Scorciatoie
Christian Bouthémy
E FINITO
Sembra semplice
dire la vita filigrana
questo niente d’ira
*
Quel pomeriggio le foglie avevano il colore di soli che non esisteranno mai.
Piangevo nella tasca di un altro la sua sconfitta. La via si chiamava Nero.
La ritrovavo un giorno da adulto.
Non esalava niente.
Fu scenderla.
Che un amico vi abitò mi intimava.
Così dopo la bara d’uso
noi siamo liberi da noi stessi.
*
Era là. Nella paura lui. La coperta più spessa del nero. Se ne ricorda, la coperta avrà preservato la sua nudità.
Non hanno visto niente. Io ringrazio.
*
Andai a prendere le uova. Con lei. Questa volta mi domando sempre perché ciò sarà stato l’odore della sua gonna a quadri oppure di donna anziana. Aspetto che la donna verso di me porti il colore sui suoi capezzoli di una pelle d’uovo fragile e definitiva come l’infanzia.
Il ritorno fu lento il sole così basso che la mia età diede alla morte il sapore di un mangiare prossimo.
So che la scena è scomparsa trascinando il suo rumore. So che il rumore aveva cessato di essere prima di lei.
*
La mercedes era gialla. Di materia plastica, marca Norev.
Avevo insomma contato i chilometri al contrario. Le briciole del sandwich e la saliva secca saranno state la prova che avrò lasciato poco l’abitacolo. Soprattutto, la strada offerta era il compimento.
Davanti. La strada aveva il suo ruolo, condurmi.
*
Molto avanti; il muschio (la schiuma) splendente aveva, contro la pietra viva, un giallo che ancora oggi mi assicura l’eternità, questo lento paesaggio che l’occhio chiuso legge.
Domani aspetterà che un cammino sarà stato per svanire.
Quello che mi soprese, soprattutto mi sorprende, fu che il cavallo che avevamo fatto uscire dal recinto manifestò la stessa frenesia delle mie ossa ogni mattina d’oggi.
Solo poteva credersi di proteggere; tra il muro e il vetro della finestra, la bocca aperta silenziosa come uno sguardo.
Quattro anni vissuti e il muro si imponeva al terrore di scomparire.
L’animale non l’avrà mai saputo chi nitrisce ancora.
*
Dopo il maneggio, i calzoni così corti correranno verso. Se non ci fossero stati i bidoni, per ridicolo si intende la madre caduta nella segatura.
Ricordarsene sarà stata noia; la madre sarà scomparsa che la segatura sarà la stessa.
*
Si è battuto. Sangue e moccio mischiati per un sorriso d’addio; Cosa ha fatto di quello che mi sembrava un regalo. Una rissa per orgoglio.
Quando gli avrò parlato, sapeva che non sarebbe mai mio figlio.
Sorvolando quello che diveniva un campo da gioco, ho saputo che non avrebbero mai la stessa età.
*
Mi sorpresi d’affetto per questa camera.
Probabilmente il corridoio che vi conduceva appare un tappeto rosso appassito come il tempo. Amai i due termosifoni che ogni volta sorvegliarono il mio ingresso.
Le tracce di fumo avranno ricordato che l’eternità è questa fantasia.
*
Aveva paura delle sue menzogne. Ritornando alla casa le credevamo. La convinzione serviva il tradimento.
Non sarò mai stato trasferito. La cucina a gas fu venduta. Quanto ai dolori...
La gatta, non abbiamo avuto la sua spoglia. Ma le strade che furono le stesse, alla svolta saremo cresciuti.
Mi succede di essere cresciuto. Le scene invecchiano.
*
La luna era stanca e rotonda. Come la strada. La vettura stretta come la vita avrà guadagnato la sua vendita.
Il giorno della partenza eravamo stanchi e i sedili rossi.
*
Non era mia sorella. Al ritorno della giornata, la scuola perdurava intorno allo stagno.
La pietra che lanciai avrà raggiunto il suo bersaglio. Più che essere egli ferito, io sarò espulso.
In poco tempo, questo bisogno di bicchiere che ha il vino.
*
Gli avremo rubato il centuplo (per la nostra visione pantagruelica dei nuovi franchi).
Prendiamo ancora oggi qualche bicchiere insieme, non sappiamo più in nome di che cosa.
La strada, sempre, perché appena risvegliati, noi la rievocavamo. Mio fratello ed io, a quell’età, per essere sicuri di sbagliarci.
