Tu sei qui: Portale PIAZZA 3 CASA DELL'AMBASCIATORE Scorciatoie

Scorciatoie

Christian Bouthémy

E FINITO

 

 

 

 

 

 

 

Sembra semplice

            dire la vita filigrana

                        questo niente d’ira

 

 

 

*

 

 

 

Quel pomeriggio le foglie avevano il colore di soli che non esisteranno mai.

Piangevo nella tasca di un altro la sua sconfitta. La via si chiamava Nero.

 

 

 

 

 

La ritrovavo un giorno da adulto.

Non esalava niente.

Fu scenderla.

Che un amico vi abitò mi intimava.

 

Così dopo la bara d’uso

noi siamo liberi da noi stessi.

 

 

 

*

 

 

Era là. Nella paura lui. La coperta più spessa del nero. Se ne ricorda, la coperta avrà preservato la sua nudità.

 

 

 

 

 

Non hanno visto niente. Io ringrazio.

 

 

 

*

 

 

Andai a prendere le uova. Con lei. Questa volta mi domando sempre perché ciò sarà stato l’odore della sua gonna a quadri oppure di donna anziana. Aspetto che la donna verso di me porti il colore sui suoi capezzoli di una pelle d’uovo fragile e definitiva come l’infanzia.

Il ritorno fu lento il sole così basso che la mia età diede alla morte il sapore di un mangiare prossimo.

 

 

 

 

 

So che la scena è scomparsa trascinando il suo rumore. So che il rumore aveva cessato di essere prima di lei.

 

 

 

*

 

 

La mercedes era gialla. Di materia plastica, marca Norev.

Avevo insomma contato i chilometri al contrario. Le briciole del sandwich e la saliva secca saranno state la prova che avrò lasciato poco l’abitacolo. Soprattutto, la strada offerta era il compimento.

 

 

 

 

 

Davanti. La strada aveva il suo ruolo, condurmi.

 

 

 

*

 

 

            Molto avanti; il muschio (la schiuma) splendente aveva, contro la pietra viva, un giallo che ancora oggi mi assicura l’eternità, questo lento paesaggio che l’occhio chiuso legge.

Domani aspetterà che un cammino sarà stato per svanire.

            Quello che mi soprese, soprattutto mi sorprende, fu che il cavallo che avevamo fatto uscire dal recinto manifestò la stessa frenesia delle mie ossa ogni mattina d’oggi.

 

 

 

 

 

            Solo poteva credersi di proteggere; tra il muro e il vetro della finestra, la bocca aperta silenziosa come uno sguardo.

            Quattro anni vissuti e il muro si imponeva al terrore di scomparire.

            L’animale non l’avrà mai saputo chi nitrisce ancora.

 

 

 

*

 

 

Dopo il maneggio, i calzoni così corti correranno verso. Se non ci fossero stati i bidoni, per ridicolo si intende la madre caduta nella segatura.

 

 

 

 

 

Ricordarsene sarà stata noia; la madre sarà scomparsa che la segatura sarà la stessa.

 

 

 

*

 

 

Si è battuto. Sangue e moccio mischiati per un sorriso d’addio; Cosa ha fatto di quello che mi sembrava un regalo. Una rissa per orgoglio.

 

 

 

 

 

Quando gli avrò parlato, sapeva che non sarebbe mai mio figlio.

Sorvolando quello che diveniva un campo da gioco, ho saputo che non avrebbero mai la stessa età.

 

 

 

*

 

 

Mi sorpresi d’affetto per questa camera.

Probabilmente il corridoio che vi conduceva appare un tappeto rosso appassito come il tempo. Amai i due termosifoni che ogni volta sorvegliarono il mio ingresso.

 

 

 

 

 

Le tracce di fumo avranno ricordato che l’eternità è questa fantasia.

 

 

 

*

 

 

Aveva paura delle sue menzogne. Ritornando alla casa le credevamo. La convinzione serviva il tradimento.

 

 

 

 

 

Non sarò mai stato trasferito. La cucina a gas fu venduta. Quanto ai dolori...

 

La gatta, non abbiamo avuto la sua spoglia. Ma le strade che furono le stesse, alla svolta saremo cresciuti.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Mi succede di essere cresciuto. Le scene invecchiano.

 

 

 

*

 

 

La luna era stanca e rotonda. Come la strada. La vettura stretta come la vita avrà guadagnato la sua vendita.

