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Il delirio della Doxa *

Andrea Carraro

 

 

 

Gli apprendisti sono stati illuminati da una grande luce, mentre i loro maestri siedono avvolti dalle tenebre e dall'ombra della morte. … forse sapevano, loro che l'avevan raggiunto, come la via dell'eccesso possa condurre al castello della Saggezza, benchè spesso non sia così.

Auden

 

 

 

L'intento non è certo quello di dire tutto, né di esaurire qualche argomento. E' il tentativo di capire che cos'è l'arte e soprattutto cos'è nei nuovi mezzi di comunicazione, soffermandosi su un aspetto particolare che è quello della sua potenza generatrice. Questa spinta di creazione alla sua base ha come ogni processo un investimento energetico, che bisognerà individuare e di spiegarne i mutamenti nella società contemporanea. L'unico appunto riguarda la forma dello scritto che potrà risultare apparentemente nebulosa; è una scelta, la struttura del mondo è flessibile come quella della rete, così come possiede dei nodi indispensabili per far sì che stia insieme.

L'Arte si presenta alla stessa maniera, quindi ho cercato di scrivere nel modo più flessibile, evidenziando semplicemente nel momento in cui si sentiva la necessità di un nodo, e cercando di far rimanere al centro il nodo fondamentale del segno, elevandolo a punto di equilibrio.

Per parlare dell'arte, dei nuovi media, della loro innata connessione e dell'incidenza che tutto ciò ha nei nostri riguardi, che poi è ciò che interessa all'uomo, bisogna prima di tutto affrontare ciò che è la nostra nuova società, descrivendone i segni fondamentali e i tratti che questi delineano alla nostra concezione del mondo/uomo.

Come suggerisce Manuel Castells la nostra società è una Networksociety; e ancora "le reti costituiscono la morfologia sociale della nostra società e la diffusione della logica di rete modifica in modo sostanziale l'operare e i risultati dei processi di produzione, esperienza, potere e cultura."

Questa nuova società è caratterizzata marcatamente da un rapidissimo sviluppo di ciò che concerne la tecnologia che permette la proliferazione delle reti.

Essendo l'arte la parte centrale della nostra indagine, è necessario leggere all'interno dello sviluppo della nuova società l'incidenza rilevante che ha avuto la tecnologia nell'atto creativo. Caratteristiche che si possono attribuire alla forma di questa società sono sicuramente flessibilità, apertura, dinamicità, riconfigurazione, malleabilità, e soprattutto velocità. Questo lascia intuire una forma logica la cui geometria sarà variabile.

La sua struttura appunto flessibile determinerà l'incidenza della rete in base al numero di nodi che ne entrerà a far parte, quindi la loro forza sarà determinata dalla capacità inclusiva degli esclusi. Il continuo mutare dell'assetto rimette in gioco costantemente gli equilibri precedentemente raggiunti creando un conflitto rigenerativo che ben si presta al processo della creazione artistica.

La televisione e internet sono i media che determinano l'architettura della nuova società, la loro rivoluzione consiste nell'aver creato la logica dell'inclusione del fruitore grazie alla velocità di spostamento e di informazione. Punti cardinali del processo sono la mutazione dei concetti di tempo e spazio. Antonio Tursi in Estetica dei nuovi media per definire nuovamente la categoria spazio/tempo, la rinomina cybertempo/cyberspazio.

Nella storia dell'uomo il tempo è sempre stato una datità dettata dall'inevitabile alternarsi del giorno e della notte e dalla conseguente possibilità di misurarlo da parte dell'uomo; lo spazio è sempre stato concepito e pensato nella misura del tempo e viceversa. Le distanze si sono sempre immaginate e interpretate in base al tempo di percorrenza, il quale cresceva parallelamente alla distanza percorsa. Costringendo così tempo/spazio all'interno dei quadranti dell'orologio e del senso della prospettiva si è costruito il nostro vissuto. Gli oggetti erano anche loro a una distanza relativa nella spazio e la loro conoscenza e il loro percorso si compiono in relazione ad un tempo. L'apertura di nuovi mondi era un processo di prospettiva e l'atto della creazione correva sui binari segnati da spazio e tempo.

Invece l'unità di misura del cyberspazio/cybertempo è il click.

Il gesto minimo del battere di un dito determina il raggiungimento di un luogo per il quale l'attraversamento dello spazio è stato polverizzato, appiattito, ridotto. Benjamin lo definirebbe Ursprung, un Salto/Origine, mettendo in evidenza il meccanismo di generazione che avviene in maniera immediata e sistematica. Questo salto invece che un atto generativo in divenire, si costituisce come uno shock immediato, di rottura, ma ugualmente portatore di originarietà. Il conflitto generativo del quale si nutre la forma flessibile della Networksociety si inserisce in un cyberspazio/cybertempo reinterpretato in luce alla velocità come unità di misura, e di conseguenza condiziona lo scorrere della vita umana. La velocità dell'azione e dell'esecuzione è affiancata, nella nuova società del cyberspazio/cybertempo, al tentativo di dominarne l'aspetto temporale.

Basta pensare a internet: la velocità dello spostamento determina la possibilità di visitare più spazi in maniera più rapida e in egual tempo. Possiamo riscontrare anche in quello che ci ostiniamo a definire quotidiano, come la velocità e la dominazione del tempo siano diventati i temi principali. L'eterna lotta contro il Fato.

Secondo Giorgio de Santillana "l'idea del Fato prende forma quando l'uomo non subisce come le bestie, ma cerca di rendersi conto e non accetta il dono di origine."

In Fato Antico e Fato Moderno de Santillana parla del Fato come un ordine cosmico necessario, manifesto e solo intuibile, un disegno dall'architettura flessibile che rappresenta all'infinito la totalità del cosmo. Tommaso Campanella suggerisce che "sul teatro del mondo ammascherante le figure si muovono secondo schemi preordinati dal Fato."

Risulta evidente come nella società delle reti il concetto di Fato sia mutato. Nell'epoca del tutto e subito il Fato perde l'attributo di schema del Divino e diventa l'intralcio al velocissimo flusso di vita che l'uomo tenta di afferrare. Paradossalmente, a mio avviso, la crisi dell'Idea di Fato (quindi il Fato moderno) è da ricercarsi nella nascita delle "religioni costituite" che con la loro necessità di determinazione in base a un vincolo di potere, devono dominare lo scorrere armonico del Fato.

Un altro aspetto fondamentale che la nuova società mette in mostra è il valore dell'informazione, che poi è strettamente legato all'abbattimento dello spazio/tempo e ancor più al volere/potere dell'informazione all'interno di architetture sociali flessibili, come quelle delle reti, che come abbiamo visto sono geometricamente flessibili. La logica che nasce da questo mutamento è una logica come già detto inclusiva, che necessità di un'etichetta ben visibile per far sì che la sua informazione diventi portante, per far sì che i nodi della rete si accumulino su di essa attribuendogli un vincolo di potere. Quindi per far sì che l'attenzione si convogli sull'informazione è ancora più importante l'etichetta che noi vi apponiamo. Il nostro Fato è un etichetta.

L'involucro del quale verrà rivestita la nostra informazione, più sarà impressionante più otterrà il suo scopo e questo determina uno spostamento sociale che permea tutti gli aspetti della vita. L'involucro superiore, l'involucro dell'etichetta non sarà che il continuo perpetrarsi del mito, mito da intendersi come prima informazione o tentativo di informazione.

