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Andrea Cereda. La scultura dolcedura

Ettore Bonessio di Terzet

Scudi appliques decorazioni murali, decori per il giardino, interior design, attacchi aggressivi al pubblico che tengono lontano il desiderio della mano di toccare, verificare, sentire per conoscere sapere capire che cosa siano queste cose , di che materiale siano, se leggere o pesantissime, perché non sono tranquillizzanti, seppure alla prima lettura si sentono "familiari".

Poi le guardi e le osservi da ogni visuale: ad altezza d’occhio, dall’alto, di sotto, di dietro, le circumnavighi con attenzione, circospezione e con in mente il titolo, che mai fu necessario quanto in questa suite artistica, e enti il rumore ritmato di uomini in marcia, vedi antiche genti lottare, brindare, giocare, vivere, ecco che la storia di quelle culture per cui noi Europei siamo, si presenta in tutto il suo fulgore e drammaticità. Scioccamente ed inutilmente, sovvengono le memorie di Burri, di Colla, di Leoncillo, di Cosagra, di Manferdini, i ricordi delle rovine guerresche, i giocattoli frantumati, le macerie, i robivecchi e gli sfasciacarrozze, le lamiere contorte di incidenti stradali non cancellati, la miseria accattivante dei dopoguerra, il silenzio mostruoso che segue le catastrofi cosiddette naturali.

La distruzione.

Subito dopo intervengono Paolo Uccello con i suoi soldatini da giostra, tutti belli colorati, precisi sino alla mania prospettica, gli scudi i cavalieri le armi di Ariosto, le grandi architetture a placche medievali di Mario Botta, e dicono quanto il luccichio nasca da natali comuni, da truffe imbrogli inganni tradimenti, da poveri lacerti e schegge di una vita comunque misera.

La riappropriazione.

Ecco… le opere di Cereda finalmente libere da ogni suggestione culturale, liberate dalle scorie della storia e della cronaca, libere dalla filogenesi, libere nello spaziotempo loro, queste plasmature sono una consistenza nuova che niente deve a.  

Un’opera d’arte è proposta di unitarietà, di reale vivente che prima non era, un mondo che occupa il suo spaziotempo in opposizione allo spazio e al tempo di questo mondo che non è permanente, al contrario delle idee che l’uomo sa trovare produrre e trasformare in opere.

L’artepoesia è simultanea.

Non esiste una bella architettura che non sia poesia, non c’è scultura che non inondi lo spazio e il tempo del mondo con la sua poeticità, realizzata nel proprio spaziotempo. Ogni opera d’arte è un tentativo di dialogare con gli spettatori, di fondare non una “storia d’amore” bensì una condizione di amicizia e quindi di rispetto e quindi di durevole passione sostenuta dalla stima e dall’affetto. Non amiamo le opere d’arte, chi questa, chi quella? e le amiamo perché ognuno di noi ha trovato in esse il proprio correlativo, la propria possibilità di essere nei segni nelle parole nei colori, di poter entrare e uscire da quell’opera di poesia e trovarla sempre se stessa nella gamma delle intrinseche varianti. L’opera d’arte è l’amante che ritrovi sempre, il permanente ricercato dall’uomo. E l’uomo risponde - se è uomo - a questo affetto con altrettanto affetto che dimostra allargando la possibilità degli amanti, sfidando il dramma personale che qualcuno ami quest’opera in maggiore misura, la capisca di più e meglio, più profondamente e ne diventi il consegnatario. Un nuovo amante che rinnova l’amore per l’artepoesia. Il nuovo diverso che spaura.

Ma le cose stanno così. L'amante non muore, come l'opera d'arte.

Le sculture di Cereda sono frammenti - non schegge alla Schwitters - eletti tra il molteplice, consegnati alla mano esperta che li refila, li pulisce, li spolvera, li lima, li colora, li lascia come sono, li avvicina ad altri frammenti tentando e ritentando la composizione di un disegno, di una struttura, che “stia in piedi”, che regga e che, nonostante l’artista, sia una relazione riuscita .

Frammento con frammento, codice con codice, la lingua di Cereda avanza nella costruzione architettonica dello spaziotempo interno ed esterno all’oggetto per pervenire alla sintesi dove si ha unità artisticopoetica: cosmos.

In questa sintesi i segni, non distrutti dall’impatto dialettico, si trasformano da sterili a polivalenti, ambigui - non ambivalenti né metaforici - semmai allegorie di quello che fu l’idea iniziale ed è l’idea finale di Cereda: attraversare le difficoltà delle varie stazioni del viaggio, di un cammino che riporta alla casa - Heimat - che non è più la medesima, cammino che, nel camminare, ha cambiato autore ed opera perché i vari frammenti, le tessere del mosaico che si è andato a formare sono estratte da luoghi differenti, da occasioni diverse, da cave le più disparate. Proprio questa diversificazione dei componenti, permette di architettare una scultura dolcesolida , corrispondente al desiderio di Cereda di trovare i vari elementi con la stessa cifra semantica, omologhi per costituire un organismo artisticopoetico. Chi si pone in queste opere, vede un mondo , prima non esistente, che è la visione artistica di Cereda e vedrà anche un mondo poetico che l’artista non sapeva totalmente di possedere. (Eliot)

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