Ci amavamo sapendo l’odio crescente. Ci sarà necessario lasciarci per lasciare.
*
Un bel pomeriggio. Sul marciapiede in pendenza avevo passato la mia noia a perdere tutte le bilie di vetro che mi avevano regalato.
Un’età in cui non avevo che la scelta di rivendicare le mie sconfitte.
Le si chiede di rendermele.
*
Appena vuoto il bicchiere, sapersi atteso.
Fu meglio tacere prima del silenzio.
La montagna avrà tuonato, io non so obbedire.
*
Lei mi guardò come se l’innocenza fosse vera.
Mi sarà necessaria questa vita per dimenticare quando fui pulito.
*
Io non parlo una lingua materna, non ne ho.
Una libertà è questa costrizione di apprezzare i limiti della propria, imparato “anche tu”.
Imparato per dirsi, là dove molto velocemente si impara a trovarsi, solo senza il dubbio di essere solo volontario.
*
La barca è ancorata, si apre il tempo affinché cielo e fiume si intreccino. Ormai perpendicolare al flusso come, certamente, il bambino si sveglia nel letto della vigilia.
Un mattino nutrito già della vertigine di essere domani, l’orologio didattico avrà annunciato la bravata.
In questa mattina di Natale, nonostante le sue luci intermittenti, il Caravelle, alimentato a pile, aveva bisogno delle mie mani per decollare.
*
Al primo gesto fabbrica cosciente del ricordo l’anno si mise a tacere; rompendo per la mia eternità il suo silenzio. Era il giorno in cui la presenza dell’altro avrà preceduto.
Io andai, con mio nonno, prima che la notte cadesse a richiudere il cassone della coltivazione di crescione d’acqua.
*
All’angolo di questa strada scorgere una Dauphine prima che piova su Montevideo.
Sapere che fu un cosa comune quando mi cimentai sulla bicicletta su una strada in terra battuta; io accordo la nostalgia alla rarità oggi di chi sarà stato testimone della mia incompetenza.
Davanti a me le onde del Rio de la Plata rosseggiavano; movimento incessante della calce viva quando le ossa scomparse si spartissero il tempo degli sguardi.
*
Così poco interesse per sé; il nido rubato restituito; come dire all’altro chi l’avrebbe potuto; mi raccolgo?
La carta aveva i suoi colori. Abituato al rilievo io attendevo.
*
Io ero partito, il cuore dopo di me, non si pretende.
La colpa mi avrà conservato.
Riconosciuta, dormire poi per preoccuparsi. Il sole doveva essere. Blu nel periodo in cui il cielo era simile.
Il libro non era sicuro.
*
A metà strada, perfino davanti al femminile, stupirsi.
La vita tra virgole.
Per piacere, come scomparire.
Mi sarà piaciuto - sentenza.
*
Non gioco (recito) più. Il corpo ha le sue ragioni.
Avrò preferito “ha la sua uva”.
La 4 CV aveva i suoi sedili.
*
Io sono là senza debito.
Tu metterai il plurale dove ti sembra bello.
Abbandona; il prato è là.
Tu mi hai domandato, tu avrai detto.
*
Il tempo concesso. Quando tu sarai stato, la fine della corte senza miracolo.
Mi sarà piaciuto denunciato. Come se dovessi il tempo della lingua. Io resto mancino.
*
Il bambino era legato
mani e caviglie
una di quelle
mi tormenta.
*
Szombathely New York Express
Tra le stele verticali che arricchiscono l’intreccio delle edere, circolavano i rumori di ferro della stazione divisoria. Si sarebbe creduto di camminare nel cuore di un vestigio, quello di una risaia prosciugata in permanenza dal canto degli uomini.
Il freddo era là preciso per indurire la tonalità.
Ci ripensai all’angolo di una via, quando scorsi al di là del bidone e del casellario per giornali, le stesse stele, ma mute in questo triangolo orfano, che si sforzavano molto contro altre immense, libere dai soggiorni quotidiani degli uomini. La pioggerella scacciava dalla sua densa noia il chiarore ottuso del freddo.
La camera dell’hotel aveva la piccolezza richiesta per obbligare a riprendere il cammino.
Sulla chiave rimanevano per altri i suoi punti cardinali 4-E-1.
L’ultimo dopo il treno.
