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George Noskov: la semplicità perturbante

Ettore Bonessio di Terzet

Ho letto di porte del cielo, di triplici quadrati e di accumulazioni energetiche. Sono sconfinato da Orione, mi sono perso tra piramidi e madonne nere e piemontesi incinta, tra nomi semiti, rune, sorgenti sacre e mammelle napoletane. Ho sentito di punti orientali dove il sole s’infiltra, nella sacra famiglia ho visto una cripta e nella cattedrale terribili cose.

Ho letto, ho pensato, ma ho capito poco dei vari legami e non m’importa se hai fratelli e figli, se ti sei sposato per amore o per volontà paterna: forse non voglio neanche capire come non capisco la teorie delle stringhe per la gravità quantistica, l’ormai debole potenza energetica che abbiamo. Sono in piena confusione, ma quando leggo i fatti che hai detto, ecco che non posso che alzare gli occhi e ringraziarti perché non sono ancora sprofondato nella disperazione, e che la vita ancora qualcosa attende, per i tuoi doni, da me.

 

cadono grandi petali di rose

come in una festa di carnevale

sulle teste sulle pietre sui fiori

dentro le auto degli amanti

dentro le chiese vuote

sopra i tricorni  consunti

sulle penne delle mimetiche

sui flashes dei minatori

sul fuoco dei pompieri.

Cadono non si sa da dove

continuano a cadere a profumare

la terra ma non si possono cogliere

non si possono portare a casa

si sciolgono come acqua alla presa.

Un bel mistero questa pioggia rosata

un’allucinazione collettiva dissero

ma gli uomini continuarono a narrare

questa storia che è giunta sino a me

 

L’albero di Giotto non è verticale, ficcato com’è alle montagne che sono massi squadrati di mura ciclopiche, elementi modulari per la costruzione di case, di città. Diverso da quello morbido di Masolino, mentre gli spazi delle figure stanno uno sopra l’altro come un desiderio di segno pittorico – di parola - presentato contemporaneamente. Giotto ha sempre sentito la necessità-desiderio-tentativo di presentare i segni contemporaneamente.

Come gli artistipoeti.

Qualcuno si è arreso e ha inventato una disposizione spaziotemporale a progressione, come Michelangelo. Altri non si sono arresi all’impossibilità e si sono incagliati tra le insidie dei segni e sono andati fuori campo, fuori posto: Beuys, Mallarmé.

Stare nel giardino che ci è dato, pezzetto o villa, e renderlo il più bello possibile secondo l’intuizione della nostra personalità, inventando figure in spaziotempi sempre rinnovati.

Così la semplicità figurale di Noskov. Tanto semplice, dopo un buon giro tecnico, da sfiorare la complessità. Ossimoro di una cultura che vive e opera direttamente, con pochissime mediazioni, mentre pensa e crede attraverso liturgie complesse. Cultura artistica, quella russa che, nell’odierna Europa, non si sente nel proprio temenos , nella sua casa o patria perché sente la superficialità delle proposte e delle proposizioni, il luccichio falsificante delle rumorosità, la troppo facile egoticità (sino all’egoismo) che uccide la persona, la confusione tra il nero e il bianco, loro che hanno avuto Malevich. Noskov, piuttosto, dice con i suoi testi scritturali e iconografici. la necessità e il desiderio di cantare la vita dalla semplice e perturbante molteplicità, riflessa dall’autore nelle opacità dominanti il figurato.

Mescolanza di antico e di nuovo, rimescolamento di già-visto e di ri-fatto, complicanze di aristocratico e di plebeo, di massa e di elitarietà secondo una visione angosciata e drammatica (quindi altamente ironica) dell’uomo dell’umanità, dell’arte degli artisti. Visione prospettata sul presente secondo la personalità della propria persona, libera da ogni vincolo, libera da ogni altro condizionamento, libera da ogni altra convenzione posta all’arte e alla vita. Vivere liberamente è vivere artisticamente. Senza credersi onnipotenti e autosufficienti. Autonomi, sapendo di essere mancanti, che qualche cosa ci sfugge, e che ricerchiamo i territori dell’arte/della poesia anche per questo.

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