monti chiusa a riccio

per paura del nuovo, rinserrata nell’oramai

sangue raffermo che quando si mescola

ottiene in sorte il peggior risultato;

senza speranza per le occasioni perdute

continua a pensarsi possibile città del futuro

non sapendo amare il passato, indifferente al presente.

 

 

 

 

 

Venezia

 

 

Luogo superno per chi dalla vita

non vuole che immaginazioni

di morte, esausta di quanto fu fatto

langue tra troppa acqua che la corrompe

sino all’anima, città senza vita cittadina

preparata per i lontani turisti;

anche San Marco si adegua alla laguna

e ondeggia i suoi ori come in un tappeto

adagiato sul mare, rassegnato a non farsi

mai vedere nella sua interezza, e poi

le vie le piazze marchi esaurienti

di una malinconia che è trapassata già

alla nostalgia di un vivere sereno e non più inquieto

come i disorientamenti luminosi di Magritte.

 

 

 

 

. . . . . le grandi sciagure sono viste

dall’angolo della logica del singolo.

Ma esiste una logica che presiede gli eventi

a noi sconosciuta e che raggiungeremo

alla fine del nostro camminare, qui. . . . .

la Grande Catastrofe avvenne

prima della segnatura di segni

che combinati erano parole,

la Grande Catastrofe tracciò

evento eccezionale che mutò la vita

delle stelle, degli uomini, degli dei,

prima dell’inizio della storia.

E così va avanti l’universocosmo

seguendo un fato sempre in movimento,

non sezionabile razionalmente,

muovendosi le generazioni come lo zodiaco

nella coscienza di esistere e di sparire.

Poi la Grande Rivoluzione rovesciò

la sapienza e quello che era sotto

mise sopra, quello che era alto in basso,

affidando la Grande Speranza che morte

è la vita continuata sotto costellazioni

diverse, fidando di ricomporsi col cielo

annullando con un sacrificio il fatale dissesto. . . . .

 

 

 

 

Sicilia

 

 

Alla punta dell’est ribollente di mostri

si squassano il mare e le navi

anche d’estate con il vento fermo,

porta appuntita che per cattedrali

palme e agavi arse porta alla piana

dove si apre il porto dorato con

i lucenti emisferi, la quadratura delle strade,

la secchezza di palazzi ridondanti di luce,

poi verso sud i giganti sdraiati ad aspettare

che il tempo ritorni dentro il Grande Anno,

magnificenze di blu e di giallo tra il grigiobruno

dei colonnati, e le tessere danzanti al nord

dopo l’isola siracusana e le città da presepe

tra il niente delle montagne.

Terra discordante di odori, dolcemente limone,

troppo umana per intessere orgogliosi riti,

con la sua mitologia questa nazione

sorveglia i flussi tra due continenti

da spiagge e da scogliere turbolente.

 

 

 

 

. . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

una strada nera di pioggia

quando il temporale s’avvicina

al transito della stella di ghiaccio,

assorbente ogni scia luminosa.

Nel mentre il passaggio è avvenuto

nella mezza sfera opposta

silenzio e ristoro sono sovrani:

aggirare il giro dell’epoca

con la bocca impastata dal troppo liquore,

rientrare a casa, accendere la radio e

sentire del mondo che ha cantato e ballato:

popoli dimenticati cercano

un punto di salvezza

oltrepassati i canali e gli stretti

di un mare bianco, spumante di blu,

spogliati sino alla pelle che puzza e sa di paura,

arenati nell’egoismo della Grande Patria

agitata per far quadrare gli interessi dei numeri:

poco importa di questi cani travestiti

accecati dalla speranza di arrivare

alla meta impegnata, senza sorrisi e col cuore

in subbuglio per attaccarsi ad una terra

appoggiarsi alle colonne del cielo. . . . .

 

 

 

 

 

Assisi

 

 

In una pianura verde e consueta

allungata sino alle soglie del visibile

le colline improvvise con le rapide discese,

questa terra toscanamente gentile

accompagnata dalla semplicità umbra

stupisce per le minuscole cose

che improvvisamente esplodono grandi:

quando Cimabue s’incornicia a Giotto

ovvero Cavallini - quanto importa il nome?

quando il gotico s’impernia al romanico e

dà vita a nuovo rinascere dello spirito,

genealogia di uomini imponenti e immortali.