*
Nessun treno qui. O là. Altrove.
L’alcol diventa lo staccato del tremito
Perché bisogna tremare. La terra trema
qui sotto ai miei piedi. Il blu è figura della paura.
I cimiteri sono parsimoniosi. Non ci sono
gatti. A Szombathely sotto la neve non più.
I fiori a New York sono recisi qui. Il
treno non vi è per niente, non esiste più.
Ho camminato sulle traversine come sulla
mia vita, di traverso più del legno
impassibile, il suo disprezzo durerà fino al ruolo
che il brulotto stimola. Si può fermare
il fuoco fino al suo impiego. Nessun treno qui,
tranne il rumore del silenzio, sempre,
un po' di neve per accompagnare la caduta
del blu. Qui i vagoni sono immobili,
intirizziti sotto al sole d’inverno. Qui l’edera
non rinchiude che il ricordo, come un becco
dilatato si crede padrone del tempo.
Nessun treno qui, mai più; il papagallo
è capostazione. L’alcol
non trema più, la sua giornata è compiuta.
E questo treno invisibile attraversa
in proprio l’ufficio e le grida
allora, la terra trema di essa
E io sono stanco, sicuro...
*
Niente è grave quando l’ora è superata. L’ultimo vagone è quello che si attarda per la televisione. Il gesto di solitudine diventa il dire dell’abbandono.
Partire è l’esercizio usuale.
Non si spostano di più le tombe della traccia del corpo là dove è caduto.
L’edera, fuori, prende
il tempo della mancanza
e spoglia la speranza
dalla sua sorda volontà
il muro esploso di sole
Il treno, la sua scomparsa
istradata,
il fumo solo si accorda.
L’odore quando i tuoi talloni
sulla scala
suonano la stessa ora
*
Un disastro, la mano tagliata per esempio forata per l’uso, - il contorno della mano da allora preparato - palma - le dita fanno soliloqui una memoria tessuta, il cerchio evita nel porto del cerchio - la pianura curva per noia della pianura - il riflesso del parrucchiere - il rasoio taglia giusto; una barba al contrario ridotta all’ombra del fumo di qualche carne - il disastro,
il pappagallo turco che ripete in francese, - canzonatura involontaria, le ali tagliate sbattono - il suolo ripete il rumore, non sopportando più il sangue, rosso collegato.
Lui rimise la pendola all’ora, io presi il tempo di leggere che fu senza successo.
Sotto al freddo qualche erba giura di immobilizzare, inavvertitamente, un vagone smobilitato.
*
Szombathely
con il tempo freddo
di me la notte
l’età è dopo
le labbra si raggriziscono
il sorriso sdentato
suonano le quattro
Domani il cieco
sorriderà
*
Le poche ore. Ad ogni angolo il sole invecchia.
l’ombra segue, urtata appena.
Il tombino segna la pagina.
Poi girare a destra
all’angolo dritto
la lampadina del lampione è bruciata.
Senza luci l’eco del T.G.V.
la piccola croce di mezzanotte.
Che cosa diventano le rotaie
dopo di loro
Che si lascino
non dimenticheranno i due soli
l’orfano cammina
lentamente e l’erba schiacciata
gli ricorda, esaurendo il suo cammino,
che un passante è stanco
Mi alzai, la scala non era mai servita. Il muro probabilmente per il dialogo immutabile, è un contro a sé stessi che si raccontino ancora per stare.
Uscito dalla pioggia e dagli schiaffi silenziosi della montagna, su questo tentativo di strada autorizzata dalla memoria delle pietre, esse spinte ma tignose, arringando il tempo e la sua speranza- : Il Vostro spostamento è il mio piacere di vedervi intimare, voi là spostata io so di voi il contrario e l’incapacità - un vagone ridipinto, tranquillo, stationava tra due donne che non avevano la stessa età.
La birra Kasbegi non aveva il colore della pioggia dall’altro lato del finestrino di cui tirai la tenda. Il vagone legava altri malintesi allorché io sapevo, qualche ora dopo, il muro cedeva sempre, appena affaticato all’impresa della scala. Mi ero sforzato a dieci chilometri da Vladikavkaz.
Prova d’amore
Un morsetto, cemento dritto
prima della creta
quella che con il volo (furto)
della metà dell’alba (pala)
seccherà l’acquazzone dei torti,
un morsetto senza luce
implosione fatta.
