SPLENDORE DEL VENTO. La Porta (fr. 2006)
EB di Terzet
a Loredana
che ha favorito di essere
quello che dovevo
Il popolo non ama né il vero né il semplice: ama il romanzo e il ciarlatano.
Nietzsche
Tutta l’arte è in rapporto con la morte.
Rothko
Tra oscurità e chiarezza la misura dell’arte.
Ebt
L’architetto dovrebbe sapere tutto come il poeta ed essere capace di dimenticare tutto.
Botta
E’ alquanto curioso che Milan Kundera continui a scrivere romanzi, benché sappia che il romanzo abbia esaurito la sua funzione. Si rende certamente conto che il romanzo è in declino.
Isozaki
Ecco di fronte la porta
superate le insidie
del giardino rinfrescante,
la macchia delle rose
risalite dal balcone
sull’uva d’Amburgo,
i riflessi del labirinto
senza sapere se
la maniglia s’aprirà.
Subìto rossolampo occhio
dei marinai non preparato,
increduli perdono coraggio
continuando le manovre
a memoria, la mente a mille
il cuore alla terra lasciata.
Sanno che niente si può
per salvare la nave, che
moriranno in quest’acqua
che ha inondato il cielo.
Leggeri d’anima
Parlando per via
Passano la notte
Ignari del canto
Abbandonati nelle acque lontano
dalla costa attendono e non sanno
che cosa gli uomini e le donne.
Li scruta un occhio immerso
indeciso e preoccupato della
sorte di quella gente ignota.
Una figura gommosa entra
negli occhi di quei dondolanti
che mani capaci tirano dentro
una calda nicchia di ferro.
i nostri cuori
intiepiditi
dal coro
rischiano
deboli risposte
Lungo un muretto a secco
un pastore parla alle pecore
fedeli e avvezze alla pioggia
con una canna e il cane.
Michelangelo
Che importa la calcina che brucia gli occhi,
che contano le spossanti coliche,
che peso i dubbi e le tentate fughe,
se questo soffrire lo dobbiamo
per finire la singolare opera?
a Mario Botta
Tra la fantasia italica e il rigore di
Durrenmatt, apri le valli più piccole
alla grandezza del mondo.
Affianchi una chiesa all’altra come
si faceva una volta, apri occhielli al cielo
illumini i mattoni iridescenti.
Sai farlo perché ami quello che fai e credi
duchampianamente al maestro di tutti,
compresa Ronchamp, senza vederti doppio
allo specchio audeniano, singolare
in relazione riuscita con il mondo
fuggendo folla e spettacolo, sorridendo
della sciocchezza innalzata vicino
alla Casa che abita Tinguely
benedetta dai tuoi mille tagli di luce.
Il mio amico arraffò dalla mano
soldi quanto potè per la famiglia,
resistendo alle ondate di puzza
gli strinsi la mano e se n’andò.
A casa mi lavai molto le mani
chiedendo il contraccambio,
vergognandomi di aver pensato
di essermi preso il virus BuonSenBorg.
Grazie Auden
9 maggio 2006
Bisbigliamo sollevandoci
sui desideri, dondolandoci
su nuvole vuote di volontà,
e rumore benefico fanno
le poche parole necessarie
senza la dialettica che inganna.
Sorridenti alla Legge, dimentichi
Delle leggine pensate maiuscole.
I desideri del corpo e della mente
disgiunti per alcuni, in vero accordati
permettono la singola disposizione
verso il mondo e le costellazioni
dicono come capire quel cuscino
d’aria che libera dalla Grande Madre.
In noi destra e sinistra si confondono e
l’unicità è la grande scoperta infinita.
Non staremo fermi, non ci muoveremo
radicati nel Paradiso Conquistato, o separati
nel Paradiso Perduto risultato di paura e noia.
Rumori di fiori
profumi di pitture
odore di caffelatte
piacere dei segni
desiderio di gloria.
Inaspettatamente
vivere sereni
questo recinto.
Che cosa vuoi, Fondatore dei Giardini, che ti scriva su carta di Ghandara gli errori commessi, che m’inchini ai tuoi fiori?
Che cosa vuoi, Dominatore dei Giardini, affinché il desiderio di belle rose inglesi e sane, dolci come un buon poema, fioriscano nel giardino concessomi che curo con pigra intelligenza?