 

 

 

 

 

Il giorno della partenza eravamo stanchi e i sedili rossi.

 

 

 

*

 

 

Non era mia sorella. Al ritorno della giornata, la scuola perdurava intorno allo stagno.

La pietra che lanciai avrà raggiunto il suo bersaglio. Più che essere egli ferito, io sarò espulso.

 

 

 

 

 

In poco tempo, questo bisogno di bicchiere che ha il vino.

 

 

 

*

 

 

Gli avremo rubato il centuplo (per la nostra visione pantagruelica dei nuovi franchi).

 

 

 

 

 

Prendiamo ancora oggi qualche bicchiere insieme, non sappiamo più in nome di che cosa.

 

La strada, sempre, perché appena risvegliati, noi la rievocavamo. Mio fratello ed io, a quell’età, per essere sicuri di sbagliarci.

 

 

 

 

 

Ci amavamo sapendo l’odio crescente. Ci sarà necessario lasciarci per lasciare.

 

 

 

*

 

 

Un bel pomeriggio. Sul marciapiede in pendenza avevo passato la mia noia a perdere tutte le bilie di vetro che mi avevano regalato.

 

 

 

 

 

Un’età in cui non avevo che la scelta di rivendicare le mie sconfitte.

Le si chiede di rendermele.

 

 

 

*

 

 

Appena vuoto il bicchiere, sapersi atteso.

Fu meglio tacere prima del silenzio.

 

 

 

 

 

La montagna avrà tuonato, io non so obbedire.

 

 

 

*

 

 

Lei mi guardò come se l’innocenza fosse vera.

 

 

 

 

 

Mi sarà necessaria questa vita per dimenticare quando fui pulito.

 

 

 

*

 

 

Io non parlo una lingua materna, non ne ho.

Una libertà è questa costrizione di apprezzare i limiti della propria, imparato “anche tu”.

 

 

 

 

 

Imparato per dirsi, là dove molto velocemente si impara a trovarsi, solo senza il dubbio di essere solo volontario.

 

 

 

*

 

 

La barca è ancorata, si apre il tempo affinché cielo e fiume si intreccino. Ormai perpendicolare al flusso come, certamente, il bambino si sveglia nel letto della vigilia.

Un mattino nutrito già della vertigine di essere domani, l’orologio didattico avrà annunciato la bravata.

 

 

 

 

 

In questa mattina di Natale, nonostante le sue luci intermittenti, il Caravelle, alimentato a pile, aveva bisogno delle mie mani per decollare.

 

 

 

*

 

 

Al primo gesto fabbrica cosciente del ricordo l’anno si mise a tacere; rompendo per la mia eternità il suo silenzio. Era il giorno in cui la presenza dell’altro avrà preceduto.

 

 

 

 

 

Io andai, con mio nonno, prima che la notte cadesse a richiudere il cassone della coltivazione di crescione d’acqua.

 

 

 

*

 

 

All’angolo di questa strada scorgere una Dauphine prima che piova su Montevideo.

Sapere che fu un cosa comune quando mi cimentai sulla bicicletta su una strada in terra battuta; io accordo la nostalgia alla rarità oggi di chi sarà stato testimone della mia incompetenza.

 

 

 

 

 

Davanti a me le onde del Rio de la Plata rosseggiavano; movimento incessante della calce viva quando le ossa scomparse si spartissero il tempo degli sguardi.

 

 

 

*

 

 

Così poco interesse per sé; il nido rubato restituito; come dire all’altro chi l’avrebbe potuto; mi raccolgo?

 

 

 

 

 

La carta aveva i suoi colori. Abituato al rilievo io attendevo.

 

 

 

*

 

 

Io ero partito, il cuore dopo di me, non si pretende.

La colpa mi avrà conservato.

Riconosciuta, dormire poi per preoccuparsi. Il sole doveva essere. Blu nel periodo in cui il cielo era simile.

 

 

 

 

 

Il libro non era sicuro.

 

 

 

*

 

 

A metà strada, perfino davanti al femminile, stupirsi.

La vita tra virgole.

 

 

 

 

 

Per piacere, come scomparire.

Mi sarà piaciuto -  sentenza.

 

 

 

*

 

 

 

Non gioco (recito) più. Il corpo ha le sue ragioni.

Avrò preferito “ha la sua uva”.

 

 

 

 

 

La 4 CV aveva i suoi sedili.

 

 

 

*

 

 

Io sono là senza debito.