Mentre Pitagora ci ha regalato la visione positiva del mito ossia l'albore della spiegazione scientifica all'interno dell'armonia del cosmo, il mito della Networksociety appare sempre più come un mito abbagliante conformato a un religioso "si dice" "si pensa", figlio della cultura di massa, da intendere come cultura per il controllo della massa e non come cultura per lo sviluppo dalla miseria umana che permea la Massa.

Un'altra linea saliente nell'analisi del presente è sicuramente la possibilità di operazione/interazione da parte del fruitore nel discorso, esplicitata e resa tecnicamente accessibile grazie ancora una volta ai nuovi mezzi. Si palesa così la necessità di indagare sulla tèchne e quanto il peso di essa incida profondamente sull'Arte. Ne parlerò più avanti.

Mi preme ancora soffermarmi un momento sul ruolo del fruitore.

La sua possibilità di partecipazione ha una connotazione sciamanica se si vuole, perché l'individuo si trova connesso nella rete ed è parte di quel processo di conflitto generativo che è proprio della vita. Può anche essere lui stesso sciamano. La potenza espressa da questa situazione però va riletta all'interno del processo logico che deriva dalla mutazione di tempo e spazio.

Ultimo ma non ultimo, per discutere la nuova società bisogna tener conto del fattore economico, soprattutto da dove deriva e che incidenza ha. Avendo delimitato, per quanto possibile, gli elementi rivoluzionari della Networksociety emergono punti critici che ora appaiono celati da un velo, ma prima di scoprirli sarà necessario soffermarsi sull'Arte, essendo essa il cuore di questo tentativo di indagine.

 

 

 

 

 

Nessun poeta, nessun artista di nessun'arte, preso per se solo, ha un significato compiuto.

Eliot

 

Per parlare dell'Arte un buon punto di partenza può essere il Breviario di Estetica di Croce. Il filosofo napoletano esordisce: "Alla domanda <<che cosa è l'arte ? si potrebbe rispondere... che: l'arte è ciò che tutti sanno che cosa sia. E, veramente, se in qualche modo non si sapesse che cosa essa è, non si potrebbe neppure muovere quella domanda, perché ogni domanda importa una certa notizia della cosa di cui si domanda, designata nella domanda e perciò qualificata e conosciuta>>."

La misura della grandezza del quesito è delineata dal numero di ripetizioni della parola domanda, utilizzata sia come sostantivo sia come verbo. Domandandoci che cosa sia l'Arte ci risponderemo che l'Arte è ciò che tutti abbiamo già a conoscere, perché nel momento in cui domandiamo, abbiamo nell'intenzione la necessità di porre risposta alla domanda e quindi la notizia di cui ci importa, designata nella domanda, trova la sua risposta in una domanda. La domanda è la risposta.

A prescindere dal cartesianesimo della sua speculazione, Benedetto Croce nel suo incipit pone in evidenza l'aspetto enigmatico e la profonda connessione che la domanda pone sull'uomo, nonostante sia essa una manifestazione umana. Sin dal principio l'uomo ha prodotto immagini artistiche e il suo bisogno nasceva dalle domande che lui si poneva riguardanti il Cosmo, e la sua datità. Le prime rappresentazioni immaginifiche riguardavano scene di caccia o allegorie religiose dedicate al bello e al brutto che il Cosmo aveva da offrire. Queste due rappresentazioni, come immagini, descrivono a pieno il perché del discorso artistico e della sua natura interrogativa e quindi conflittuale. Le scene di caccia riguardano il bisogno di rappresentare il problema che il Cosmo ci pone sulla nostra esistenza in un quadro che si delimita più ampio e nel quale noi dobbiamo interagire per vivere; le allegorie religiose raccontano il bisogno di darsi una risposta, che si traduce come abbiamo visto in una domanda nella misura in cui questa risposta farà nascere un nuovo quesito, che a sua volta suggerirà una rappresentazione di un tipo o dell'altro. Ambedue le categorie di immagini hanno intrinseca la domanda sul Cosmo, sull'origine, e sulla profonda unità che le lega all'uomo e ad esso.

Ancora nelle pagine iniziali del Breviario il filosofo napoletano suggerisce:<<....io dirò subito, nel modo più semplice, che l'arte è visione o intuizione. L'artista produce un'immagine o fantasma; e colui che gusta l'arte volge l'occhio al punto che l'artista gli ha additato, guarda per lo spiraglio che colui gli ha aperto e riproduce in sé quell'immagine...>>.

Questa definizione di Arte evidenzia l'aspetto multidimensionale che essa ha. L'Arte è intuizione significa che l'Arte è percezione, significa che la percezione è comunicabile tramite una rappresentazione e soprattutto significa che a prescindere dal tipo di sensazione comunicata la rappresentazione trasmette qualcosa. Questo messaggio contiene in sé una proprietà interrogativa, che viene percepita dal fruitore. Soffermandoci un secondo, le dimensioni che immediatamente saltano agli occhi sono: l'artista crea l'opera, quindi l'opera stessa esiste come oggetto che ha delle estensione particolari, le quali estensioni particolari hanno la capacità di suscitare interrogativi, i quali facendo parte del mondo avranno un incidenza sul peso delle domande e delle soluzioni di questo mondo e di conseguenza sul uomo che è parte di questo mondo. L'apparente circolarità è soltanto una distrazione che non ci permette di vedere la reale architettura del problema dell'Arte, che non è autoreferenziale, ma auto-determinativa. Benedetto Croce giustifica la definizione di Arte come intuizione definendo le negazioni che la definizione medesima ha insite, ossia la definizione attinge forza da ciò che implicitamente nega. Esso nega che l'Arte sia un fatto fisico, che sia un fatto utilitario, che sia un atto morale e che l'Arte sia conoscenza concettuale. Tutte queste negazioni, a prescindere che siano vere o false (e a prescindere di cosa sia vero o falso) dimostrano che l'Arte non è un fatto fisico, non serve utilmente, non proviene dalla morale, e non crea sistemi universali di conoscenza. Quindi se tutto ciò non è, che cos'è l'intuizione?

Personalmente ritengo invece che l'intuizione crociana sull'intuizione si giustifichi attraverso una visone accomunante, e che piuttosto che escludere elementi, costruisca su una base sensibilmente tangibile. Ad esempio la stretta connessione che l'intuizione ha, oltre che con l'aspetto artistico, con qualsiasi altro aspetto del mondo: pensiamo un fulmine che cade a pochi passi da noi che immediatamente muta il nostro stato d'animo. La mutazione dello stato d'animo e ancora di più la percezione della mutazione dello stato d'animo, introducono la categoria del giudizio qualitativo. L'individuo posto di fronte all'Arte provando un sentimento prova un giudizio, che potrà essere bello o brutto, ma non sarà mai bello o brutto in assoluto. Risulta assolutamente innegabile che un'opera per due soggetti possa risultare differentemente bella o differentemente brutta, o bella per uno e brutta per un altro. L'Arte quindi, come Croce ha evidenziato, non porta insito quindi il concetto di bello o di utile, ma di quello che i romantici inglesi definivano la sensazione di sublime. La sensazione del sublime è quella sensazione che l'individuo prova quando cade nella sospensione, nel neutro, nel manque, ossia nella viva interruzione provocata da uno shock. Lo stesso shock che è provocato dal fulmine quando cade. Il sublime, la sospensione, da il via al modello dicotomico bello/brutto, e per definire l'Arte, la connotazione del bello e del brutto sarà relativa ma centrale, perché non importa la relazione che essa ha con uno dei due aggettivi, ma importa che abbia insita la potenza di tutti e due; perciò l'intuizione dell'Arte prima di tutto è intuizione del Cosmo

Le domande sulla Vita e sul Cosmo che ci poniamo davanti al fulmine ce le poniamo davanti all'Arte, quindi definire l'Arte come pura e semplice intuizione significa, prima di tutto, relazionare l'Arte al Cosmo nella misura in cui questa si presenta uguale ad esso nel rapporto con noi. L'Arte e il Cosmo, nei nostri riguardi, hanno tutti e due la medesima peculiarità di creare domande. Quindi se l'Arte e il Cosmo in comune hanno entrambi come base la domanda, questa sarà la misura per comprenderli.