Che cosa vuoi, Signore dei Profumi e dei Colori, da me incapace dell’estremo e afflitto per la poca rispondenza all’opera mia?
Vuoi forse convertirmi alla Tua legge che domina natura e uomo?
Ebbene posso, ma prima di volerlo Ti chiedo un’assicurazione per la pietà chiesta già da Apollinaire, per quello che non potrò mai capire tra i segni dell’aprile trascorso e ritornante.
Ti chiedo di rivelarti Giardino Universale, oltre ogni ragionevole dubbio. Se ci stai, sarò il tuo miglior giardiniere.
Notti incalzanti film
illuminano il divano tra
parole e pensieri intrecciati
discuto col soffitto a destra
domande umane del Dio
il bene il male la noia la paura
e le complesse contraddizioni.
Notti parlanti e mi spiego
e sono spiegato dalle domande
da qualche risposta non da me
data né dal soffitto.
Notti sul letto fresco
passo al giorno pronto
ad affrontare l’umano odore
dialogando con altra pellicola.
Incerti delle opere, delle parole, dei silenzi indulgenti e vigliacchi, ipocriti negavano la piena del fiume e la ruggine. Truccavano la bilancia, tacevano di fronte alle cose sbagliate. Abbiamo tralasciato e offeso, ci hanno ingannato, poco abbiamo capito i genitori come i figli. Hanno e abbiamo tradito.
Che rimarrà dei passi che abbiamo tentato verso la montagna ventosa, con gli occhi appannati, pieni di timori mentre saliamo.
Piergiorgio Welby
20 dicembre 2006
Abbiamo bevuto vino novello
squarciate le botti e rotti i calici
con gli amici venuti da lontano
nel miscuglio delle lingue
cantammo l’autunno porporino.
Ma risalendo i costoloni colorati
un masso colpì la compagnia come una bomba,
tutti schiacciò immobili nel nevischio di sassi.
Non potevamo parlare, non potevamo respirare,
non riuscivamo a muoverci, gambe e braccia non
rispondevano: nessuno soccorreva.
Poi. Ancora poi, molto tempo dopo
scesero irriconoscibili funi per noi
che volevamo sapere del dolore della paura
di chi era rimasto lassù solo
nel silenzio delle regole d’oro
che placò ogni imprecazione.
Il giallorosa della Giudea e la moschea di Omar dorata
memoria di un nascere tra pareti azzurrogiallobianche
tra frutta e verdura che odora forte più del basilico.
Rimane la frizzante pace di stare insieme ciascuno
mangiando come deve e il tè scende dalla spalla
al suono della campanella con il gracchiare della radio.
Si prolunga la processione dentro i lamenti e le ondulazioni
scritte in foglietti di muro con un canto dall’affilata torre
e viene l’immensità del cielo e la soglia dell’eterno
mentre le colline nascondono il frastuono dei caffèdehors
che vedono l’altro mondo con occhiate turistiche.
Del generale che non amava la guerra
sa le ubriacature e le donne
la paura di non controllare ogni cosa
le ombre e le camere poco regali
senza trucchi di luce.
Stordisce chi vuole mutare
lo spazio al tempo legato,
delle mie opere non insipide forse,
non parla e segna sul tavolo
dove il tè scoppietta tra le sigarette
la mappa di quel tesoro che tutti tentiamo
ansimando per la teiera quasi vuota.
Mi riconoscerai tu
o solitario fanciullo
mi lascerai scorazzare
nell’affanno di gloria
che amoreggia con
l’orgoglio subacqueo?
Ulixes
Da troppi anni Ulisse passa da
coste a lidi nel rischio di perdere
il nome, bordeggia da una sponda
all’altra come un turista smarrito,
non ricorda del talamo ligneo
presidiato dalla decisa regina astuta.
Nel mentre Ulisse porta alla disperazione
e alla morte tutti i compagni, perde navi
e piloti, le allucinazioni credute divine
accorrono nella sua testa, confondono
i suoi piani come farfalla attirata dalla lavanda.
Sente profumi e vede bellezze, sente
canti e vede spiagge dorate, s’incanta
per tori troppo bianchi. Si affascina alle spume
dei picchi, delle caverne rimbombanti, alla fine
stanco di questa scenografia wagneriana
si lega alla nave per più non sentire i mostri
di dentro e placare la follia che lo brucia
sotto il sole, che lo fa pirata inventore di
strane leggende bugiarde per costruirsi
una storia che finge. Sfinito dalla forza
per annodare il tutto si lascia al sogno che
profondo lo riporta all’inizio del viaggio.