Tu metterai il plurale dove ti sembra bello.

 

 

 

 

 

Abbandona; il prato è là.

Tu mi hai domandato, tu avrai detto.

 

 

 

*

 

 

Il tempo concesso. Quando tu sarai stato, la fine della corte senza miracolo.

 

 

 

 

 

Mi sarà piaciuto denunciato. Come se dovessi il tempo della lingua. Io resto mancino.

 

 

 

*

 

 

Il bambino era legato

                        mani e caviglie

        una di quelle

                        mi tormenta.

 

 

 

*

 

 

 

Szombathely New York Express

 

 

 

            Tra le stele verticali che arricchiscono l’intreccio delle edere, circolavano i rumori di ferro della stazione divisoria. Si sarebbe creduto di camminare nel cuore di un vestigio, quello di una risaia prosciugata in permanenza dal canto degli uomini.

            Il freddo era là preciso per indurire la tonalità.

            Ci ripensai all’angolo di una via, quando scorsi al di là del bidone e del casellario per giornali, le stesse stele, ma mute in questo triangolo orfano, che si sforzavano molto contro altre immense, libere dai soggiorni quotidiani degli uomini. La pioggerella scacciava dalla sua densa noia il chiarore ottuso del freddo.

            La camera dell’hotel aveva la piccolezza richiesta per obbligare a riprendere il cammino.

            Sulla chiave rimanevano per altri i suoi punti cardinali 4-E-1.

            L’ultimo dopo il treno.

 

 

 

*

 

 

Nessun treno qui. O là. Altrove.

L’alcol diventa lo staccato del tremito

Perché bisogna tremare. La terra trema

qui sotto ai miei piedi. Il blu è figura della paura.

I cimiteri sono parsimoniosi. Non ci sono

gatti. A Szombathely sotto la neve non più.

I fiori a New York sono recisi qui. Il

treno non vi è per niente, non esiste più.

Ho camminato sulle traversine come sulla

mia vita, di traverso più del legno

impassibile, il suo disprezzo durerà fino al ruolo

che il brulotto stimola. Si può fermare

il fuoco fino al suo impiego. Nessun treno qui,

tranne il rumore del silenzio, sempre,

un po' di neve per accompagnare la caduta

del blu. Qui i vagoni sono immobili,

intirizziti sotto al sole d’inverno. Qui l’edera

non rinchiude che il ricordo, come un becco

dilatato si crede padrone del tempo.

Nessun treno qui, mai più; il papagallo

è capostazione. L’alcol

non trema più, la sua giornata è compiuta.

 

 

E questo treno invisibile attraversa

in proprio l’ufficio e le grida

allora, la terra trema di essa

E io sono stanco, sicuro...

 

 

 

*

 

 

Niente è grave quando l’ora è superata. L’ultimo vagone è quello che si attarda per la televisione. Il gesto di solitudine diventa il dire dell’abbandono.

Partire è l’esercizio usuale.

Non si spostano di più le tombe della traccia del corpo là dove è caduto.

 

 

L’edera, fuori, prende

il tempo della mancanza

e spoglia la speranza

dalla sua sorda volontà

il muro esploso di sole

 

 

 

Il treno, la sua scomparsa

                                               istradata,

il fumo solo si accorda.

L’odore quando i tuoi talloni

                                               sulla scala

suonano la stessa ora

 

 

 

*

 

 

Un disastro, la mano tagliata per esempio forata per l’uso, - il contorno della mano da allora preparato - palma - le dita fanno soliloqui una memoria tessuta, il cerchio evita nel porto del cerchio - la pianura curva per noia della pianura - il riflesso del parrucchiere - il rasoio taglia giusto; una barba al contrario ridotta all’ombra del fumo di qualche carne - il disastro,

il pappagallo turco che ripete in francese, - canzonatura involontaria, le ali tagliate sbattono - il suolo ripete il rumore, non sopportando più il sangue, rosso collegato.

 

Lui rimise la pendola all’ora, io presi il tempo di leggere che fu senza successo.

 

 

 

 

 

Sotto al freddo qualche erba giura di immobilizzare, inavvertitamente, un vagone smobilitato.

 

 

 

*

 

 

Szombathely

con il tempo freddo

                        di me la notte

l’età è dopo

                        le labbra si raggriziscono

il sorriso sdentato

                        suonano le quattro

Domani il cieco

                        sorriderà

 

 

 

*

 

 

Le poche ore. Ad ogni angolo il sole invecchia.

l’ombra segue, urtata appena.