*
Ho cominciato. Mi era stato richiesto un romanzo poliziesco.
Ho pensato al romanzo. Non volevo nessun dialogo salvo l’enigma. Enigma senza dialogo possibile, non poteva che essere te.
Che cos’è?
Cosa fare dell’articolo?
Credere è volontà di vivere che non aspetta nulla. Ora io credo di poter dire.
*
Cominciamo dal più comune. Noi non conosciamo che la vita. Ma che finirà quello che definirà la nostra certezza, noi non sappiamo niente.
Bisogna dunque pretendere di compiere quello che non sappiamo, che la vita è ciò che sfugge.
Forse al solo fine che la morte la saluti, come una lunga o corta testimonianza di chi l’aspettava.
Il tempo impiegato non troverebbe senso che dall’abbandono della storia, piccolo comune che aggiunge un giorno all’altro.
Rifiutare la storia è essere libero da posterità, questo voi che noi ameremmo malgrado tutto sentire parlare di noi.
Non c’è niente da fare, l’uomo non è riducibile. Appena si autorizzerebbe, se si riconosce, come passaggio alla menzogna, come chi lo conosce meglio di lei stessa.
Finiamo come atteso, è comune che inizio e fine si ignorino.
All’uomo di essere.
*
E’ da te
che io e te
siamo
come siamo.
*
Comincia come la lingua, da una morte. Curiosamente, la pozza di sangue voleva tornare a casa.
Sulla scalinata esterna, niente.
Continua come la lingua, nonostante la morte. sulla scalinata esterna sempre niente.
Chi ha visto?
Allora là, sulla scalinata esterna chi sa chi ha visto?
Comincia da quello che so io?
Io dico : allora comincia dopo la lingua, prima del sangue? Dico : prima del sangue? il flusso della parola dopo la lingua.
Una pozza di sangue per un flusso di parola?
Io dico che la parola era dietro alla porta, ho visto il suo riflesso nel sangue.
Comincia come un riflesso. Ma l’immagine non sembra voler tornare a casa. l’immagine era il riflesso della casa che voleva tornare?
Dunque la casa rientrata nell’immagine voleva uscire dalla casa!
Comincia come la lingua, dal suo riflesso la morte.
Curiosamente la pozza di sangue sarebbe un’immagine.
Sulla parola niente.
Da sotto la pozza la scalinata esterna si sgretola fino all’assenza.
Come un corpo affaticato dalla sua rigidità promessa.
Appena dopo il mare
mai senza
il tuo consenso
Lei viveva
troppo tardi
quando di bianco
Essere del tempo
la schiuma lacerata
*
Solo la menzogna non fa
rumore, è la moneta
viva.
Non sapere la parola è non
sapere.
I canti chiusi ci dicono.
*
I piccoli pezzi in moneta fitta o in ordine sparso.
*
Tre persone. Forse quattro.
L’uso è il sonno di sé.
La mia lingua vivrà dopo la mia sorte.
*
Di loro stesse, persa questa sera
Lei, dell’ombra, la giacente.
Silenzio di rumore, il sogno dubbio,
parola, moneta viva di piaga.
*
Il nero
La scorza del tronco
contro la neve
rifugiato
L’ora senza vento
che oltrepassa il suo tempo
meticoloso cammino
il nero
senza il grido alato
del corvo
il suono
sotto la neve
scrutato
il nero alzato
scaldato
al coperto perché
la slitta e il ragazzo
tra i mattoni
rotto il biancore
lo spazio del mattone
rotto
due volte diviso
nel biancore del dire
la parola sopravvenuta
il crepitio accelera
sopravvengono dopo di loro
i secondi.
*
Sguardo
alza la gru
le nuvole sotto
il mistero è blu
è tutto.
*
Senza tempo
barricata alzata
il corpo passa
la testa dopo
gioco di bambino
il bambino attonito
sulla sabbia
spellare la testa
l’onda spegne la lama
coltello abolito
*
Se giorno
è giorno
se lo stesso
prima
rientra
nella ferita
il sangue
l’origine
tace
per meglio
dirsi
Se giorno è giorno
dunque
questo giorno.
*
Vino bianco verso Trieste
il ridere il mare aperto
alla schiena
Un mattino
gli scalini uno dopo l’altro
ritirati nel biancore del blu
scalato
L’estuario
volto che avanza
nel sole
dopo che la città si separa
Sotto il ponte
è la lama segretata
al cuore della sabbia verticale
La riva gemella
l’acqua non cerca
chi ci si sporge
La balaustra è scomparsa
il film arrugginito
porta l’eclissi del tempo
Gare de l’Est
il tintinnare limpido
come il bloccarsi diurno.