Questa misura che non è misurabile è il Fato. Il Fato come eterna domanda.

Giorgio de Satillana in Fato antico e Fato moderno esordisce:<< l'idea del Fato prende forma quando l'uomo non subisce come le bestie, ma cerca di rendersi conto e non accetta il dono di origine, le grand don de ne rien comprendere la notre sorte>>. L'idea di comprendere la nostra sorte questo.... è il quesito che muove tutto e così anche l'Arte che risponde al desiderio della comprensione/espressione/intuizione di un sentimento.

<<Sul teatro del mondo ammascherante>>, come direbbe Campanella, <<le figure si muovono secondo schemi preordinati dal Fato>>.

La misticità, per l'Arte così come per la Vita, è necessità e allo stesso tempo il fine. Nel ruolo del fruitore si svela questa caratteristica.

L'Arte,come il Cosmo, avvolgono l'uomo che si inserisce nei loro significati, e la sensazione è comune sia all'artista che al non artista, quindi l'Arte non è solo intuizione, perché se fosse solo mera intuizione verrebbe meno alla struttura mistica che supporta la domanda del Cosmo, che è la stessa dell'Arte, che poi è il segno. Ma lo vedremo più avanti.

L'immobilismo atarassico di fronte all'evento naturale è il medesimo dell'Arte e per questo come tale dovrà manifestarsi nella comprensione di cosa esso sia. La manifestazione del senso del sublime, dal momento che è domanda, si inserisce come datità nel Cosmo, come segno nuovo e morfologico del Cosmo.

In Aesthetica in nuce, sempre Croce, dice anche: <<l'anima è anima in quanto è corpo, la volontà è volontà in quanto muove gambe e braccia, ossia è azione, e l'intuizione in quanto è, nell'atto stesso, espressione. Una immagine non espressa, ... è cosa inesistente.>> Croce, nonostante nelle prime pagine sia del Breviario di estetica che di Aesthetica in nuce neghi che l'Arte sia un fatto fisico, qui lascia trasparire il perché l'Arte si inserisce come datità nel Cosmo, ossia perché questo dualismo di anime e corpo nell'Arte sia uno.

Proprio come il fulmine di prima, ancora una volta, l'Arte sospende ed è intuizione nella misura in cui si scontra con noi come pura immagine/rappresentazione/suono/senso, e quindi azione.

Azione, atto, attore, hanno il loro etimo nel àgere retorico latino che è essere, e quindi questo dualismo trova la sua risposta nell'intuizione in quanto tangibile. Il presentarsi a noi come intuizione, ovvero come domanda, ovvero come tangibile, fa sì che la nostra attenzione si sposti su altri aspetti dell'Arte, la cui importanza viene rivelata dall'intuizione.

Aristotele nella Poetica parlando della tragedia dice:<<Tragedia è, dunque, imitazione di un azione elevata e conclusa, dotata di grandezza, con parola piacevole per ciascun aspetto nelle sue parti, di persone che agiscono e non tramite narrazione, la quale attraverso pietà e paura, porta a compimento la catarsi, di tali passioni....>> e ancora<<La tragedia è imitazione non di uomini ma di azione e vita>> Tralasciando il discorso della catarsi e che si riferiscono alla tragedia, a mio avviso le parole di Aristotele calzano a pennello per discutere di un elemento rilevante dell'Arte: la tèchne.

La tèchne è l'elemento per il quale l'Arte intuisce il mondo. La necessità formale della domanda della natura si esprime nella tecnica grazie alla sua funzione generatrice. Attraverso il mezzo, non concepito come mera macchina, ma come portatore di esistenza, attraverso la conoscenza e l'abbandono alle potenzialità del mezzo l'uomo genera l'opera.

Grazie all'utilizzo coscienzioso l'artista traduce la sua intuizione.

La domanda dell'Arte diventa datità nel momento in cui quest'intuizione trova la sua forma nella tèchne, e trova la sua forma nella tèchne perché la tecnica come ogni oggetto dell'uomo è oggetto del mondo. La tecnica essendo oggetto del mondo non è solo mezzo dell'uomo per una creazione univoca, ma portatore di una potenza, portatore di una domanda, che nel risultato finale del''opera risulterà rilevante perché influenzerà i tratti somatici della manifestazione dell'opera e quindi la sua identità di intuizione. Tutto ciò si manifesta grazie alla capacità insita in ogni strumento di donare una forma. Dare una forma significa creare concetti di dimensione e percezione, quindi numeri e grandezze. Una forma composta di linguaggi, ovvero di codici, di regole che fanno sì che l'intuizione si manifesti come un fatto, una forma che è portatrice di un unione delle capacità del artista e delle potenzialità del mezzo.

Come suggerisce Aristotele, la tragedia è imitazione di non di uomini ma di azione e vita, e dunque azione e vita non si possono intuire nella forma visto che questa è implicitamente portatrice di domande e quindi di vita?

Il fatto è che la forma e quindi la tèchne si inserisce nell'Arte nello stesso modo in cui vi si inserisce l'intuizione, e cioè grazie al potere generazionale; il bisogno di creare, di dare forma, così come il Cosmo da forma a noi, a ciò che il Cosmo ci lascia intuire dalla phonè dei suoi codici. Basta ricordare Carmelo Bene che sulla Torre degli Asinelli di Bologna avvicinando un microfono alla bocca conferisce ad esso la possibilità di spersonalizzare l'Arte prodotta dall'azione dell'attore e di dare vita propria al rumore del microfono. Carmelo Bene "appare alla Madonna" nel momento in cui capisce che la sua potenzialità creatrice e quella della macchina sono la stessa cosa: una pura progettualità intenzionale che nell'Arte diventa reale. Essere progettualità pura significa possedere al proprio interno il requisito potenziale di esistenza. Il potere generazionale della domanda riletto nella manifesta forma del Cosmo è paritetico sia per l'uomo che per la tèchne, quindi l'Arte è intuizione nella misura in cui si manifesta nell'uomo e nel Cosmo tramite la potenza specifica degli oggetti dell'uomo e del Cosmo(gli oggetti se sono del uomo sono nati per soddisfare le domande del Cosmo)

Siamo intuiti dal mezzo nella misura in cui noi intuiamo il tutto.

La forma inoltre essendo fisica, ci regala la conoscenza delle dimensione, quindi dello spazio/tempo e del numero.

L'inserirsi nella vita come dimensione quantificabile è sempre stata caratteristica dell'uomo; de Chardin ne Il fenomeno umano sostiene che l'origine del mondo sia dovuta al granulo della polvere dell'universo che si presenta in un infinità di varianti chimiche. Hobbes, deduceva l'idea di tempo dal concetto di spazio che si trovava innato nell'uomo. Oggi abbiamo la relatività. A prescindere da come la si pensi riguardo la fisica della spazio/tempo, palese è la natura innata del concetto di numero. Intorno all'Arte, lo spazio e il tempo riguardano sia l'artista che il fruitore dell'opera d'arte, il primo attraversato dalla tèchne gioca con questo e lo domina, il secondo nello spazio e nel tempo conosce, intuisce e rielabora. L'opera invece trascende lo spazio/tempo.

