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Giovanni Castiglia. L’artepoesia lotta per la luce

Ettore Bonessio di Terzet

Corpi violenti di rosso, trame insinuanti di terra bruciata, geometriche distorte dai gialli, colori che sono fiamme lingue tentacoli di un intreccio boscoso dove si perde l’essere.

Non siamo qui, in questo spazio impensabile ma interminabile, in questo tempo e in questo spazio, perché trasformati dall’artepoesia di Pastiglia in spaziotempo vivente.

L’autore parte dal mondo, dalla terra, dai frattali delle cose e degli oggetti inchiodati da una ragione impoetica e li ricostruisce, risorgono, rinascono, si trasfigurano in figure non percettibili al primo occhio, che ritornano ad essere colori sottesi da linee che architettano ed edificano il sentito.   

Una figurazione astratta? Una pittura informale? Una stesura postkandinskiana sul supporto industriale con tubetti industriali di pennelli industriali, con mente industriale?

Definire, catalogare non è più sognare; la ragione veglia come il cuore ed insieme con il corpo visitano la materia che non è inerte inesistenza, ma è visibile consistenza in ogni sua declinazione. La pittura, mezzo di Castiglia per fare artepoesia, svela l’intima entità della materia che è comunque vivente e cerca di essere cercata, vuole uscire dalla tenebra per essere veduta nelle sue protocellule pulsanti che poco resistono al nero. E l’artista aiuta questa materia, quella materia che gli compete perché a lui destinata, con i suoi colori forti di linee, con le sue linee dense di primari e complementari, in una lotta che si percepisce dura come quellodi Rothko, più sana di Bacon, più sincera di… ma vale raccordare nomi? perché un artistapoeta può essere tale solo se lo si raccorda a questo e a quello, relazione che poi è quella del “critico” anche se suggerita dall’autore?

Mai un’impronta sarà uguale all’altra, sempre un figlio avrà somiglianza con la madre e il padre sino ai lontanissimi avi, dove sono le caratteristiche attuali, dove le attuali configurazioni portano segni primali. Castiglia, come ogni autentico artista, è se stesso con la sua sapienza, con eccessi e debolezze, con altezze contropassate da appanni, con la passione che non cessa e si trasmuta in fedeltà che ogni giorno trova modi e motivi nuovi per dirsi.

L’artepoesia è la battaglia invisibile che lascia segni indelebili perché possano vincere i cavalieri della Luce contro i cavalieri dell’Oscuro.

Castiglia lotta davvero perché la sua pittura sia artepoesia, perché possa dire il dramma tra i primi piani pittorici che sono “sformati” con i secondi piani  che sono delicate stesure: la sintesi che l’autore raggiunge è la sospensione della lotta, di questo aspro vivere perché si possa essere tutti viventi: l’artistapoeta la pittura la poesia il mondo, non più soggetti a categorie inventate per possederli e dominarli. Per tanto che ci è dato.

Il mondo, che non è solo materia, non va conquistato, il mondo va conosciuto compreso e rivelato nella sua permanenza vivente a  coloro che sono in questa disposizione, in questa prospettiva di esseri per la Bellezza. E le forme allora si vedono, si attenuano le disformità e ogni parte dell’opera d’arte consegna al nostro occhiospirito una figura, parziale ma completa, del mondo non più nella sua superficie banale, ma nella sua struttura permanente.

La teoria del frammento.

Il mondo per l’artepoesia di Castiglia, passa dal disordine all’ordine di quella visione che si è impossessata dell’autore e che lo spinge lo soccorre lo sostiene (daimon) a dire che l’ordine c’è, se è un ordine di Bellezza e di Luce, cosmo che appaga l’autore assieme a coloro che hanno il desiderio e la pazienza sollecita di vedere come le cose stanno da sempre.

Variazioni non interpretazioni, giacché Castiglia come Picasso non vuole inventarsi ogni giorno una nuova Bellezza. Castiglia è nell’artepoesia e vuole rimanervi per salire alle profondità di questo mitico sacro religioso giardino.

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