Il tombino segna la pagina.

Poi girare a destra

all’angolo  dritto

la lampadina del lampione è bruciata.

Senza luci l’eco del T.G.V.

la piccola croce di mezzanotte.

Che cosa diventano le rotaie

dopo di loro

 

 

 

 

 

Che si lascino

                        non dimenticheranno i due soli

l’orfano cammina

                        lentamente e l’erba schiacciata

gli ricorda, esaurendo il suo cammino,

                                   che un passante è stanco

 

            Mi alzai, la scala non era mai servita. Il muro probabilmente per il dialogo immutabile, è un contro a sé stessi che si raccontino ancora per stare.

            Uscito dalla pioggia e dagli schiaffi silenziosi della montagna, su questo tentativo di strada autorizzata dalla memoria delle pietre, esse spinte ma tignose, arringando il tempo e la sua speranza- : Il Vostro spostamento è il mio piacere di vedervi intimare, voi là spostata io so di voi il contrario e l’incapacità - un vagone ridipinto, tranquillo, stationava tra due donne che non avevano la stessa età.

            La birra Kasbegi non aveva il colore della pioggia dall’altro lato del finestrino di cui tirai la tenda. Il vagone legava altri malintesi allorché io sapevo, qualche ora dopo, il muro cedeva sempre, appena affaticato all’impresa della scala. Mi ero sforzato a dieci chilometri da Vladikavkaz.

 

 

 

 

 

 

 

Prova d’amore

 

 

 

 

Un morsetto, cemento dritto

 

prima della creta

 

quella che con il volo (furto)

 

della metà dell’alba (pala)

 

seccherà l’acquazzone dei torti,

 

un morsetto senza luce

 

implosione fatta.

 

 

 

*

 

 

 

Ho cominciato. Mi era stato richiesto un romanzo poliziesco.

Ho pensato al romanzo. Non volevo nessun dialogo salvo l’enigma. Enigma senza dialogo possibile, non poteva che essere te.

Che cos’è?

Cosa fare dell’articolo?

Credere è volontà di vivere che non aspetta nulla. Ora io credo di poter dire.

 

 

 

*

 

 

 

            Cominciamo dal più comune. Noi non conosciamo che la vita. Ma che finirà quello che definirà la nostra certezza, noi non sappiamo niente.

           

            Bisogna dunque pretendere di compiere quello che non sappiamo, che la vita è ciò che sfugge.

 

            Forse al solo fine che la morte la saluti, come una lunga o corta testimonianza di chi l’aspettava.

 

Il tempo impiegato non troverebbe senso che dall’abbandono della storia, piccolo comune che aggiunge un giorno all’altro.

 

            Rifiutare la storia è essere libero da posterità, questo voi che noi ameremmo malgrado tutto sentire parlare di noi.

 

Non c’è niente da fare, l’uomo non è riducibile. Appena si autorizzerebbe, se si riconosce, come passaggio alla menzogna, come chi lo conosce meglio di lei stessa.

 

Finiamo come atteso, è comune che inizio e fine si ignorino.

 

All’uomo di essere.

 

 

 

*

 

 

 

E’ da te

 

che io e te

 

siamo

 

come siamo.

 

 

 

*

 

 

Comincia come la lingua, da una morte. Curiosamente, la pozza di sangue voleva tornare a casa.

Sulla scalinata esterna, niente.

Continua come la lingua, nonostante la morte. sulla scalinata esterna sempre niente.

Chi ha visto?

Allora là, sulla scalinata esterna chi sa chi ha visto?

Comincia da quello che so io?

Io dico : allora comincia dopo la lingua, prima del sangue? Dico : prima del sangue? il flusso della parola dopo la lingua.

Una pozza di sangue per un flusso di parola?

Io dico che la parola era dietro alla porta, ho visto il suo riflesso nel sangue.

Comincia come un riflesso. Ma l’immagine non sembra voler tornare a casa. l’immagine era il riflesso della casa che voleva tornare?

Dunque la casa rientrata nell’immagine voleva uscire dalla casa!

Comincia come la lingua, dal suo riflesso la morte.

Curiosamente la pozza di sangue sarebbe un’immagine.

Sulla parola niente.

Da sotto la pozza la scalinata esterna si sgretola fino all’assenza.