Il suo dimostrarsi fatto le permette di restare immutabile nello spazio/tempo, ma di muoversi nel tempo. Muoversi nel tempo inteso come rompere la temporalità costituita dallo scorrere progressivo del numero e rivelarsi a noi come numero assoluto, incancellabile e con le quali cifre dovrà fare i conti chi avrà da venire dopo; e ciò è dovuto al processo di assolutizzazione che vive nell'Arte. Giunti a questo punto sappiamo che l'Arte è tanto intuizione quanto tèchne, anzi è intuizione nella misura in cui è tèchne e viceversa, quindi quale sarà la monade che parafrasando Teilhard de Chardin costituisce la stoffa universale dell'Arte e del Cosmo? che ci permette di intuire gli assoluti?

Il Segno. Il segno è la forma e l'intuizione dell'Arte.

Umberto Eco nella teoria unificata del segno dice: <<Si ha Segno quando per convenzione preliminare qualsiasi segnale viene istituito da un Codice come significante di un significato. >> e ancora,<<Un segno è la correlazione di una forma significante a una unità che definiamo come significato>>. La convenzione del segno si fonda sulla necessità dell'uomo di conoscere e sulla natura di comunicarlo.

Rappresentando delle caratteristiche oggettive si formano dei codici e il segno è la sua oggettività che diventa convenzione. Immediatamente con l'instaurazione osservabile e interpersonale di un comportamento segnico visibile abbiamo un linguaggio. L'uomo può conoscere in quanto animale simbolico, il linguaggio, i suoi riti, le istituzioni, la cultura stessa ... tutto è Forma simbolica. Quindi anche l'Arte è segno. Se si vuole parlare di Arte come intuizione, allora capiremo che noi possiamo intuire perché la natura presenta dei segni inequivocabili, e che la tèchne cioè la possibilità e l'abilità della forma tramite l'utensile, nasce nel momento in cui l'uomo instaura un struttura simbolica. Dunque il segno non è solo significato e significante, ma è semantema. Prendiamo ad esempio la parola cane: in qualsiasi altra lingua la sua forma scritta risulterà diversa, ma il significato e il significante saranno i medesimi e saranno dettati da proprietà evidenti che il fenomeno in questione presenta. Un segno deve riferirsi alla cosa che indica, ma deve farlo in maniera pertinente, e tale pertinenza deve essere universalmente riconoscibile

Il segno dunque è molto di più di una convenzione di linguaggio, è la misura del cosmo; e la forma della forma e oltre a quella non ci è dato conoscere. Il fatto che esso sia evidente e manifesto ci regala la regola della forma, e ogni segno collocato nella giusta maniera determinerà la verosimiglianza dell'intuizione.

A mio avviso il discorso sul segno mette ancor più in evidenza la totale irrilevanza dell'essere nell'Arte; il segno c'è, la nostra macchina umana può soltanto essere attraversata da questo segno che già esiste; esistesotto forma di rumore, di numero, di lettera. Il potere del segno deriva dall'armonia tra quello che dice e quello che è.

Lampante è che non siamo niente all'infuori del segno, e chi continua a vagheggiare dell'essere e ancore più del dire perde del tempo; siamo detti, siamo parlati e siamo visti grazie al segno, e si evidenzia anche nell'uso di questo participio passato.

L'uomo è un belniente al di fuori del segno.

Per parlarne nell'Arte, bisogna solo farsi parlare da esso; è evidente che il verso costituisca una forma perfetta per la poesia, così qualsiasi altra forma d'arte ha il suo segno e diventa a sua volta segno proprio grazie al fatto che il segno essendo semantema traduce la possibilità di assolutizzazione che solo nell'Arte e quindi nel segno si può trovare.

Il segno è domanda pura e come ogni domanda trova la sua risposta nel suo potenziale di esistenza. Soffio di vento, divento soffio.

La discussione filosofica esiste perché l'uomo ha la capacità di poter ordinare questi segni fino a formare il pensiero.

Nasce la logica.

La logica non è affatto un astrazione remota ed arcana, anzi è ciò che vi è di più completo e sommariamente semplice.

Wittgenstein nel Tractatus dice:<< tutto ciò che può essere detto si può dire chiaramente; e su ciò, di cui non si può discorrere si deve tacere". L'intuizione del filosofo viennese è l'aver capito che la logica deriva direttamente da ciò che si può conoscere tangibilmente, ossia che compare come forma. Quindi la logica è pura riscrittura della forma solo nel limite del conoscibile; non esiste la categoria di vero o falso, la logica è una logica della possibilità. Esemplifichiamolo. Un uomo entra in una stanza priva di finestre e incontrando un'altra persona afferma:<<fuori piove>>. Logicamente questa frase non ha niente di inesatto, ma allo stesso modo non contiene niente che per l'uomo all'interno della stanza possa verificarne la verità. Il ricevente del messaggio può soltanto affidarsi a ciò che è l'oralità del riferito. Ancora se il primo tizio entrasse sempre nella stessa questa volta zuppo dalla testa ai piedi, l'individuo all'interno non avrebbe ugualmente elementi per verificarne la falsità, visto che l'individuo potrebbe esser stato bagnato da un secchio gettato da terzi, eppure la frase <<fuori piove>> è tecnicamente corretta.

Wittgenstein infatti sostiene che la logica superi di gran lunga il concetto di vero o falso e rientri in quello della possibilità; qualsiasi proposizione è tendenzialmente vera/falsa per natura, quindi vediamo che l'Arte, come ogni proposizione, è portatrice di domande che in potenza hanno già una gamma di soluzioni e di domande che vanno dal vero al falso. Quindi la logica è solo la caratteristica umana di ordinare i segni all'interno del campo di possibilità gettato dalla natura del segno stesso, che come abbiamo visto è dicotomica nonostante si manifesti in un unità (anche se strutturata gerarchicamente). Il nome è l'unica cosa che ci è data come certa, il nome è l'unico segno del discorso; l'unico vero segno del discorso.

Tornando all'Arte, riusciamo a capire come la sua logica interna si inserisca meramente come struttura del tempo; ossia come capacità di portare con sè tutti segni con le loro possibilità di potenza e di ordinarli in base alla successione degli eventi. Le opere d'arte dunque si presentano a noi inserite nella logica, ma sono loro stesse come segni a produrla. Per questo Wittgenstein quando parla di Arte definendola tramite le "somiglianze di famiglia" brancola nel buio, perché nega la sua stessa logica che è la logica dell'Arte. L'Arte essendo la tèchne dell'intuizione del segno se si definisse tramite la sua possibilità di rassomigliarsi perderebbe la possibilità di rappresentarsi logicamente perché tenderebbe semplicemente ad imitare ciò che già c'è, e non a rappresentare ciò che è ma che potrebbe ugualmente essere differente per natura non rientrando nel vero o falso, ma solo nella sua unità conflittuale di vero/falso.

Tirando un attimo le fila di tutto il discorso sull'Arte ci rendiamo immediatamente conto che il segno è l'Arte oltre che la monade del Cosmo che parla e che ci parla, inteso come parla già di noi a monte.