*
La tavola timida
roccia e acqua
nell’intimità piegata
della carta
oscurano
il blu scindibile
il foglio si sforza
al movimento
due blocchi
e il taglio spurga
l’indigo
la montagna si desola
io aspetto il sole
il nero rilevato
*
La via s’apre
una porta batte lo sguardo
stretto delle sedie
Il portacenere indica
la notte cercata dalle mani
La finestra
un tetto sull’altro
dopo che è partito
il giorno
Sola faccia allo specchio
divenuto riflesso
Poi l’ombra
ha portato il silenzio
assente dell’albero
il cielo allora decolla
una foglia
alta prima del rumore
- Che è più lontano -
All’angolo del tempo
i passi si separano
al contrario
E la piazza conquista
una gamba ormai più corta
dell’ora
*
La stella messa giù
aiuola identiche
le efemere nel
silenzio ripetute
panoramico
La montagna scruta
Dei dintorni
incavati prima del giorno
la faglia la parola
- poi altura - usato
(il suo assente)
il ponte è prima -
si dice - tra le rovine
Paralleli al fiume
due passi si sforzano umano
l’acqua non ha compatito
si offrono due sguardi
alla riva
l’acqua si sillaba
pietra dimenticata
vivo il giorno corrente
il freddo è secolare
prima del dramma
La neve dimenticata
La caduta
Sopraggiunge
la paura prima niente
l’acqua aperta
*
Non sorvolai l’Ungheria, sorvolai il ricordo di un giovane che portò il mio nome, al quale dovevo ancora parlarne.
La dimenticanza è questa diversità che non vuole niente, ma lei conosce.
Il saluto intimo (densità trasversale) fuori dal tempo. Con i giochi (le interpretazioni?) di me che mi aspettano per pensare il tempo dopo di lui.
*
Il bar ripiegato
sul bicchiere
tutto ti sovviene
pieno come il marciapiede
sotto alla neve
e l’immagine
Hopper brindava (trincava?)
queste donne
così sicure di essere uomo
io stavo guardando
poi venne bello
inavvertitamente
qualche passo
cercarsi dimenticato
trovarlo
Hopper brindava (trincava?)
costui parlava
quelli
tutto ti sovviene
il bicchiere spiegato
perfino il giornale era
del giorno
all’angolo presto
farà notte
Hopper brinda (trinca?)
richiede tempo
un giorno
per prima cosa un portacenere
trasparente qui
e poi
vivere è
a
dire (cioè?) davanti al passo
un letto forse
e poi andarsene
perché la lingua
è mortale
Ritornare
semplice ritorno
prenderlo
richiede tempo
un giorno
come gli altri
*
La roccia riprenderà
te l’acqua
la schiuma
la roccia
separata da chi, l’albero
dal mare
l’invenzione sei tu
silenzio d’acqua
a mezzanotte prima
lui
la schiuma è due
separati nella
parola
il gesto è sufficiente
nella virgola
l’arco del lampo
soffre
un giorno nuvoloso
lenta ascensione
è
un punto lontano
come sé stesso
per un cielo blu
*
Io ho perso il tuo nome
Jaramillo
(nome) secco come
ahora
la croce guardava
gli occhi arrugginiti
le sue braccia divenute dita
Emergere dai selciati
disgiunti
ombrosa verticale
della carretera
Sul silenzio del lago
la barca scivola una parola
la sua direzione sarà
il nome di oggi
qualche isola
rimproveri perduti
da questa ‘rocaille’ sfiorita
Non ci sono fiori
abbastanza secchi
qui
per preparare l’inverno
le lacrime sugli occhi
di un pappagallo avaro
docili alla mano in pendenza
dell’adolescente
Bisogna che l’acqua
si sfracelli contro la memoria
in una lingua siesta
per aspettarti
Io ho perso in tuo
nome
come lo dici tu.