Croce di bellezza gemella a povertà,

giustizia amorosa ha rivoltato la coscienza,

non più utopie ma concretezza di esistere

scacciato ogni terrore ogni disperazione

nell’incanto trionfante di un luogo

troppo piccolo per dire la grandezza

degli uomini e del creato legati ora diversamente

al dio sino al compimento del tempo profondo.

 

 

 

 

 

. . . . . tra le tende quadrate

neri e bianchi di Malevitch -

si spostano alzando polvere

nell’odore di urina e plastica:

il nemico è visibile di fronte,

lente le manovre di spostamento

preparano la carneficina secondo

regole di accettata bestialità . . . . .

adesso si giuoca come prima ma

in silenzio guardando uno schermo,

la morte senza preavviso e continuando

la vittoria a non contare i suoi morti

attentamente. . . . .

 

 

 

 

. . . . . non sappiamo girellare più

tra i meridiani, non sentiamo più

la forza per continuare il viaggio.

Un senso di stanchezza e di inerzia

ci ha preso davanti alla città dalle due capitali,

ci siamo smarriti nell’affastellamento delle cose,

rigonfi e pesti gli occhi come la mente

per il troppo vedere e la smania

di ricordare le sensazioni le emozioni,

le sollecitazioni ideali che ogni pezzo di terra

ogni brano di marmo o cotto o pietra incitano,

nei rimandi delle architetture anche se scempiate

dalla biacca delle sovrintendenze.

Dobbiamo riattraversare un paese per entrare nel cuore

di un continente e da lì scegliere se andare ad est o ad ovest

oppure fermarsi perché la storia si è mossa qui,

da questo ombelico europeo specialmente quando

bisogna decidere l’assetto tra i contendenti.

Forse l’asse sembrerà altrove, ad oriente

ma solo per traslato giacché è nel centro della carta geografica

che i destini vengono incisi, qui si dice la sorte degli imperi,

qui sono caduti e sorti gli eroi, qui lo scontro

tra chi viveva per l’involucro e chi per l’interno,

chi per la forma chi per il contenuto, chi per la democrazia

chi per il dispotismo. Qui le guerre i massacri che pesano

sopra le spalle, sulla testa e sulla mente assieme

con l’avvolgersi delle epoche e dei tempi.

Abbiamo bisogno di riposo, di calmare le ondate di pensiero,

dobbiamo rallentare la corsa del sangue, abbassare

le pulsazioni del cuore, riprendere un ritmo più naturale

nell’avvicendare l’ossigeno polmonare, rilassare i muscoli,

massaggiare il corpo e distenderlo per  non correre il rischio

di bruciare tutto lo zucchero e avvelenare di acido lattico

le nostre interiorità, accecati per il troppo esporsi

ad un natura vitalissima, a manufatti in concorrenza

per il raggiungimento della bellezza e dell’armonia.

Viaggiare stanca. E il viaggio è solo all’inizio

se non lo interrompiamo forzando il desiderio di compiutezza

di completamento, questa paura di tralasciare qualcosa che

ci sta dietro il collo come il soffio ringhiante di un cane nero,

desiderio e ansietà di compimento che non potrà, lo sappiamo,

essere mai soddisfatto, sfuggendo un lembo del lenzuolo

tirato sino allo strappo che non riesce a coprire il corpo

lasciata ora una gamba ora un braccio ora una coscia

alle intemperie di una notte umida e ricolma di presagi.

 

 

 

 

. . . . .in un angolo del corpo

tra le costole un poco a destra

uno sfrigolio si affaccia di contentezza

per risolversi in istante di tristezza

come un rammarico per le cose andate

per le cose da fare, un consuntivo

delle conquiste del secolo.

Difficile allora pensare a viaggiare

e bello è rimanere nell’ozio fraudolento

pensando ai luoghi possibili, consumando

le piccole cose importanti di tutti i giorni.

Viaggiare è ora conquista turistica

perso il luogo del viaggiatore -

nell’inutile correre

tra le sponde del mondo

nello srotolarsi dell’apparenza.

 

 

 

 

Amici miei carissimi,

vi scrivo in un momento di indecisione,

fermo nel mio studio a pensare

se continuare il viaggio e

mi rivolgo a Voi che siete dei viaggiatori

perché la mia indecisione si sciolga e possa

assolvere il compimento che mi sono proposto.