Il segno è possibile intuirlo nella misura in cui si rende oggettivo, e si rende oggettivo già in natura e quindi la tèchne non è semplice mezzo, ma è sovrastruttura, amplificazione, e segno stesso.

Arte=segno,tèchne, uomo, intuizione, segno... e cosi via ...

Segno, e quindi tèchne sono già prima dell'uomo, che come artista è mezzo; e ciò vuol dire che l'uomo sta nel medio dell'Arte e non agli estremi. Non prima, non dopo, nel mezzo prima e dopo!

L'uomo nell'Arte è sia il mezzo dell'intuizione del segno, che il produttore di un nuovo segno sulla base dei precedenti. Abbiamo visto inoltre che l'Arte è nel neutro, e il neutro è portatore di tutti i modelli dicotomici prestabiliti, di conseguenza portatore di un conflitto, di una domanda, di una energia. L'Arte si presta ad essere l'architettura del Cosmo perché come il Cosmo è fatta di segni, e come il Cosmo si determina nel campo della possibilità, quindi le uniche cose di cui noi possiamo disquisire sono inerenti alla forma di come si manifesta e di come si potrebbe manifestare.

Ciò quindi che ci è dato intuire dell'Arte è dunque il segno, e la sua energia creatrice; niente più.

Definire l'Arte in maniera differente significherebbe limitarne l'energia creatrice chescaturisce dal neutro. Definirla ridurrebbe in liquame il suo segno e non le permetterebbe di vivere al di là dello spazio/tempo. Ragion per cui andiamo a delirare l'unica cosa che ci è dato intuire oltre e all'interno delle cose dell'Arte e del Cosmo: l'energia.

de Chardin ne Il fenomeno umano parlando del cosmo dice:<<...Alla fine ci deve essere, in qualche modo, un energia unica che anima il Mondo...Le due Energie fisica e psichica,diffuse rispettivamente nei due strati, esterno ed interno, del Mondo hanno in complesso lo stesso comportamento. Sono costantemente associate e passano in qualche modo l'una all'altra. Ma sembra impossibile far coincidere le loro curve.>>

Poi per sfuggire al dualismo di fondo sostiene che le energie sono fondamentalmente psichiche, ma che la loro estensione è duplice: energia tangenziale ed energia radiale. La prima rende l'elemento solidale con gli tutti gli elementi dello stesso ordine, la seconda lo attrae in divenire, ossia verso nuovi stadi e nuovi limiti.

Questo grosso modo può rassomigliare allo schema dell'energia dell'Arte, solo che in essa l'energia la chiamo DOXA. Doxa non intesa come banale opinione nell'accezione moderna del termine, ma nella sua forma greca di opinione autentica di conoscenza.

Dicevamo dunque doxa come energia dell'Arte in quanto e sia fisica che psichica, perché si fonda sulla conoscenza di un opera che in quanto segno è portatrice del dualismo del Mondo.

L'intuizione è l'energia radiale che la lega al discorso metafisico comune, la tèchne è l'energia tangenziale anch'essa metafisica che la spinge in divenire verso nuove forme. L'energia, la doxa, è la domanda fatta forma, oggettivata nella sua tèchne e grazie al discorso sulla logica possiamo benissimo conoscerne la sua natura delirante. Delirante di per sè; nascente all'interno del neutro del segno.

Natura delirante perché fonda la sua spinta generatrice sul contrasto che scaturisce nel momento in cui questa sarà autentica e rappresenterà diverse sfaccettature dei modelli dicotomici. Questa spinta energetica che imita la spinta creatrice del Cosmo è neutra e sarà autentica nel momento in cui bruciando le energie della domanda creerà una nuova domanda portatrice potenzialmente della stessa carica di energia.

A ogni doxa confutata ne seguirà una nuova da confutarsi con spinte tangenziali totalmente nuove, ma simili nella loro radialità. Il discorso sull'Arte si presenta dunque come un conflitto rigenerativo dei segni, dove la doxa è il carburante. Inutile parlare dell'essenza di una cosa che non ci è dato conoscere. L'Arte va goduta per com'è, ossia delirante come la sua energia, Auden ne La mano del tintore suggerisce inoltre:<<se si può attribuire alla poesia o a qualsiasi altra forma d'arte, uno scopo ulteriore, questo consiste nel disincantare e disintossicare, dicendo la verità....alla catarsi non si arriva in modo consono tramite le opere d'arte ma tramite i riti religiosi...<<

 

 

 

 

...Mandiamoli in pensione i direttori artistici gli addetti alla cultura...e non è colpa mia se esistono spettacoli con fumi e raggi laser, se le pedane sono piene di scemi che si muovono.

Battiato

 

Riprendendo il discorso iniziale, proviamo ora a rivedere l'Arte nella società contemporanea. Per iniziare è necessario mettere immediatamente in evidenza lo strettissimo legame che l'Arte ha con la tèchne e il potenziale enorme, duplice nella sua unicità formale, che essa possiede. Per addentrarci maggiormente in ciò che è la tecnica, e per capire quanto essa sia determinante riguardo il discorso dell'arte, è necessario dipanare quale sia la profonda connessione che il mondo e l'uomo hanno con essa. Umberto Galimberti in Psiche e tèchne descrive in maniera ottimale ciò che cerchiamo: la tecnica emancipa l'uomo da Dio, la tecnica è l'ambiente dell'uomo, la tecnica è l'essenza dell'uomo. Procediamo in ordine.

Platone sosteneva che il fare qualcosa (tèchne) presuppone la possibilità di poterlo fare (dynamis), ma questa possibilità si dà solo se si ha scienza (epistème) delle cose che si intende fare. Galimberti sorpassa questa visione e apre scenari interessanti : la scienza, il sapere (epistème) ci offre la possibilità o potenza (dynamis) dell'operare tecnico. Riprendendo Nietzsche, <<l'uomo è un animale non ancora stabilizzato>>, possiamo finalmente intuire la tecnica: a differenza dell'animale, che viene al mondo nella natura con l'istintualità, l'uomo parte da una condizione di carenza biologica. La mancanza di specializzazioni naturali non consente all'uomo una selettività naturale; l'uomo dunque possiede la capacità tecnica per poter conoscere il mondo e può adattare questa capacità nella maniera più funzionale possibile alla sua mediazione con il mondo. Quindi si può dire che la tecnica sia l'ambiente dell'uomo. Questo significa che la nostra capacità tecnica è la condizione necessaria di esistenza; la condizione di svantaggio iniziale viene sopperita dalla potenzialità progettuale della tecnica, che non è dunque più l'estensione cartesiana, ma supera il dualismo che il nostro pensarci in relazione alla cultura portava insito; è evidente che se il punto di partenza della speculazione è il deficit biologico, non ha più senso dover affermare una divisione di res cogita e res extensa, in quanto ambedue sono pura tecnica. Infatti essendo la tecnica come abbiamo visto anche epistème si palesa il fatto che la tecnica abbia insite le sotto-tecniche di memoria e di coscienza che si possono presentare all'uomo solo nel momento in cui le tecniche di esso si realizzano. La tèchne è il nostro meccanismo di selezione, un meccanismo di selezione che ci emancipa da Dio nel momento in cui ci permette di individuare e conoscere le differenze, di operare delle scelte e di creare la cultura. L'essenza dell'uomo dunque è nel suo atto, che è l'àgere retorico latino. Questa condizione di svantaggio e le differenze che ci pone difronte la tèchne esprimono ottimamente la natura tragica dell'esistenza dell'uomo, e questa carica di tragicità dettata dalla necessità di dover per forza abitare la tecnica per sopravvivere lega inevitabilmente l'Arte all'atto della tecnica. Questo lascia presagire che la vera tecnica sia nel neutro, il ché non significa sterilità, ma l'esatto contrario, ossia l'ambiguità del maschile e del femminile. La tèchne dei nuovi media e della nuova Arte è il superamento del tempo e dello spazio. Determinati programmi di computer per il montaggio dell'immagine, del suono, del montaggio del suono sul rumore e dell'immagine sul suono, ci mostrano come le possibilità di creazione e di intuizione del segno siano sempre più manifeste. Le capacità di donare una forma insita in ogni strumento della quale parlavamo nel capitolo sull'Arte, oggi si esprime al massimo nella possibilità di modificare lo spazio/tempo e la loro percezione.