Il tempo è acqua di pioggia
pioggia così come goccia l’onda
ogni granello di sabbia
senza saperlo un granchio
è fermo
la roccia non si sa
ricoperta da lui
perfino foglia
sulla quale scivola
umida
l’assenza d’ombra
il tronco sotto alla pioggia verticale
squarciata ancora nel nembo
deciso
svanisce il tronco
resta verticale la pioggia
il granchio è fermo
l’acqua su di lui
non portato
fuori lui rovesciato
urta verticale il tronco
la carapace ombra di lui
secco
granchio d’albero
ormai la pioggia
densa
vi ho detto la sabbia
dei bambini bagnati
il corpo umido
sulla sabbia sott’acqua
la casa resta l’occhio chiuso
granchio dagli occhi
d’uomo
*
spazio chiuso
secco
L’onda finita e
la pioggia rotta
dall’aria
allo stipite della veranda
una carapace secca
davanti alla vita
*
la finestra
spalle rivolte alla ringhiera
la notte si doveva
luogo vicino
a parola
per il tempo
di scomparire
allora inclinato
tra mattino e tenebre
dimenticate il corpo
all’indietro la vita
le persiane aperte
stupefatte
la mano percorre il legno
gesto inchiodato
alla ringhiera
*
Io non so
che l’abisso
dopo di lui si rovina
il timore è erosione
della paura
la sillaba detta
l’abisso si agghinda
spinato incava
la carne è a pezzi
la sillaba si dice
La notte precede il giorno
la fede nutre
Così poca terra
così velocemente
il dito prima dell’unghia
velato
la sillaba dimentica
Questa tensione
una zampa dopo l’altra
il granello fugge
il granello
Da questo movimento
distrutto il tempo
scricchiolato
Due rifugiati
sott’acqua
giusto il rumore
del detto
granello sgrana
la spiaggia
l’acqua sorge
la sabbia teme
l’acqua che
la coagula.
*
Due
prima di tutto
lo ferma viva
due volte
della metà
mostrato il mangiare
il piatto vivo
riunisce l’uno
la tovaglia permette
i due gomiti
il segno
alla lunga
la tavola è
noi eravamo
qualche buccia
giusto in faccia al coltello
il pasto è veloce
il tempo obbligato
la tavola credenza
alla fine le braccia
stanche
il manico è.
*
Davanti alla lingua
un caffè nella
tazza
lo stato semplice davanti
alla natura
il mare era blu
come il libro.
*
La serratura arrugginita
- vediamo -
alla mano
la tasca
giusto il braccio
la mano di chi
il prossimo rinchiuso
la parola
a mani
Riguardo
singolare senza
il braccio
CAMMINANTI
A) MOBILE
1) La via Offenbach. Noi non la conoscevamo senza la zona dopo il Juke-box. Offenbach era per noi il tempo necessario per andare dal macellaio a casa nostra. Eravamo di famiglia e là in alto, i baci prendevano il tempo del servizio.
Dopo l’angolo dritto, comprare velocemente, là in alto il banco, la costata di vitello.
Io, di questo mondo, piccolo che guardavo, noi non eravamo una grammatica che si dimostra, giusto un bambino che uno non dimentica. Avevamo dunque fatto dieci metri ritornando da me.
2) C’è pena senza maestro, che è la storia che non sanno. Che ti dicono che sono scappato da questo mondo che ti riprende in questo catalogo che essi cercano ancora. Noi non abbiamo fatto che dieci metri, quello che, per alcuni, che sono alcuni, deve accordarsi a dieci volte il tempo di essere.
1 bis) E che dopo aver saputo se io ero, sito, piccolo, mi si serviva per la moneta. E sapere, io la moneta a limatura sapevo appena contare, quello che contava era che si suonasse alla Maison.
Appartato: Alla partenza del percorso, altri, dall’altro senso, calpestano un marciapiede che non è il mio, a meno che una traversa li renda liberi dall’obbligo.
2 bis) Nella discesa lenta da quella strada, di cui la storia modifica il barcollamento, dalla strada non asfaltata alla pavimentazione del marciapiede nel divenire, si ferma lo sguardo su qualche gru indicatrice che il percorso si dimenticava di noi.
B) DIECI METRI AVANTI VENTI METRI PIU’ IN BASSO
Esposizione: sole appaiono le fondamenta.
1) E’ tardi, testo presto, l’uomo ultimo, il pretesto tardivo all’inizio.
Solo come sul marciapiede appena restituita la moneta. Ci vuole la lentezza del marciapiede assente per immaginare la falce che sobbalza dietro al passo.