Come un corpo affaticato dalla sua rigidità promessa.

 

 

Appena dopo il mare

                        mai senza

                                   il tuo consenso

Lei viveva

            troppo tardi

                        quando di bianco

 

                    Essere del tempo

              la schiuma lacerata

 

 

 

*

 

 

 

Solo la menzogna non fa

rumore, è la moneta

viva.

Non sapere la parola è non

sapere.

I canti chiusi ci dicono.

 

 

 

*

 

 

I piccoli pezzi in moneta fitta o in ordine sparso.

 

 

 

 

*

 

 

 

 

            Tre persone. Forse quattro.

            L’uso è il sonno di sé.

            La mia lingua vivrà dopo la mia sorte.

 

 

 

*

 

 

Di loro stesse, persa questa sera

Lei, dell’ombra, la giacente.

Silenzio di rumore, il sogno dubbio,

parola, moneta viva di piaga.

 

 

 

 

*

 

 

 

Il nero

        La scorza del tronco

            contro la neve

rifugiato

 

        L’ora senza vento

        che oltrepassa il suo tempo

meticoloso cammino

 

        il nero

senza il grido alato

        del corvo

 

        il suono

        sotto la neve

                        scrutato

 

il nero alzato

            scaldato

                    al coperto perché

 

la slitta e il ragazzo

 

tra i mattoni

        rotto il biancore

lo spazio del mattone

                        rotto

            due volte diviso

 

nel biancore del dire

                    la parola sopravvenuta

 

il crepitio accelera

            sopravvengono dopo di loro

                                               i secondi.

 

 

 

 

*

 

 

Sguardo

        alza la gru

le nuvole sotto

 

il mistero è blu

            è tutto.

 

 

 

 

*

 

 

 

Senza tempo

        barricata alzata

        il corpo passa

 

la testa dopo

        gioco di bambino

 

il bambino attonito

        sulla sabbia

        spellare la testa

 

l’onda spegne la lama

        coltello abolito

 

 

 

 

*

 

 

 

Se giorno

        è giorno

se lo stesso

        prima

 

rientra

        nella ferita

            il sangue

 

l’origine

        tace

            per meglio

                    dirsi

 

Se giorno è giorno

                 dunque

questo giorno.

 

 

 

*

 

 

Vino bianco verso Trieste

            il ridere il mare aperto

                        alla schiena

 

       Un mattino

gli scalini uno dopo l’altro

ritirati nel biancore del blu

            scalato

 

L’estuario

            volto che avanza

                              nel sole

dopo che la città si separa

 

Sotto il ponte

            è la lama segretata

                   al cuore della sabbia verticale

 

La riva gemella

            l’acqua non cerca

                        chi ci si sporge

 

La balaustra è scomparsa

                        il film arrugginito

            porta l’eclissi del tempo

 

Gare de l’Est

            il tintinnare limpido

                               come il bloccarsi diurno.

 

 

 

*

 

 

 

La tavola timida

            roccia e acqua

nell’intimità piegata

                        della carta

 

oscurano

                   il blu scindibile

 

il foglio si sforza

                     al movimento

 

due blocchi

            e il taglio spurga

                        l’indigo

 

la montagna si desola

                   io aspetto il sole

                        il nero rilevato

 

 

 

*

 

 

La via s’apre

            una porta batte lo sguardo

stretto delle sedie

 

Il portacenere indica

            la notte cercata dalle mani

 

La finestra

            un tetto sull’altro

            dopo che è partito

                                il giorno

 

Sola faccia allo specchio

        divenuto riflesso

 

Poi l’ombra

            ha portato il silenzio

            assente dell’albero

 

il cielo allora decolla

                        una foglia

alta prima del rumore

 

- Che è più lontano -

 

All’angolo del tempo

        i passi si separano

                               al contrario

 

E la piazza conquista

            una gamba ormai più corta

                                           dell’ora

 

 

 

*

 

 

La stella messa giù

            aiuola identiche

            le efemere nel

            silenzio ripetute

            panoramico

 

La montagna scruta

 

Dei dintorni

               incavati prima del giorno

               la faglia la parola

 

- poi altura - usato

                        (il suo assente)

 

il ponte è prima -

               si dice - tra le rovine

 

Paralleli al fiume

            due passi si sforzano umano

            l’acqua non ha compatito

 

si offrono due sguardi

                    alla riva

 

l’acqua si sillaba

                  pietra dimenticata

                  vivo il giorno corrente

 

il freddo è secolare

                  prima del dramma

                  La neve dimenticata

                                   La caduta

 

Sopraggiunge

            la paura prima niente

            l’acqua aperta

 

 

 

*

 

 

 

Non sorvolai l’Ungheria, sorvolai il ricordo di un giovane che portò il mio nome, al quale dovevo ancora parlarne.