Le caratteristiche della dinamicità nell'abitazione dello spazio sono sicuramente la velocità, flessibilità, riconfigurazione, rilettura. L'Ursprung di cui parlava Benjamin, è il salto-origine nel quale i segni si leggono nella loro purezza statica di forma e nella flessibilità energetica che essa porta con se. Un'energia che come abbiamo visto è estremamente dinamica (ovvero portatrice della possibilità).

Ci mostra ancora la via Carmelo Bene con il concetto di macchina attoriale; l'utilizzo della tecnologia non è un estensione dell'umano, ma è condizione per il segno dell'opera. Il microfono amplifica la voce non il detto dell'uomo, la possibilità dei programmi e dei mixer di manipolare questo suono ci dà il rumore. Questo rumore manipolato è ciò che libera le cariche energetiche dell'Arte, cioè di ciò che non si può dire. La possibilità di intervenire sul binomio spazio/tempo sul piano della creazione è enorme: alcuni artisti compongono musica utilizzando dei campionatori di suoni e campionando suoni ricavati dalle loro piante da giardino, altri(Sterlac) si applicano un terzo braccio per lavorare. A prescindere dal limite al quale ognuno si spinge ciò che emerge è questo legame inscindibile dell'Arte con le potenzialità artistiche della forma, che sono infinite quante le rette passanti per un punto e lo stretto legame tra il segno dell'oggettività del mondo materiale e il segno della materia/oggetto dell'Arte. Lo spiega bene Raffaele Perrotta: << ... A scrivere e a riscrivere è la scrittura e è la ri-scrittura a corrispondere con la scrittura dell'opera “in opera”. Léggere è il pensamento intorno alle pratiche degli effetti di senso- i complessi dei significati negli intrecci dei segni- ...>> Tutto è un segno, la tèchne e ciò ce ci permette di farci pervadere da esso. Ecco perché la nuova tèchne digitale è così rilevante per la creazione, perché la sua forma, quindi la sua capacità di essere una domanda, è l'esatta struttura del Cosmo, ed esprime la possibilità realizzatrice neutra dell'intuizione, che è flessibile. Dunque l'intuizione artistica avrà tante forme per inserirsi come datità; l'Arte nella contemporaneità ha la possibilità dunque, come non mai, di intuire il segno, di rappresentarlo in misure uguali alle possibilità della tèchne di portare cariche semiotiche.

Parallelamente allo smisurato balzo in avanti nel campo della creazione corre l'aspetto delle nuove tecnologie che vincola la diffusione dell'Arte, ossia la tèchne come media. Oltre a essere il mezzo della produzione artistica la tèchnè rappresenta il nostro campo di conoscenza alternativo all'esperienza. Attraverso il filtro della macchina noi riceviamo una duplice informazione, un'altra lettura e talvolta una rilettura. La suddetta possibilità conferisce all'artista di avere un mondo nuovo dove esporre la sua Arte, una realtà virtuale del bello, ma soprattutto la capacità di influenzare i risultati della sua produzione. Un esempio che può ben contestualizzare l'Arte nel nostro nuovo orizzonte delle possibilità, che poi non sono altro che le potenzialità della tecnica, è quello dei motori di ricerca di internet. In base a dei codici di parole e a meccanismi di memorizzazione e selezione, i motori di ricerca ti orientano verso determinate informazioni, o ti pubblicizzano le cose che più ricerchi in rete. A questo punto appare chiaro quanto enorme sarà il peso del meccanismo di informazione sull'informazione che si ripercuote sul mondo dell'Arte.

Definire i motori di ricerca un male per l'Arte, come qualsiasi altra vita di tèchne, di per sé sarebbe miope e negherebbe il senso stesso dell'uomo; la realtà è che le nuove tecnologie sono inserite nel contesto del mercato, che è il mondo sociale, e questo rende l'Arte un fenomeno sociale. Le teorie moderne dell'Arte, ad esempio quella di McLuhan, le quali sostengono che Essa sia la consapevolezza del tempo nel quale viviamo e l'integrazione in questo tempo, corrompono irrimediabilmente il mondo della tèchne e quindi l'Arte. Definire l'Arte come punto di connessione significa sminuire e distruggerne la potenza generatrice della tèchne e l'assoluto dell'intuizione. L'arte non è consapevolezza del tempo MA l'esatto contrario, come fa notare Nietzsche nella Nascita della Tragedia: L'uomo ha bisogno di umanizzare l'assoluto per comprenderlo. L'arte non può contestualizzare l'uomo in niente perché non fa che esprimere ciò che è sempre stato, e ci rende consapevoli solo della domanda. Ciò che cambia nel tempo, non è la condizione dell'umana sofferenza, ma le dimensioni delle domande. Se l'orizzonte della domanda dell'Arte è l'orizzonte della domanda del segno, e quindi della tèchne e dell'intuizione, allora sappiamo che l'orizzonte dell'Arte non sarà diverso dal Tutto; contestualizzare l'uomo nel suo rapporto con l'Arte significa uccidere la forza generatrice autentica del segno. Per questo nella Networksociety le condizioni di velocità e di Ursprung, sono una manna per l'orizzonte che dischiudono, ma letali per il discernimento della domanda; un informazione dell'informazione lanciata alla velocità maggiore anche se superficiale condiziona maggiormente l'equilibrio del meccanismo artistico rispetto all'autenticità del non essere dell'assoluto.