Poi, anche loro, diventano grandi, edifici. Il marciapiede avanza, non si cammina più nel mezzo, di che cosa prima dell’asfalto.
2) Io scrivo, mancino, nel punto delle pagine come mi inventai a sinistra il marciapiede lastricato per non liberare, questo fuori limite, in questa intenzione la verticalità del cammino dritto da a casa mia.
Semi-parole: “Bevuto ancora un bicchiere davanti alla linea, non serve a niente giusto potere senza scopi, per essere l’altro lato del marciapiede che non esiste. Non lo specchio, la frantumazione a venire.”
Parola: “Questi venti metri hanno scacciato i dieci metri”.
1 bis) Io non crescerò; e questo stile di oggi merita questo! no! furfantello per applaudire l’acquisto. Questo! Le vetrine gli occhi che brillano, gli studi niente. Una stilografica a terra, sconfitta.
C) NIENTE QUARTIERE
1) Poi il ricordo testimonia. Indica un treno inventato, la campagna napoleonica, campagna è guerra senza quartieri.
Il quartiere sa oggi ricordare dell’odio. Quartiere, alberi, arbusti, siepi prima, ormai cuadrilla, quadriga, taglio.
Bisogna salire venti metri, per i quattro muri del parrucchiere turco, ma la macchinetta è meccanica.
Lo si crede della nostra ultima età, quello davanti a ciò che noi siamo.
Lui ha sofferto, in quello che siamo siamo già spariti.
1 bis) Noi non sopportiamo pìù il banco da macellaio dai dieci padroni al contatore delle pavimentazioni del marciapiede.
Dalla fila fedele al pezzo di carne, risultato invalido a rendere rosso a casa propria, dalla traversata dell’acquisto alla digestione.
Questa carta da macellaio, al giallo morto di paura, che prevede la battuta della matita grassa.
Già oleoso affinché la carne sembri grassa.
D) E’ STATA DIMENTICATA LA SALITA
1) Eh sì, sempre l’incomprensione di sé.
Ordinazione della madre al macellaio, dapprima. Questa mancanza di libertà sfugge.
1 bis) Prima dell’acquisto, la richiesta, dopo la richiesta, l’ordinazione, infine prima di tutto l’obbligo.
Noi, là in alto, Babele delle incertezze. Eh tu, lezioso, prima macellaio.
Appartato: Un giorno gli occhi all’altezza del sangue secco. I cervelli gemelli mi fiutavano. Quale?
Niente. Già il fegato.
2) Eppure ci si consegnava durante la scuola, ma bisognava essere appeso. Penzoloni la corda la salita, l’acquisto preparato della scelta, il riscatto della dimenticanza, lo sputo dell’impiccato, il gusto del bacio.
Poi:
La discesa. La lingua perduta.
II
1) Via è differente da strada. Via è là dove ci si ferma. Strada là verso dove si crede di fuggire. Senza sosta riferirsi all’obbligo, questo piccolo patio che sa tutto di noi.
Conoscere lo scricchiolio prima dell’erba, prima sé di quelle che ci convengono.
Questa fedeltà, dallo scricchiolio all’ignominia, ogni giorno questa via la imparava, che io mi rimproveravo la linea dritta, io ero fiero della distanza tesa all’avvicinamento, da rifare ogni giorno fino al rimprovero.
2) Il boschetto
Questa storia di alberi mi è sgradevole. Questa tenuta immobile era il cammino dritto verso la dimenticanza del letto. Oggi pomeriggio vestito, l’altro spoglio, in nessun caso causa di questi occhi che io accordavo alla lunga via del ritorno.
Boschetto termine sanitario per una via terminata, stretta in un senso unico - povera nello scambio, perché io solo ho scoperto il garage in cui pisciare a mezzo luogo.
Una strada che protesta per la solitudine dei propri luoghi, che non sopporta i rari inquilini fedeli.
IN FINE
Se fosse sufficiente che un giorno, per non so quale inavvertenza, un fatto insigne, allora comincerà. Un po' di colori al termine del respiro, già, di tutto...
Se fosse sufficiente che dopo la stessa cosa - questa terra scossa - fosse là.
Se fosse sufficiente che uno sguardo fosse al riguardo. Allora.
Se fosse sufficiente per tutto questo, che fosse.
Noi non siamo, io ed io, dello stesso tempo.
Dopo tutto questo, attendere; se fosse sufficiente del giorno per l’ombra.