Eroi
Della terra del fuoco dei mari
custodi arginano gli errori
s’avventano sulle catastrofi
nell’umano possibile
spinti dalla follia del risanare.
La contraddizione li tiene
nella fatica sicuri e pronti
con le mani a togliere ogni pericolo
forse non sapendo – qui la bellezza –
che il loro agire vale quello
dei santi del mondo.
Nascano miliardi di pompieri
pochi minatori con luce e acqua
senza più crolli e asfissie, nascano
o vento gentile del lago miliardi di marinai
che sanno d’amore e di fratellanza,
non hanno paura di te né della morte
e ci aiutano nella durezza degli affanni.
Vento gentile spira più forte per
tutti gli uomini passati e futuri
perché l’incendio propaga e non so
se gli eroi possono salvare
la terra se non spiri di più.
Sino al petto nel fiume
pregano con collane di fiori
inchinando la testa così
col cappello davanti al muro
mentre a piedi nudi invocano
misericordia chiedendo tutti
di vivere nella santa pace.
Fosti tu a mandare
madonna pigrizia
che dalle imbecillità
lontano mi tiene
in più bella quiete?
consacrazioni
pane rose cioccolata
che vuoi di più con il sole
e la neve che stortano
le monete accumulate per
piccolo regalo.
Ma l’ora è presta e il buio
deve ancora venire
con i crampi serali.
L’orologio sul muro storto
crocifisso come un Bacon
delizia di Pablo mai giunto
alla stazione con Mutt che confonde
miliardi d’imbecilli e sani.
L’orologio piagato segna
ore dritte, le piegate sono
speranze bruciate dalla realtà
Perso tra i sentieri
Perversi del monte
Alla cerca dei sacri
Ippocastani e mirti,
Senza saper dire quando
Vicino al luogo si apre
Il petto chiaro e immortale
Sente il dialogo affine.
cadono grandi petali di rose
come in una festa di carnevale
sulle teste sulle pietre sui fiori
dentro le auto degli amanti
dentro le chiese vuote
sopra i tricorni consunti
sulle penne delle mimetiche
sui flashes dei minatori
sul fuoco dei pompieri.
Cadono non si sa da dove
continuano a cadere a profumare
la terra ma non si possono cogliere
non si possono portare a casa
si sciolgono come acqua alla presa.
Un bel mistero questa pioggia rosata
un’allucinazione collettiva dissero
ma gli uomini continuarono a narrare
questa storia che è giunta sino a me
L’albero di Giotto non è verticale, ficcato com’è alle montagne che sono massi squadrati di mura ciclopiche, elementi modulari per la costruzione di case, di città. Diverso da quello morbido di Masolino, mentre gli spazi delle figure stanno uno sopra l’altro come un desiderio di segno pittorico – di parola - presentato contemporaneamente.
Giotto ha sempre sentito la necessità-desiderio-tentativo di presentare i segni contemporaneamente.
Come i poeti.
Qualcuno si è arreso e ha inventato una disposizione spaziotemporale , a progressione, come Michelangelo. Altri non si sono arresi all’impossibilità e si sono incagliati tra le insidie dei segni e sono andati fuori campo: Beuys, Mallarmé.
Bisogna stare nel giardino che ci è dato, pezzetto o villa, e renderlo il più bello possibile secondo
l’intuizione della nostra personalità, inventando figure in spaziotempi sempre rinnovati.
Cézanne per tutta la vita di fronte alla Sancte Victoire. La studia la analizza mette a fuoco le diverse particolarità, l’ascolta di mattina sotto il sole di sera all’alba quando è nuvolo sotto la pioggia. La montagna è sempre la stessa come il desiderio dell’artista, ma il movimento occhio-cervello si propone diverso ogni volta. La volontà è la stessa: conoscerla capirla sino in fondo.
Un pezzo di mondo per conoscere il mondo e capirlo. Una proporzione un rapporto geometrico una relazione niciana tra due enti viventi di cui Cézanne è l’intelligenza, la montagna l’istinto.
Intelligenza ed istinto, intuizione e volontà dell’artista sono quelle d’un uomo che vuole conoscere-capire l’intimo di una cosa per conoscere-capire l’intimo di se stesso.