Nella Networksociety appare palese come l'Arte sia agonizzante: oggi l'Arte non è altro che il suo mercato. Il mercato artistico è un meccanismo perverso per il quale si propone solo ciò che produce utile economico; tutta la produzione artistica è costruita in base a ciò che il pubblico vuole. E che cosa vuole il pubblico nella Networksociety? Ciò che l'informazione sull'informazione gli fa capire. Questo fa sì che l'Arte non sia più nuovo ma semplicemente novità; il meccanismo virulento artistico, il dilemma dal quale nasce l'Arte, vengono irrimediabilmente smorzati dai produttori artistici, che per il guadagno sicuro continuano a rifilarci lo stesso pacchetto. La situazione la definisce bene Tursi in Estetica dei nuovi media, con il contagio del bello quotidiano. L'informazione sull'informazione, ha riempito i cervelli di collagene, la velocità delle etichette impostate ha vinto su forma e sostanza, meglio ha generato la mistificazione della forma e il conseguente aborto della sostanza. Tutto si riduce a un grande carrozzone, che si nutre ed alimenta il "si pensa" e il "si dice", una grande mascherata collettiva che non produce più bello estetico (la bellezza), ma solo collagene e quotidianità. L'informazione sull'informazione, la simulazione, non solo è bella e buona, ma la si vuole vera; e la verità, per quanto io non creda alla sua esistenza, non può esimersi dal brutto. L'Arte per come si presenta a noi, ovvero sotto l'enigmaticità del segno, vive delle possibilità che esso ci dischiude; produrre esclusivamente bello e buono significa uccidere la parte altrettanto autentica dell'Arte che Nietzsche trova nel Dionisiaco. Eliminando dal segno dell'Arte la possibilità della conoscenza del brutto, si riducono le possibilità interpretative e quindi si incanalano le nuove possibilità creatrici in un unica direzione possibile: quella del bello. Il panorama sull'Arte nella contemporaneità però non diviene completo fino a che non si capisce che il meccanismo dell'informazione sull'informazione, grazie al corruzione del neutro della tèchne che produce, sovverte l'equilibrio dell'Arte. Il filtro è stato sottratto all'artista per essere circuito dal mercante, ed ora gli viene sottratta l'Arte. Il "contagio del bello quotidiano" permette esclusivamente la mimesis di sé stesso, e le frontiere di cyberspazio e cybertempo non sono più la possibilità del non-tempo, ossia al di fuori del tempo, ma la conservazione del tempo corrente e la sua perpetrazione nella storia, solamente a una velocità crescente. L'Arte nella società mediatica contemporanea, a causa della corruzione operata dalle funzioni sociali, è diventata una funzione sociale anch'essa, e niente riesco ad immaginarmi di più lontano dall'Arte di una funzionalità sociale. Dunque la vera crisi dell'Arte non è nella tèchne ma nell'uso che si fa del filtro della tèchne, quindi il problema risulterà un problema di carattere energetico. Ma prima ancora di arrivare a parlare di ciò, bisogna soffermarsi un attimo su come e quanto questo cambiamento chirurgico abbia mutato il pubblico.

Per chiarire meglio ciò che intento, mi può venire in soccorso il Nietzsche de La nascita della Tragedia nel frangente in cui parla del coro. Il filosofo di Rocken infatti al proposito enuncia: <<...Schiller ha ragione: il coro è un muro vivo contro l'assalto della realtà, perché esso – il coro dei Satiri- riflette l'esistenza in modo più verace, reale e completo che non l'uomo civile, che comunemente si considera unica realtà. La sfera della poesia non si trova al di fuori del mondo, come una fantastica impossibilità di un cervello poetico: essa vuol essere l'esatto contrario, la non truccata espressione della verità, e appunto perciò deve gettar via da sé l'ornamento menzognero di quella presunta realtà dell'uomo civile>>. E ancora poche righe più avanti:<< Il coro è lo spettatore ideale in quanto esso è l'unico spettatore, lo spettatore del mondo di visione della scena>>. Il coro nell'interpretazione nietzschiana di Schiller viene presentato come “un muro vivo contro l'assalto dalla realtà”, quindi si può quasi intravvedere dalle sue parole il ruolo mediale di barriera del coro, quasi a fare la parte del filtro dal delirio della civiltà. Nella seconda citazione invece il filosofo commenta Schlegel, sostenendo che il coro rappresenta lo “spettatore ideale” in quanto unico spettatore. Questa enigmatica posizione è a mio avviso da leggersi come se il coro rappresentasse lo spettatore nella piena consapevolezza o nel pieno abbandono alla doxa. Mettendo in relazione questi due citazioni risulta evidente come il coro nella tragedia identifichi bene sia lo spettatore ideale che il filtro della realtà, e quindi ci si può azzardare a dire che vi sia la necessità di un identità tra le due parti o almeno che siano liberi di influenzarsi reciprocamente, e non che uno si prostri all'altro. In riferimento alla situazione dell'Arte della quale abbiamo parlato sembra però che il meccanismo si sia inceppato:l'Arte è chiusa nel cassetto di pochi intimi e il resto è spettacolarizzazione della mediocrità. Qual'è il meccanismo che si è inceppato? Perché siamo diventati replicanti?

 

 

 

 

Il delirio della Doxa

 

Conoscerai l'origine delle cose in alto, e tutti i segni del cielo, e le opere segrete della chiara fiaccola del sole ardente, e donde sorsero. E parimenti apprenderai le gesta errabonde della luna occhirotonda e la sua natura. Conoscerai pure il cielo che intorno abbraccia, donde esso sorse e come Necessità lo prese e lo avvinse per tenere i limiti delle stelle.

Parmenide

 

A questo punto del discorso, dopo essermi soffermato a spiegare quali sono le problematiche legate al mondo e all'Arte nell'interpretazione del mondo che oggi determina il presente, possiamo finalmente arrivare ad analizzare ciò che a mio avviso è il carburante dell'ingranaggio del mondo, e quindi dell'Arte: la Doxa. Per discernere meglio dal guazzabuglio di rumori emessi nei secoli a riguardo della Doxa, penso che un buon punto di vista, possa essere quello di Giorgio de Santillana, nel Prologo a Parmenide, che già dalla prima pagina ci regala la giusta dimensione enigmatica:<< … Così allettantemente vicini a noi per un verso, così irreparabilmente remoti, invece, e incomprensibili per un altro, essi si stagliano come statue di Memnone nei deserti del passato, ciascuno emettendo una nota e solo una, di fronte al tumulto e alla dialettica dei tempi che sono seguiti. Di questi grandi, il più difficile è Parmenide>>.

Secoli di esegetica fuorviante ci hanno regalato una misura distorta “della nota” emessa da Parmenide, e de Santillana nella sua critica ci mostra la via:<< Non ha senso adoperare nomi come “idealismo o materialismo” prima che oggetto e soggetto, forma e contenuto, materia e spirito siano stati stabiliti come coppie di opposizione ben caratterizzate.>> La via degli Dei e La via degli Uomini costituiscono una vera e propria prima fisica dell'opinione e dell'esistenza. Il filosofo eleatico ne La via degli Dei comprende l'intuibilità dell'armonia del Tutto e soprattutto le diversità di cifre di cui si può comporre questo risultato: <<Conviene che tu apprenda tutte le cose, sia il cuore intremito della Verità ben rotonda, sia l'opinione dei mortali nella quale non v'è affidamento sicuro: ma anche questo apprenderai, come una spiegazione delle cose che appaiono debba considerarsi valida quando percorre tutto quello che conosciamo.>>