Tu, Giuseppe, hai varcato oceani e saltato oltre

i delfini, hai attraversato le coste più impervie

maciullato gli ostacoli, rotto ogni spartiacque

tra occidente ed oriente, dimmi come pormi

dinanzi a questo desiderio e a questa repulsione

a questi sentimenti imbarazzanti che mi hanno

fermato sul limite della nostra terra e non so,

non posso andare avanti se da Te non avrò

conforto aiuto suggerimenti e sentirò

la tua persona a me vicina, amica oltre

ogni testo poetico da pubblicare.

Da te, Alberto, richiedo per l’antica amicizia

ancora di più: ti chiedo di farmi superare

questo momento di solitudine e di vacillamento

donandomi i tuoi implosi testi e l’intercessione

per l’editore che attendo per il Grande Frammento.

Lascia, per poco tempo, i tuoi amati viaggi

non rilassarti troppo nell’amore di Thomas Mann,

Lei, che vicino ti sorregge nel tuo andare e

preoccupati per me, per questo amico lontano

che non sa come continuare l’impresa che

se lasciata sarebbe peccato verso noi e gli uomini.

Tu, Raffaele, ombra di anima cercante

riponi la parola e l’intreccio semantico, lascia

riposare la scure e l’enigma e il mistero antico

e dammi quello che puoi, dimmi come trovi

a questo punto del cammino gli intrecci tracciati

le varianti segnate, dimmi i compagni di viaggio

se mantenerli, se allargare la compagnia ovvero

se intraprendere il restante percorso sul filo

di quanto fino adesso raggiunto, dimmi

quello che senti di darmi, così all’impronta

tra un silenzio e un solitario vagabondare.

Amici, sollevatemi da questo vagheggiamento

con le vostre azioni, le vostre parole e

portatemi altrove, in aria più leggera dove

il mio essere trovi la giustezza e la misura

per non interrompere le orme del mio destino.

 

 

 

 

 

Auden anche, come Eliot, sballottato

da un mare all’altro cercò un’isola

calma e accogliente, l’Austria verde

e dall’aria tersa per riposarsi dagli

intrapresi agoni, ristorarsi e riprendere

il canto complesso legato al vivere semplice.

Dalla Spagna passò all’epitalamio,

della guerra feroce senza inganni

scrisse come del suo amante,

amò Ariele come Prospero,

le cantine fumose e le strade carbonifere,

cercando l’accordo tra il bello e il vero

per migliorare il mondo, cambiarlo

secondo una forza senza utopia

bucando l’ansia e la nebbia.

Come il cantore dell’inizio e della fine

del tempo passato e del tempo presente,

come chi cantò la bella rossa e incitò

a riordinare le rivoluzioni delle forme,

sottilmente Auden pensava

al rovesciamento poetico,

possibilità della poesia di essere

portatrice di un mai visto e di essere

a suo modo una croce

che dà inizio a nuova epoca

trascinando il passato nell’inferno

del trascorso che più non può essere,

che più non è testimonianza

non più parametro e segnatura

del come e del perché.

Così nel sentiero tracciato

possiamo riprendere l’andatura

rassicurati anche se vacillanti ancora,

sicuri però che il termine e la fine

non ci impediranno il tracciamento

delle opere nostre sino al punto dovuto

che a noi rimane misteriosa cosa.

 

 

 

 

 

Restiamo ancora fermi

sospettosi del detto

impauriti dei nomi

stupiti delle parole

esterrefatti degli argomenti:

restiamo fermi ancora

le braccia le gambe

distese e fredde,

la testa lo stomaco

liberi e gonfi.

Un punto caldo

si sta facendo largo

dagli anfratti più nascosti,

piccolo punto caldo

che si allarga lento e sicuro,

una carezza che ricopre

la totalità del corpo

grande e leggera come

un soffice tappeto di lana

a massaggiare le parti

ancora intirizzite,

a rassicurarci per la ripresa.

 

 

 

 

 

La lunga attesa che snerva

non ci toglierà il piacere

e mancherà la gioia quando

toccheremo il luogo desiderato?