Cézanne svela l’anima della Sancte Victoire.
Tempo sciupato
se primavera
non riverrà
con germogli
rosa e bianchi
per fiori e frutta
che molti gusteranno.
qualche libro intelligente
che non ha alleviato il dolore
non ha salvato dalla violenza
non ha risolto ansie ed angosce.
Si sono dette tre cose ai giovani
non amandoli come si doveva
ricercando un poco d’affetto
neppure essendo grandi banditi
La notte quando il barbagianni
e il silenzio si sentono distinti
Al mattino quando la luce passa
fitta come il conversar degli uccelli
mi dimentico sempre di baciarti
come la bella donna accanto.
Di questo ti chiedo perdono
anche se in seguito recupero
il tuo segno improvvisamente
per vivere il giorno spalancato.
Improvviso
- per la nascita di Lidia -
Siamo fatte così
Noi piccole palle di neve
Quando scendiamo
Dall’alto in attesa
Di correre spericolate
Tra i caprioli saltanti
cigli azzurri di prati.
Il fantasma bianco
non viene di notte
ma di soppiatto quando
sto fumando o parlando
bellamente. Si stampa
nella mente e il ricordo
dell’antico è fastidioso.
Ogni tanto si diverte
ad aprire una porta dove
entro, niente se non me
stesso seduto ad un tavolo
che gioco alle carte mentre
sono al luna park con una
donna piacente con gli occhiali.
Quando stringo una donna
e la bacio ecco che dietro
sovviene il fantasma
col viso di mia madre e
ricordo mio padre in piedi
nella cella frigorifera e non
posso che fare i funerali
già fatti restando in attesa.
So che saprò quando dover
attraversare il fantasma
la porta e tutte le porte che
si presenteranno nel sonno
senza sogno che mi sveglia
per far ciò che non ho fatto.
padre
Io non so
Ti misero una maschera
Per paura dei tuoi occhi.
Lontani senza vederti
Molti ti capirono e te
Amando fecero santo.
Ho letto di porte del cielo, di triplici quadrati e di accumulazioni energetiche. Sono sconfinato da Orione, mi sono perso tra piramidi e madonne nere e piemontesi incinta, tra nomi semiti, rune
sorgenti sacre e mammelle napoletane. Ho sentito di punti orientali dove il sole s’infiltra, nella sacra famiglia ho visto una cripta e nella cattedrale terribili cose.
Ho letto, ho pensato, ma ho capito poco dei vari legami e non m’importa se hai fratelli e figli, se ti sei sposato per amore o per volontà paterna: forse non voglio neanche capire come non capisco la teorie delle stringhe per la gravità quantistica, la ormai debole potenza energetica che abbiamo. Sono in piena confusione, ma quando leggo le parole dei fatti che hai detto, ecco che non posso che alzare gli occhi all’alto e ringraziarti perché non sono ancora sprofondato nella disperazione e che la vita ancora qualcosa attende, per i tuoi doni, da me.
il disco d’oro
Sette perle cadono
Dalla melagrana
Nella bocca del pesce
Che le risputa sulla roccia
Lucida pietra ricamata
A labirinto segnata.
ciechi di chi vede
tra la spesa siepe,
che della carne e
del fiato nostro?
il vento spinge la sabbia
oltre i muri che cedono
all’occhio dal passo veloce.
Non ci accorgiamo che
batte l’ora preoccupati
delle carte e fuggiamo
sbarrata la porta
robots
disordini elettromagnetici
quando sentiamo
anomalie neuronali
canto e paura dell’upupa?
tra i labirinti della nave
cerca appoggio al piede
come in bilico sulla scala
cogliendo l’ultimo acino
Una tempesta speciale
Travolge anche gli stomaci
Degli avvoltoi ripieni di morte.
convalescenza
La penna tentando
pulitura di scorie scopre
se compiuto è il compito.
Paralleli i polmoni
aria per il corpo cercano
nuova per l’anima
negli intervalli del ritmo.
icona
Il Gran Drago
irato per la spada e geloso
del piumaggio inonda di fuoco
la valle scappando dalla luce
Del Bel Cavaliere.