La dimenticanza è questa diversità che non vuole niente, ma lei conosce.

Il saluto intimo (densità trasversale) fuori dal tempo. Con i giochi (le interpretazioni?) di me che mi aspettano per pensare il tempo dopo di lui.

 

 

 

*

 

 

Il bar ripiegato

            sul bicchiere

               tutto ti sovviene

pieno come il marciapiede

                        sotto alla neve

                           e l’immagine

Hopper brindava (trincava?)

queste donne

               così sicure di essere uomo

               io stavo guardando

poi venne bello

                inavvertitamente

                 qualche passo

cercarsi dimenticato

                    trovarlo

Hopper brindava (trincava?)

costui parlava

               quelli

               tutto ti sovviene

il bicchiere spiegato

               perfino il giornale era

             del giorno

             all’angolo presto

farà notte

               Hopper brinda (trinca?)

richiede tempo

                    un giorno

per prima cosa un portacenere

                      trasparente qui

                      e poi

vivere è

               a

            dire (cioè?) davanti al passo

un letto forse

e poi andarsene

             perché la lingua

                      è mortale

Ritornare

              semplice ritorno

prenderlo

richiede tempo

              un giorno

come gli altri

 

 

 

*

 

 

La roccia riprenderà

                    te l’acqua

                        la schiuma

 

la roccia

        separata da chi, l’albero

        dal mare

                l’invenzione sei tu

 

silenzio d’acqua

        a mezzanotte prima

                                    lui

la schiuma è due

 

        separati nella

            parola

          il gesto è sufficiente

 

nella virgola

        l’arco del lampo

                      soffre

 

un giorno nuvoloso

          lenta ascensione

                        è

 

un punto lontano

                      come sé stesso

          per un cielo blu

 

 

 

*

 

 

Io ho perso il tuo nome

                        Jaramillo

(nome) secco come

                    ahora

la croce guardava

                      gli occhi arrugginiti

        le sue braccia divenute dita

 

Emergere dai selciati

          disgiunti

ombrosa verticale

                      della carretera

 

Sul silenzio del lago

la barca scivola una parola

 

la sua direzione sarà

          il nome di oggi

 

qualche isola

          rimproveri perduti

        da questa ‘rocaille’ sfiorita

 

Non ci sono fiori

        abbastanza secchi

                                qui

per preparare l’inverno

 

le lacrime sugli occhi

          di un pappagallo avaro

docili alla mano in pendenza

                        dell’adolescente

 

Bisogna che l’acqua

    si sfracelli contro la memoria

in una lingua siesta

                                per aspettarti

 

Io ho perso in tuo

                    nome

come lo dici tu.

 

Il tempo è acqua di pioggia

        pioggia così come goccia l’onda

                    ogni granello di sabbia

 

senza saperlo un granchio

                      è fermo

 

la roccia non si sa

                ricoperta da lui

                      perfino foglia

 

sulla quale scivola

                        umida

l’assenza d’ombra

 

il tronco sotto alla pioggia verticale

                squarciata ancora nel nembo

                                               deciso

 

svanisce il tronco

                resta verticale la pioggia

 

                       il granchio è fermo

                       l’acqua su di lui

 

non portato

                fuori lui rovesciato

urta verticale il tronco

 

la carapace ombra di lui

                               secco

granchio d’albero

                ormai la pioggia

densa

 

vi ho detto la sabbia

                dei bambini bagnati

il corpo umido

            sulla sabbia sott’acqua

 

la casa resta l’occhio chiuso

            granchio dagli occhi

d’uomo

 

 

 

*

 

 

spazio chiuso

                   secco

 

L’onda finita e

                   la pioggia rotta

dall’aria

 

allo stipite della veranda

            una carapace secca

                        davanti alla vita

 

 

 

*

 

 

la finestra

            spalle rivolte alla ringhiera

la notte si doveva

            luogo vicino

                        a parola

per il tempo

                di scomparire

allora inclinato

tra mattino e tenebre

                            dimenticate il corpo

 

all’indietro la vita

le persiane aperte

                        stupefatte

 

la mano percorre il legno

                            gesto inchiodato

                        alla ringhiera

 