 

 

 

 

 

Noi siamo perdenti lungo gli sviluppi del viaggio,

perdiamo per ogni attimo trascorso

una meta un luogo un’occasione una speranza.

Siamo perdenti

e mentre perdiamo

ci sorregge un sorriso accanto,

mentre stiamo perdendo

continuiamo a viaggiare tra le sconfitte

senza sapere il luogo destinato,

quale tempo dovremo occupare

fuori da ogni spazio, in uno spazio

senza misure dove libereremo i lacci,

lasceremo le nostre insidie dubbiose

e ci offriremo senza retrogusti

a questa dimensione senza più vento

senza più terremoti e mareggiate,

in pace e nel silenzio caloroso

della ritrovata condizione primale.

 

 

 

 

Roma

 

 

Le mura e gli archi,

i pini ad ombrello,

le scalinate e il biondo fiume,

irripetibile caleidoscopio

di immagini ritmate

dal saliscendi della storia,

memoria e tesori si affastellano

sempre rinascendo il paesaggio

pur nell’assalto delle periferie.

 

 

 

 

Questa la terra cercata

questa terra troppo stretta per tanta storia

questa terra che lo sguardo chiude,

dove l’animo rimane leggero e spazia

con calma alla ricerca di una costola,

questa la terra affascinata da un ordine

che smaschera l’esistente disordine?

Oppure dovremo andare più lontano,

correre ancora per spazi più larghi,

traversare pianure e laghi e mari e coste

battute dal sole e dalla spumeggiante marea?

Solo l’andare e il continuo provare

garantirà il nostro reclamo.

 

 

 

 

Riprendere la borsa e la sacca e muoversi svelti

al marciapiede nove dove sta per arrivare un treno

che porterà verso posti circondati da pianori e

ondeggianti montagne e piane avvallate di gelsi

che solcano come ondate la terra, ovvero come vagoni

delle montagne russe che calano rapidi e sterzanti

sul pelo della curva a riprendere la salita con potenza

per discendere ancora verso la dirittura finale.

Questo treno pulito e luccicante è verde rosso e bianco,

ha come stemma un coccodrillo verde con gli occhi gialli:

è buon presagio perché indica che si mangerà lo spazio

in un tempo brevissimo, divorandosi rotaie e chilometri,

depositando i passeggeri alla prenotata meta.

Ripresa la corsa tra tralicci e pantografi, veloce e cadenzato

se ne va il treno del coccodrillo, sfrecciando alberi e case

dalle finestre ribattenti la luce sebbene tirate sono le tende,

tende corpose, di tela rossa a goffi ricami, grezza

e poco gentile alla guancia che si appoggia

per stendere i muscoli, guardare gli oggetti che volano via.

Nel tendenzioso scompartimento a salotto, pochi i viaggiatori,

ben disposti a stare comodi e godere delle ore a disposizione,

intrattenendo parole, spuntini, letture nient’affatto accurate

nel continuo cambiare di posizione, nell’aggiustarsi una gonna,

nel sistemare una gamba, nel modellarsi una giacca, nel rimuovere

un gilet scompaginato per un principe di galles classico.

Viaggiare in treno ..... usare questo strumento rassicurante .....

poco avventuroso e molto dondolante .....

non altri mezzi ..... non avventure ..... una diversione .....

a meno che si viaggi fisicamente e con la testa

si rimanga seduti sul divano, fumando in santa pace,

bevendo con piacere del vino, con i piedi caldi,

senza preoccupazioni e rimescolamenti nella coscienza

un poco appannata che si addormenta lenta.

 

 

 

 

 

Titanic e ( tra parentesi )

 

 

 

 

L’adrenalina dell’orgoglio strinse ogni bullone

rinserrando paratia a paratia, ferro a ferro

costruendo una macchina feroce e alta.

Non benedetta e senza cerimonie

con tracotanza e boria si varò la nave,

preoccupandosi solo del lusso e dello sfarzo

perché era l’inaffondabile progresso:

altera ed egoista si curava solo

di risplendere tra i mari d’oceano.

 

 

 

 

 

Divisi su tre gironi danteschi

uomini e donne attendevano

impotenti lo scorrere del viaggio

e quando le viscere della nave

furono completamente riempite

dalle gelide acque, uniti

aspettarono del viaggio la fine

diversa dalle aspettative.