Otranto
Sulle punte addosso a ingombranti
sagome incerti delle dottrine
cerchiamo una composizione
stupefacente che solo di sangue
di sale odora e non lascia transiti
nella piazza dal vento albanese
spazzata su turisti dubbiosi.
creazione
in bilico sul mondo
se ne va la Bionda
con coraggio e senza
paura tra tele e tavole
dipingendo alfabeti
per dare parola d’oro
all’angelo trovato
Pinakothek der moderne
Le urla sommesse
delle opere d’arte
- rispettose degli amanti -
inchiodate ai muri
tra bari e ladroni
non odono gli alberi
mentre si beve un caffè.
ti svegli appena nato
non riconosci la tazza
i biscotti il bicchiere,
debole e dolorante come se
il buio ti fosse compagno.
E arranchi e borbotti
pensando che poesia è solo
una spruzzata di visioni
naufragio
La Mare e Vento è affondata.
Due uomini sono annegati.
Signore, solleva i loro corpi
restituisci loro la forza.
Non badare alla lingua
dei padri che consolano i figli
dei giovani che piangono i vecchi
siccome amore non conosce tempo,
e trattieni il senno nostro quando
crediamo di saper governare tutto.
calcio di rigore
Terribilis locus stare sulla linea
Caldo o freddo che sia
Da solo nel silenzio fragoroso
Con le manone pronte a bloccare
O farsi scappare la palla.
Terribilis locus stare sul cerchio
Caldo o freddo che sia
Da solo nel silenzio fragoroso
Pronto a insaccare imparabile
O sfiorare alto la luna.
Le possibilità della tempesta
sono terribili come la muffa
dove non trovi i colori saputi
mutati in raggi imbiancati
dalla polvere e dalla spuma:
solo nell’equilibrio temperato
spuntano sorgono ondulano
illuminano tetti e piazze e
i visi mutevoli degli uomini,
confidente pacifico della maestà
tra pietre di fiume nascosto.
Quando i continenti si riuniranno
i fondi dei laghi spariranno alla vista,
quando i lemuri salteranno nel Tibet
gli asini raglieranno tra i leoni
tutto sarà pareggiato. Gli uomini
non troveranno più una caverna aperta
tantomeno dipinta, non troveranno più
Sagrada Familia e Spianata di Lourdes.
Chi parlerà più col barista, tra gli oleandri
o attenderà la Regina con la sua digitale
apparire dal bardato cocchio in the Mall?
Come potremo raggiungere la sala
di lettura della bella libreria di Andrea
quando l’ardesia ricoprirà il mare?
Telefoneremo ai pochi conoscenti
amici raggiungibili, parleremo di
città irriconoscibili, di statue ricoperte
di verdenero, di scimmie con camaleonti
affollare le rovine rimanenti del rosone
di Chartres e le guglie dei santi.
Quando tutto sarà riunito e la Natura avrà
ripreso il dominio rimarranno pochi
uomini e donne che si sposteranno
fino alla consunzione del genere.
Saranno soltanto alghe e felci come all’Inizio
e l’Inizio sarà Origine e il tempo che fu
sarà il tempo che sarà e questo tempo
di penosa torsione non sarà più.
ah la Sfinge
che posso dire dinanzi lei
che possono i tendini le vene
fegato e sangue singhiozzo di parole
pagliuzze di tappeto
che neppure ad Alessandria e a Tunisi
vogliono i più sbrecci dei mercanti
nei loro volanti colori nel deserto
presente vagante.
Che dire se la Sfinge tace anelante
che posso se il vento insinua polvere
nelle vallette petrose.
Che posso e che dico
se il tempo non cambia.
Sottile filo tra la rosa e il cassettone
resistente si allarga a triangoli diseguali
secondo un progetto che subito
non si comprende e si pensa casuale.
Le vittime alimentari
la rinascita della tela
sfasciata dai nemici
ti accorgono che un progetto
sovrintende intelligente
più arguto di quanto lo pensano.
Ragno e scorpione risalgono i sassi spinosi
desertico passaggio senza il respiro dell’acqua
il giallo e il nero mostrando emblemi del coraggio
allontanati da tutti, solitari audaci permalosi
come il camaleonte che azzurrorossoblu
si adagia sulla punta estrema della pianta
cerca un equilibrio che solo una zampa
non converte in caduta.
Respinti lontano, ecco il grande esilio
per la metafora di questi, o poeta che spegni
con un movimento di parole ogni romantica luna
annulli l’orizzonte temperando di giallo di viola
la terra amata col cielo temuto, alla fine convinto.