Riprendendo la citazione iniziale de La via degli Uomini che dà il titolo al capitolo e confrontandola con il passo precedentemente citato de La via degli Dei, si palesa la vera dimensione dell'opinione; non l'opinione piccola e meschina della condizione umana, ma una via che seguendo i Segni dell'armonia del creato, “le orme degli dei”, possa realmente giungere a una posizione Autentica, a un Opinione per la quale l'uomo sia pronto a mettere in gioco tutto ciò che conosce. Quest'opinione è la vera cifra per l'intuizione reale dell'Arte e dell'esistenza. Parmenide per primo intuisce la natura interrogativa profonda dell'opinione, ovvero che per conoscere “l'origine delle cose in alto” bisognerà interrogarsi sulla “Necessità” di “tenere i limiti delle stelle”. La Necessità, scritta con l'iniziale maiuscola, è il termine enigmatico che svela la natura del tutto, e non è la necessità umana, ma la necessità delle cose di conoscersi nella loro datità reale. La possibilità di intuire conduce l'uomo ad interrogarsi, ma allo stesso tempo lo forvia e lo relega ad interpretarle in funzione di sé. Per questo la vera fisica della Doxa è per natura delirante, conflittuale e rigenerativa; la via degli uomini non è una, ma sono un'infinità di vie che percorrono l'armonia delle cose; e che se mantengono la via maestra (quella degli Dei) possono condurre a un opinione che si riferisce alle cose e non alla piccolezza dell'uomo. Quindi rileggendo la Doxa nella vera chiave parmenidea ben lontana ci appare la sua concezione dalla pochezza che gli è stata attribuita dalla cultura occidentale. La Doxa, e la sua dominazione, sono la tecnica che ci permette colmare la carenza biologica umana che per primo Nietzsche riporta in auge, ed averne la dominanza significa intuirne la domanda che ogni cosa porta con sé, ma sopratutto significa confrontarla e modificarla continuamente, parallelamente a ciò che il mondo ci presenta quotidianamente. Questa visione quasi scientifica dell'opinione, che ben si sposa con le posizioni naturalistiche di Parmenide, ci porta anche a reinterpretare tutta la morbosità con la quale i filologi successivi hanno investito la copula è. La copula è, nell'abbaglio intellettuale che colpisce Parmenide, a mio avviso va ri-letta nella vera fisica dell'Opinione, ovvero che l'uomo esiste solo in rapporto a quanto la sua opinione si accosta alla “via degli Dei”. L'uomo è solo in rapporto a quanto intuisce dell'esistenza del Cosmo; il Cosmo esiste, noi no. Noi esistiamo solo perché abbiamo la possibilità di farci attraversare dai segni e dalla loro enigmaticità. Ce lo mostra Carmelo Bene con il suo teatro: noi non esistiamo, esistono le gesta, gli atti, che si intrecciano con le matrici delle azioni del mondo, la nostra è un operazione critica di discernimento....di tal fatta sono i seguenti, ossia: Uno, Semplice, Immobile, Eterno, Completo, Indipendente, Esistente in sé, Sussistente di per sé, Incorruttibile, Necessario, Immenso, Increato, Non circoscritto, Incomprensibile, Onnipresente, Onnicomprensivo, Essere per sua stessa Essenza, Essere in atto, Atto puro, anche Parmenide l'ha capito: gli attributi dell'esistenza sono del mondo, non dell'uomo. Lì si trova la vera esperienza metafisica, lì si trova lo spazio dell'opinione per disquisire dell'Arte.

L'opinione, quella parmenidea, permette all'Arte di perpetrare la sua domanda in continuo, di rigenerarsi nell'infinità delle sue possibilità di forme, e nella finitezza del modo di rappresentazione. Ogni opera ha la giusta misura, ma non esiste una giusta misura dell'Opera, ovvero dell'operare artistico. Le caratteristiche che il filosofo presocratico attribuisce all'essere possono essere attribuite all'opinione; continuità/omogeneità/isotropia permettono che questa ci appaia come motore del mondo e dell'Arte. La Continuità permette all'uomo di legarsi con il tutto, con il continuum che il mondo ci presenta come regola nello scorrere inesorabile; l'Omogeneità è la caratteristica che distribuisce l'equilibrio del Cosmo e necessita anche all'opinione che deve intuirne la forma; e sopratutto l'Isotropia ossia la caratteristica fondamentale che rende la dimensione enigmatica del mondo palese. La possibilità di leggere in ugual misura le cose a prescindere dal punto di partenza, ma anche la possibilità di raggiungerne il cuore in ugual misura visto che mantengono la stessa distanza dall'attributo umano. Nell'Isotropia risiede la condizione enigmatica che rende fertile l'Arte. Il rincorrersi dell'opinione all'interno di queste tre dimensioni fa sì che continui a perpetrarsi la grandezza artistica. Una grandezza che non avrà misure se non quelle del tutto, e che vivrà di opinione fondate e fondanti, ma sempre pronte a mutare. Così nasce il meccanismo energetico dell'Arte.

Rifondare il concetto di Doxa attribuendole il peso che merita, ovvero quello di carburante, ci aiuta a capire la profonda crisi artistica che viviamo nel contemporaneo.

La società artistica e mediatica che abbiamo descritto nei capitoli precedenti, non rispetta più le caratteristiche Necessarie all'equilibrio di questo carburante.

Un individuo profondamente contagiato dal silicone del bello quotidiano non potrà mai capire l'armonia delle caratteristiche della Doxa, perché avendo come unico punto di partenza e di intuizione il bello non potrà mai vivere l'Isotropia.

Questo è il meccanismo che si è inceppato nell'Arte.

Il filtro, il medium, che è estensione e quindi tutt'uno con l'uomo, parte coincidente delle sue possibilità con lui, ha preso il sopravvento sull'autenticità dell'opinione. Per questo vi è assenza artistica.

L'assenza artistica nasce dalla volontà di dominare le possibilità di conoscenza e di cristallizzare quell'enigmatico Necessario di cui parlava Parmenide. Come già detto, questo incatena l'uomo alla perpetrazione di ciò che è già stato letto producendo sempre più o meno la stessa cosa. Il dominare la spinta di creazione ha condotto alla sterilità dell'opinione, e ci ha allontanato da quello che Spinoza chiamava Ordine Geometrico del mondo e che Parmenide aveva intuito nel 480 a.C. L'intenzione di porre la "Cultura Umana" come nostro orizzonte ha fallito come era prevedibile, l'orizzonte che può vivere l'uomo è esclusivamente quello dell'opinione, che più si dimostra fondata, più si avvicina alla tèchne. Il nostro ambiente è unicamente quello che ci è dato conoscere + 1, la nostra “nota”; il nostro contributo, autentico, armonico e libero dalla nebbia della cultura umana. Il delirio della Doxa è aver corrotto la sua natura delirante; averla resa unidirezionale.

L'Arte è diventata un prodotto sociale e per uscire da questo stato di infertilità è Necessario ristabilire il carattere delirante dell'opinione. Come prima cosa è necessario inibire il meccanismo dell'informazione sull'informazione, unendo alle caratteristiche dell'opinione dettate da Parmenide anche quella di coerenza evidente. Questo parlando di Arte significa riportare il linguaggio alla sua struttura iniziale; quella del segno. Il segno come l'opinione appare delirante ed isotropico, e non identico e riferito come lo si vuole ora. Il segno dell'arte non è riferito; parla da solo!

La nostra Opinione, se sarà autentica, allora si reinterpreterà nella tèchne e l'interpretazione del segno potrà nuovamente essere colta nella sua natura di domanda e non di risposta. Bisogna sentire con le proprie orecchie. Come suggerisce in un saggio il Perrotta <<noi siamo la nostra scrittura>>, e la scrittura del linguaggio orale allora dovrà essere semplicemente quella della phònè, il rumore (esteriore ed interiore) che provoca l'opera dovrà essere l'unico metro di giudizio sul gusto. Non il sentito dire. L'unico discorso sulla critica accettabile a questo punto è quell'operazione critica di cui ha parlato Auden ne La mano del Tintore o Eliot ne Il bosco sacro, una critica lontana dalla cultura umana, ma che si suggerisca e provi solo a far risaltare i segni coerenti con il tutto, che non esprima giudizi, che non enfatizzi o distrugga, ma che evidenzi semplicemente gli assoluti che ogni opera degna di menzione porta con se. Che ne esalti le misure (forme) senza domarle o possederle. Così facendo si dischiudono le possibilità del segno, dell'arte e dell'opinione; e nasce la vera critica che, come ancora una volta insegna Carmelo Bene, non potrà essere altro da opera d'arte.

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