 

 

 

 

 

 

 

..... ( ricostruire una casa di campagna,

ripristinare il tetto e comporre una mansarda,

adeguare termoconvettori al futuro inverno,

disporre paratie e colonne rasate di fresco,

colorare di rosso e di azzurro i bagni,

accomodare la scala lucidata di grigio,

sistemare divani e poltrone, arredare lo studio

e la lineare stanza da letto con Melisante,

riorganizzare il giardino e piantare dalie,

camelie, rose, quadrifoglio, alloro, margherite,

e i tulipani le ortensie i gerani i giacinti,

dimenticata fatica oltrepassando la memoria del rudere,

disponendosi pace, dondolandosi sul vimini giallo ) .....

 

 

 

 

 

 

 

La disperazione sommerse ogni cosa

mista ad un tremito come di gioia

ineffabile brivido che corse nel cuore,

il nero invadendo l’intorno, solo

le luci che affondavano si rispecchiavano

nella calma agghiacciante del mare;

solo qualche urlo, un pianto, un nome

rumori e schianti e il suono dell’orchestra

poi il bollore schiumoso del gorgo

che calò il silenzio sopra ogni cosa.

Tutto finì. Nessuno parlò più.

Solo rancore e rassegnazione

per il maestoso bastimento che

incolpevole aveva tradito.

 

 

 

 

 


 

..... ( i lavori di riordino non cessano mai,

ora un cornicione, adesso la gronda

ecco qualche mattone sconnesso, il camino

non tira troppo bene, perde il tubo dell’acqua

e poi cambiare il rivestimento delle sedie

cambiare posto al tavolino, riassestare quella credenza

coi i vetri di murano da cui si vedono i calici

un armadio nuovo con la misure sbagliate

cambiare l’ordine delle piccole cose d’affetto

ripensare al tappeto coordinato con il copriletto

i lavori di casa e di giardino giornalieri.

Ma è bello rendere viva una casa di campagna

sentire che ansima come un mulo lungo l’erta

che si raffredda poi si riscalda e poi si arrabbia

si ribella alle imposizioni, si addolcisce alle abitudini

una casa non è muro di pietra o intonaco e mattoni

non è il pavimento in cotto scelto con cura e rigore

non è i rivestimenti del bagno e della cucina

è una vita se è stata una vecchia casa di campagna ) .....

 

 

 

 

 

Curavo da quattro anni nove tulipani

tutti di colore differente con religiosa dedizione maniacale

ogni anno prendevo i bulbi ben asciutti e in primavera

li ponevo sottoterra perché riposassero sino all’autunno

e spuntassero così i nuovi fiori che andavo guardando

nelle diversità coloristiche, se mai fossero ohimè screziati

il disastro dei parassiti che portava il bulbo alla morte:

quando sparì nella notte acquosa s’immaginò un tappeto

di tulipani che ricopriva completamente il giardino

con colori cristallini e vellutati mai visti prima.

 

 

 

 

 

 

Non avrebbe più collezionato modellini

di rifinitissime e smaglianti automobili

da quelle più antiche alle nuovissime appena prodotte

disposte in tripla fila, distanziate, in varie bacheche

fatte fare su misura da un buon ebanista.

L’orgoglio del suo svagarsi, del suo prendersi

la porzione di libertà che poteva per periodi brevi

tumultuato dal comprare e rivendere fabbriche

questo suo svago e piacere andò ad infrangersi

nella mancanza di scialuppe occupate tutte

dalle donne dai piccoli dai vecchi, irritato

è rimasto a guardare l’affannarsi dei superstiti

distante e impaurito dall’idea di morire annegato.

 

 

 

 

 

Spingo con tutta la forza possibile con la spalla

contrastando la spinta dell’acqua

assieme ai compagni piantando bulloni e chiodi

sapendo sforzo e lavoro inutili

penso al paese lontano e ignoto

gli amici e le belle donne di sera

la birra e il vino con il biliardo al caldo

fuori la nebbia muto velario

ripenso alla casa ai ragazzini ai vecchi

agli amori lasciati all’amore trascurato

poi via, un ordine, e l’acqua si rovesciò

nel locale senza dare scampo, rapida e travolgente

e subito fu sommerso da un’ondata

che proseguendo lo coprì definitivamente.