 

 

*

 

 

Io non so

            che l’abisso

                        dopo di lui si rovina

 

il timore è erosione

                        della paura

 

la sillaba detta

 

l’abisso si agghinda

            spinato incava

la carne è a pezzi

 

la sillaba si dice

 

La notte precede il giorno

            la fede nutre

 

Così poca terra

                    così velocemente

il dito prima dell’unghia

                        velato

 

la sillaba dimentica

 

Questa tensione

            una zampa dopo l’altra

                  il granello fugge

                                    il granello

 

Da questo movimento

                  distrutto il tempo

                                   scricchiolato

 

Due rifugiati

                  sott’acqua

                giusto il rumore

                                   del detto

 

granello sgrana

                  la spiaggia

                l’acqua sorge

la sabbia teme

                      l’acqua che

la coagula.

 

 

 

*

 

 

Due

      prima di tutto

      lo ferma viva

 

due volte

    della metà

            mostrato il mangiare

 

il piatto vivo

      riunisce l’uno

 

la tovaglia permette

                i due gomiti

                        il segno

 

alla lunga

            la tavola è

noi eravamo

 

      qualche buccia

giusto in faccia al coltello

 

il pasto è veloce

                il tempo obbligato

la tavola credenza

              alla fine le braccia

                                    stanche

 

il manico è.

 

 

 

*

 

 

Davanti alla lingua

            un caffè nella

                                   tazza

 

lo stato semplice davanti

                        alla natura

il mare era blu

                come il libro.

 

 

 

*

 

 

La serratura arrugginita

                        - vediamo -

            alla mano

                        la tasca

                        giusto il braccio

la mano di chi

 

il prossimo rinchiuso

                        la parola

                                    a mani

 

Riguardo

        singolare senza

                        il braccio

 

 

 

 

 

 

 

 

CAMMINANTI 

 

 

 

            A) MOBILE

 

 

1)         La via Offenbach. Noi non la conoscevamo senza la zona dopo il Juke-box. Offenbach era per noi il tempo necessario per andare dal macellaio a casa nostra. Eravamo di famiglia e là in alto, i baci prendevano il tempo del servizio.

           

            Dopo l’angolo dritto, comprare velocemente, là in alto il banco, la costata di vitello.

 

            Io, di questo mondo, piccolo che guardavo, noi non eravamo una grammatica che si dimostra, giusto un bambino che uno non dimentica. Avevamo dunque fatto dieci metri ritornando da me.

 

 

2)         C’è pena senza maestro, che è la storia che non sanno. Che ti dicono che sono scappato da questo mondo che ti riprende in questo catalogo che essi cercano ancora. Noi non abbiamo fatto che dieci metri, quello che, per alcuni, che sono alcuni, deve accordarsi a dieci volte il tempo di essere.

 

 

1 bis)   E che dopo aver saputo se io ero, sito, piccolo, mi si serviva per la moneta. E sapere, io la moneta a limatura sapevo appena contare, quello che contava era che si suonasse alla Maison.

 

            Appartato: Alla partenza del percorso, altri, dall’altro senso, calpestano un marciapiede che non è il mio, a meno che una traversa li renda liberi dall’obbligo.

 

 

2 bis)   Nella discesa lenta da quella strada, di cui la storia modifica il barcollamento, dalla strada non asfaltata alla pavimentazione del marciapiede nel divenire, si ferma lo sguardo su qualche gru indicatrice che il percorso si dimenticava di noi.

 

 

 

 

            B) DIECI METRI AVANTI VENTI METRI PIU’ IN BASSO

 

 

Esposizione: sole appaiono le fondamenta.

 

1)         E’ tardi, testo presto, l’uomo ultimo, il pretesto tardivo all’inizio.

 

            Solo come sul marciapiede appena restituita la moneta. Ci vuole la lentezza del marciapiede assente per immaginare la falce che sobbalza dietro al passo.

 

            Poi, anche loro, diventano grandi, edifici. Il marciapiede avanza, non si cammina più nel mezzo, di che cosa prima dell’asfalto.

 

 

2)         Io scrivo, mancino, nel punto delle pagine come mi inventai a sinistra il marciapiede lastricato per non liberare, questo fuori limite, in questa intenzione la verticalità del cammino dritto da a casa mia.

