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Italo Lanfredini: la poetica della difficile semplicità

Ettore Bonessio di Terzet

Un luogo non è un posto, neppure un sito. Un luogo non è per profani, per disattenti, male-educati, male- dicenti, un luogo è luogo di pensiero, di sosta, di movimento invisibile, di meditazione.

Un luogo è un luogo di sacertà.

Non possiamo parlare, chiacchierare, urlare, dare sfogo ai nostri istinti, alle nostre paure come alle nostre contentezze. Bisognare stare in un silenzio non comandato, ma desiderato.

Per guardare vedere conoscere sapere capire. Per vedere quello che non potremmo vedere se non fossimo in sosta meditativa. E allora quello che vediamo lo riconosciamo sacro, è un simbolo, un segno fortissimo che disarma e distrugge ogni semantica, che pur esiste.

Così avviene quando incontriamo o ci fanno incontrare le opere di Lanfredini.

Non oggetti, ma opere. Non rutilanti e abbaglianti oggetti per asettici siti (esposizioni per vendere mercanzia) ma icastici segni che hanno acquistato un’ambigua - non ambivalente - posizione sulla terra, là dove l’artistapoeta li ha collocati, dove l’artista poeta ha sentito constatato deciso che poteva e doveva stare. Al loro posto. Non fuori posto, perché opere che posseggono il prezioso dono di essere amiche della Terra e che indicano il Cielo.

Ma il percorso per capire, dopo il sentito e il conosciuto, le opere di Lanfredini non è facile, perché semplici sono le risultanze del complesso discorso architettivo.

Ecco che inizia una danza camminatoria per sponde labirintiche che avvolgono lo spazio e portano corpo mente spirito verso un trascendimento niciano dei sensi, verso una minimizzazione della razionalità, che ci portano in un alto che scopre l’involucro della pelle, ci scortica e ci permette di essere uomini totali, con sapori e accenni divini.

I materiali di Lanfredini sono i più semplici, anche i più banali tra quelli che possiamo trovare sulla e nella terra, forme riconosciute e riconoscibili, bastoni, cortecce uova… e con questi materiali così “poveri” - Merz  non c’entra niente - che possono anche appartenere ad altre attività, con questi strumenti che sono stati di archeologi, cosiddette culture primitive, paleontologi, falegnami…, l’artistapoeta agisce un’altrettanto semplice operazione: li lega e li fa vivere assieme dando vita a nuova vita (forma) che prima non apparteneva né alla terra né all’uomo né al cielo.

Può fare questa operazione perché in precedenza - pur con tutto quello di confuso che ogni artistapoeta ha in se stesso all’inizio del suo compito - Lanfredini ha un’idea precisa, un complesso di idee che costituisce la sua visione dell’uomo della terra del cielo dell’universocosmo, come dell’arte.

Della scultura.

Avendo una visione di quello di cui vorrebbe fosse edificato il mondo che abbiamo da vivere e da condividere, per Lanfredini è semplice plasmare un percorso personale di altissima coerenza che sfiora, per leggiadria e leggerezza,  la leggenda  il mito: il primordiale che si sposa con l’attuale per alimentarlo, per  irrobustirlo, per mutarlo in una stratificazione artisticoculturale che apre una possibile lettura polifonica. L’asta, l’uovo, il cerchio, la corona circolare sono i marchi distintivi di questo artistapoeta che conduce il nostro vivente verso territori dimenticati, verso terre lontanissime che ci ritornano immediatamente familiari. Ci porta all’Inizio dell’universo, quando l’Origine era già dimenticata e le inclinazioni delle aste sono quella precessione equinoziale che ne è memoria e testimonianza.

Una magia,un gioco, un’illusione divertente? No, un compito articolato e complesso, deposto “ai piedi del mondo” senza fanfare ed ottoni, in una cornice che risuona di musiche armonicamente dotte, tanto delicate e possenti che dinanzi a queste opere d’artepoesia possiamo ballare cantare anche in modo stonato, perchè esse lo correggono, ci correggono per non essere nella volgarità, nell’imbecillità, ormai troppo dilatata, di barbari civilizzati a cui Poesia si oppone con pazienza e costanza irrinunciabili. Sempre.

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