 

 

 

 

 

Che posso fare io povero cameriere

se non raccogliere i compagni e

calmare la loro ansia la loro paura:

essi mi credono forte e saldo di nervi

io ho paura non vorrei morire così

in una enorme lussuosa scatola

eppure devo farmi coraggio e pensare

a loro anche ai passeggeri agli sbandati

ai piccoli e ai deboli altro non so

ma i pensieri e il daffarsi furono improvvisamente

interrotti da una specchiera sfondata

l’acqua inondò la mia sala da pranzo

e non vidi più niente.

 

 

 

 

 

Mi lasceranno qui nel fondo della nave

siamo già sotto il pelo dell’acqua

cercavo una rivincita e un riscatto

alla miseria della mia vita e per i miei

una speranza che mi viene tolta adesso

senza saperne le ragioni senza sapere

perché sono qui tra altrettanti disperati

a sentire solo roboanti colpi mostruosi

come se la nave dovesse scoppiarci addosso

mentre strisce acquose serpeggiano

per ogni lato della stivata gabbia

e quando non ci sarà più tempo

annegai soffrendo in cerca di aria

i polmoni scoppiati di liquido schiumoso.

 

 

 

 

..... ( l’affanno viene dopo.

Quando la casa è casa di campagna compiuta

o quasi, mancano pochi arredi e ninnoli,

risale al cuore e al cervello il desiderio

di farne dimora stabile, luogo definitivo

dove passare le ore e i tempi e curare il lavoro

scrivere delle cose amate preoccuparsi

dell’indispensabile attività artistica

insomma nasce il problema di stabilirsi

in questa casa di campagna

un poco lasciandosi andare solitari

lasciando i disturbi della città

circondati dal sole dalla nebbia bianca

dai cadenzati rumori e i suoni di chi

si affaccenda alle cose agricole senza fretta

con modi più lenti che accadono

secondo gli intervalli dell’unico semaforo

testimone della civiltà che da qualche altra parte

continua a movimentarsi incurante

anche delle piccole cure che ti affliggono

incurante delle occupazioni che nella calma

assicuri alla tuo incalzante egoismo

che non è morto neppure tra i canti dei galli

i muggiti delle vacche i trattori ansanti

civiltà che continua a correrti dentro e

si stampa negli strumenti di cui sei circondato.

Abitare un casa di campagna ma qui non nati

prolunga un certo stato di schizofrenia

che ti allarma alla sera quando il sole cala

alla notte quando il silenzio è tanto

al mattino quando ti svegli senza suoni

e poi inizi il lavoro senza badare all’esterno

come se fossi ancora in una casa di città

con tutti i conforti e le comodità

fintanto che non ti fermi un momento e allora

la testa ronza il cuore batte diversamente

una scossa istantanea e breve percorre il corpo

e sai che è questa dicotomia che continui a vivere

anche se a mente tranquillizzata sei contento

quasi felice, sicuro e sereno certo di uscire

in giardino a sentire i profumi e gustare i colori

fuori a passeggiare tra le strade deserte, al bar

a chiacchierare con i paesani, in bicicletta

tra i controvialoni di ippocastani a respiro pieno

prima di rientrare e concederti alla ben disposta tavola

tra un giornale una rivista una notizia della radio

e la benedetta televisione che ascolti di meno

le dolci sigarette e la musica che riempie la casa

e l’amata amica stravolgendo le ragioni di prima ) .....

 

 

 

 

 

 

Da solo tra i miei ufficiali mi affannai

a dare ordini e tentare l’impossibile

solo e vero colpevole dentro questa nave

mi paralizzai e non seppi più che fare

quale comandi in sequenza far eseguire

vedendo l’ineluttabilità della cosa

[ tanto dannarsi per un sicuro lasciare ]

fortunato quando qualcosa mi precipitò addosso

e muoio senza più dover dar di conto agli uomini.

 

 

 

 

 

 

 

Se si pulissero le porte della percezione,

                              ogni cosa apparirebbe all’uomo come è veramente, infinita.

                                                                                                       Blake

 

 

 

 

 

INDICE

  

 

ANTEFATTI    ( 1997 )

 

DETTAGLI    ( 1998 )

 

MOMENTI   ( 1998 )

 

TITANIC E ( TRA PARENTESI )    ( 1998 )

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