 

            Semi-parole: “Bevuto ancora un bicchiere davanti alla linea, non serve a niente giusto potere senza scopi, per essere l’altro lato del marciapiede che non esiste. Non lo specchio, la frantumazione a venire.”

 

            Parola: “Questi venti metri hanno scacciato i dieci metri”.

 

 

1 bis)   Io non crescerò; e questo stile di oggi merita questo! no! furfantello per applaudire l’acquisto. Questo! Le vetrine gli occhi che brillano, gli studi niente. Una stilografica a terra, sconfitta.

 

 

 

 

            C) NIENTE QUARTIERE

 

 

1)         Poi il ricordo testimonia. Indica un treno inventato, la campagna napoleonica, campagna è guerra senza quartieri.

 

            Il quartiere sa oggi ricordare dell’odio. Quartiere, alberi, arbusti, siepi prima, ormai cuadrilla, quadriga, taglio.

 

            Bisogna salire venti metri, per i quattro muri del parrucchiere turco, ma la macchinetta è meccanica.

 

            Lo si crede della nostra ultima età, quello davanti a ciò che noi siamo.

 

            Lui ha sofferto, in quello che siamo siamo già spariti.

 

 

1 bis)   Noi non sopportiamo pìù il banco da macellaio dai dieci padroni al contatore delle pavimentazioni del marciapiede.

 

            Dalla fila fedele al pezzo di carne, risultato invalido a rendere rosso a casa propria, dalla traversata dell’acquisto alla digestione.

 

            Questa carta da macellaio, al giallo morto di paura, che prevede la battuta della matita grassa.

 

            Già oleoso affinché la carne sembri grassa.

 

 

 

 

            D) E’ STATA DIMENTICATA LA SALITA

 

 

1)         Eh sì, sempre l’incomprensione di sé.

 

            Ordinazione della madre al macellaio, dapprima. Questa mancanza di libertà sfugge.

 

 

1 bis)   Prima dell’acquisto, la richiesta, dopo la richiesta, l’ordinazione, infine prima di tutto l’obbligo.

 

            Noi, là in alto, Babele delle incertezze. Eh tu, lezioso, prima macellaio.

 

            Appartato: Un giorno gli occhi all’altezza del sangue secco. I cervelli gemelli mi fiutavano. Quale?

 

                         Niente. Già il fegato.

 

 

2)         Eppure ci si consegnava durante la scuola, ma bisognava essere appeso. Penzoloni la corda la salita, l’acquisto preparato della scelta, il riscatto della dimenticanza, lo sputo dell’impiccato, il gusto del bacio.

 

                        Poi:

 

                                   La discesa. La lingua perduta.

 

 

 

 

II

 

 

1)         Via è differente da strada. Via è là dove ci si ferma. Strada là verso dove si crede di fuggire. Senza sosta riferirsi all’obbligo, questo piccolo patio che sa tutto di noi.

 

Conoscere lo scricchiolio prima dell’erba, prima sé di quelle che ci convengono.

 

Questa fedeltà, dallo scricchiolio all’ignominia, ogni giorno questa via la imparava, che io mi rimproveravo la linea dritta, io ero fiero della distanza tesa all’avvicinamento, da rifare ogni giorno fino al rimprovero.

 

2)         Il boschetto

 

Questa storia di alberi mi è sgradevole. Questa tenuta immobile era il cammino dritto verso la dimenticanza del letto. Oggi pomeriggio vestito, l’altro spoglio, in nessun caso causa di questi occhi che io accordavo alla lunga via del ritorno.

 

Boschetto termine sanitario per una via terminata, stretta in un senso unico - povera nello scambio, perché io solo ho scoperto il garage in cui pisciare a mezzo luogo.

 

Una strada che protesta per la solitudine dei propri luoghi, che non sopporta i rari inquilini fedeli.

 

 

 

 

 

 

 

IN FINE

 

Se fosse sufficiente che un giorno, per non so quale inavvertenza, un fatto insigne, allora comincerà. Un po' di colori al termine del respiro, già, di tutto...

Se fosse sufficiente che dopo la stessa cosa - questa terra scossa - fosse là.

Se fosse sufficiente che uno sguardo fosse al riguardo. Allora.

Se fosse sufficiente per tutto questo, che fosse.

Noi non siamo, io ed io, dello stesso tempo.

Dopo tutto questo, attendere; se fosse sufficiente del giorno per l’ombra.

Azioni sul documento