Tu sei qui: Portale PIAZZA 3 CASA DELLO SCRIBA Gli anelli di Saturno - La frase infinita

Gli anelli di Saturno - La frase infinita

Alessandro Gaudio

 20. La frase infinita

 

Cerco, allora, di definire i contorni di questa cosiddetta costruzione che è la letteratura e lo faccio passando per il tramite di due caratteri di essa che, fino ad ora, ho sempre ritrovato al fondo degli autori di cui mi sono occupato in queste pagine: la contraddizione e la ripetizione. Non dev'essere considerato un caso il fatto che essi possano essere pensati come i segni più significativi di quella che è stata definita la crisi dell'ordine non univoco della realtà: ad essa − nella cultura austriaca che ha come capisaldi Freud, Wittgenstein e Musil, ma non solo in quella − corrisponderebbe, secondo quanto sostiene Aldo Giorgio Gargani, uno stretto legame tra estetica ed etica. Sinora si è preso atto del modo in cui il pensiero può scaturire dall'immagine (come avviene nei testi di Sebald o sulle tele di Tripp); tuttavia, la scienza del pensiero, con il sorprendente aiuto della poesia e dell'arte, deve saper addentrarsi nella tenebra per scoprire quello che Musil avrebbe definito l'ordine delle possibilità alternative.

Gli anelli di Saturno 2L'opera di Thomas Bernhard contempla esemplarmente questo nuovo ordine, pervenendo persino alla stessa visione della realtà proposta da Sebald e da Tripp, ma passando per la dissoluzione di quella visione, per il vuoto che c'è sotto, per il suo negativo si potrebbe dire. Più che di contemplazione, con Bernhard si dovrebbe parlare di «esercizio critico contro i fatti» (il saggio di Gargani intitolato La frase infinita, dal quale traggo questa citazione, è del 1990), vale a dire contro quei concetti dati, sui quali solitamente si arresta il pensiero ordinario. Bernhard sceglie alcuni luoghi per esercitare il suo pensiero e per far reagire le logiche vigenti con quel nuovo ordine, contraddittorio e ripetitivo.

Lo fa nell'ultima fase della sua vita ambientando Il nipote di Wittgenstein (trad. di R. Colorni, Milano, Adelphi, 2001) all'interno della struttura ospedaliera che, nel 1967, ospita lo stesso Bernhard e il suo amico Paul Wittgenstein, nipote del più noto filosofo: il primo − come si spiega nella storia originariamente pubblicata da Bernhard nel 1982 − è ricoverato nel Padiglione Hermann, nel reparto di pneumologia; l'ultimo nel Padiglione Ludwig, destinato ai malati di mente. Il racconto dell'amicizia tra i due prende le mosse dalla distinzione tra i due spazi e si sviluppa attraverso la loro progressiva sovrapposizione, secondo un procedimento più volte riproposto dallo scrittore austriaco. Contrapposizione e confusione riguardano la storia, i temi, i personaggi e, ovviamente, gli spazi di molte opere di Bernhard, ma spesso attengono anche all'ordine del discorso, cioè all'impianto logico vero e proprio della narrazione, come si può facilmente osservare in tanti momenti del Nipote.

Nel passaggio che riporto di seguito, Bernhard spiega ossessivamente come, a differenza delle ricchezze materiali di Paul, che ben presto furono completamente dissipate, «le sue ricchezze intellettuali si erano rivelate veramente inesauribili; Paul le gettava continuamente fuori dalla finestra e (nello stesso momento) quelle aumentavano, aumentavano sempre più, quante più ricchezze intellettuali lui gettava dalla finestra (della sua mente) tanto più esse si accrescevano, essendo in effetti la caratteristica di questi individui, inizialmente definiti pazzi e poi alienati mentali, quella di gettare incessantemente e sempre di più le loro ricchezze spirituali fuori dalla finestra (della loro mente), mentre queste ricchezze spirituali, con la stessa velocità con cui essi le gettano dalla finestra (della loro mente) si moltiplicano e si accrescono nella loro stessa mente» (p. 34).

è proprio infinita quella frase che ritorna continuamente sul proprio oggetto, ridiscutendone il senso o, semplicemente, riproponendolo tale e quale. Bernhard descrive il processo che ha fatto sì che la mente del nipote di Wittgenstein, non riuscendo più a gettare fuori dalla finestra della sua mente le ricchezze del suo spirito o non avendo saputo trovare il modo di resistere, di star dietro all'accrescersi e all'ingorgarsi delle sue stesse ricchezze intellettuali, esplodesse. Riesce a tratteggiare il fatto, così e così, arrivando al contempo a dimostrare che la sua portata va ben al di là della vicenda biografica di Paul perché comprende la vita dell'amico ospitato nel padiglione vicino e finanche l'allestimento narrativo e retorico di ciò che è accaduto.

Sin dalle prime pagine di quest'opera e dopo aver comunicato che «la mente di Paul è esplosa e lui è morto» (p. 35), Bernhard ammette di essere uguale al nipote di Wittgenstein, pur aggiungendo, subito oltre, di essere completamente diverso da lui: a differenza di Paul, Bernhard non si è mai accontentato della superficie delle cose; entrambi, tuttavia, hanno scelto quelle prospettive così discordi al fine di autoproteggersi: è come se la realtà, narrata così, si rivelasse una tela, integra e tagliata o bucata allo stesso tempo.

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