Tra questi mondi passa uno sconosciuto
ignoto a tutti se non al piccolo che scruta
chi passa chi va chi si ferma chi sosta
sapiente segnato sotto il sole della stupidità
dalle rughe dell’indifferenza scolorata e sciapa.
Indifferenza non può accompagnare il cammino
essere compagna sorridente del viaggio
quando manca un senso che non conduce
ad essere duci perché il senso può essere
non solo di ragione, ma portare con sé
l’alone della favola bella forse ingannante
certo spinta all’agire con dignità e resistenza
contro ogni possibile disagio ogni bella sirena
che si para davanti, contro soprusi e inganni
davanti a ballerini improvvisati ben istruiti.
Il viaggio deve andare verso la meta sua
che non sta nel punto di ritorno
ma nell’ansia desiderante di oltrepassare
il prefigurato disegno per ridisegnare
un luogo che diventi Luogo dove gettare le unghie
graffiarlo sporcarlo segnarlo per sempre
e ripartire verso isole e mari e cieli e terre
sconosciute a noi che abbiamo sentito soltanto
i mormorii della loro bellezza.
O Grande Signore Del Cielo
Tu che hai tolto dall’oscurità
Uomini donne bambini
Animali come piante,
Tu che permetti all’ape
Di darci il miele stupendo
Alla cicogna di deporre
Sulle nostre case i loro nidi
Al bue di tagliare i campi
Perché nascano ananas e fichi
Al fiume di essere linfa per
I poveri come per i ricchi
Ai poeti di innalzare altari
Ai parole e di canti.
Tu che sei La Grande Luce
Che la terra nera in mezzo
Giro trasformi in rossa
Perché dispensi anche malattie
E rovine sulla testa dei giusti
Di quelli che pregano e ti amano
nel loro segreto?
Perché fai impegnare ingegno
E intelligenza degli uomini
In guerre e delitti?
O Grande Signore Del Cielo
Non lo capisco e sempre spero
Che il tuo moto mi faccia capire com’è
Questo mondo meravigliosamente cattivo.
per Messiaen
Ai canti degli uccelli attento
non vedeva la feroce lotta
che sotto il guano avviene,
occhio distratto e cisposo
per l’insonne ricerca dell’armonia
assordato dall’enormità del caos.
Dal canto ossessionato
non sentiva il chiasso frenetico
di una farfalla stritolata.
Dal canto alla domanda preziosa
pensando di aver dato
ragguaglio al male.
Una volta un uomo attraversò le cascate del Niagara su un filo di acciaio lungo trecento metri, vestito di una tuta rossa, di un bilanciere e di scarpette inzuppate di talco per contrastare l’umidità. Guardò il cielo prima di iniziare, baciò una medaglietta che teneva al collo e segnò il suo corpo del divino. Con paura con forza con maestria con tutto il suo coraggio e il suo mestiere, traballando arrivò all’altra sponda, crollando il corpo per lo spasmo della mente. Erano stati i suoi muscoli, il suo allenamento a portarlo sopra le acque, sorretti da quell’invisibile energia che pervade il cosmo intero. Poco alla volta quell’uomo si addestrò a camminare sul filo senza le scarpette, poi senza la tuta rossa, quindi senza il bilanciere. Un bel giorno passò senza il corpo sconfiggendo la pioggia il freddo e la paura della morte.
I quadri devono essere miracolosi. Nell’istante in cui un quadro è terminato, ha fine l’intimità tra la creazione e il creatore. Per lui, come per chiunque altro, il quadro dovrà essere una rivelazione, la soluzione inattesa e inedita di un problema che da sempre gli urge dentro.
Rothko
Il ritratto fotografico della Taylor-Wood è il frutto di una sola ora di osservazione del soggetto. Non riesci a percepire in profondità la sua personalità. Il mio ritratto dipinto da Lucian Freud ha richiesto 120 ore di lavoro. Per questo è, secondo me, infinitamente più interessante. Perché un quadro deve raccontare tante cose, e non solo una mera somiglianza.
Hockney
I poeti contemporanei quando parlano di poesia dicono tante sciocchezze quanto è la loro povertà di idee creative.
Ebt
Siamo una terra vecchia, che ha la mania di seppellire i suoi diamanti.
Paulhan
Nessun cammino matematico-logico conduce alle leggi elementari, le più generali: l’intuizione sola, fondata sull’esperienza, ci può condurre ad esse.
Einstein