SPLENDORE DEL VENTO. L'Albero azzurro (fr. 2004)
EB di Terzet
ai miei studenti
Tra il Tanaro e via del Campo
tra il 32 parallelo e la cordigliera colombiana
si getta la gente alla disperata tra una fiamma
un portone e un’argine.
Se l’oracolo parlasse ancora tra gli irti boschi
le acque ripide di ombra fresche e bianche
il terremoto della Colombia sarebbe castigo
per le cattiverie umane, per la distruzione
delle terre per coltivare coca che inonda
i poveri infelici e deboli e viziosi
incapaci al sostegno pesante del vivere,
gli occhi grigi verso l’esterno che male solo
vedono e il bello non sentono e il buono.
Ma anche nella devastazione la mano velata
del dio si china tra questi dannati e tristi,
soffia un vento sulla bocca e le aperte ferite
così sopravvivono dopo giorni di polvere
e vengono estratti lentamente con timore
alla luce opacizzata del villaggio errabondo,
altri rimangono a respirare l’alito divino
salvandosi secondo modi diversi.
Un segno della benevolenza sarebbe questo
se l’oracolo ancora dicesse parole ambigue
segno che apre alla constatazione
che la verità è il velo di tutti i colori
quando una vita da altra è salvata,
quando azione benefica cancella ogni nequizia
e senti lo sfrigolio della luce dietro il mantello
che si apre che si scopre a frammenti per non accecare
i nostri poveri occhiali abituati alle frequenze
avvolte dall’atmosfera sporca e assorbente.
Strappare dallo svenimento dei sensi
la carne di un uomo,
resurrezione ricomposizione
di quanto era spezzato frastagliato
riesce per un attimo a sgombrare
la vita dalle frattaglie incredibili
quando il momento del salvataggio
è pronto ecco scivolare via il respiro
per le macerie polverose che cadono sbriciolate,
l’attonito viso guarda davanti a sé
nell’alto gli occhi pone veloce
passando nella mente tutti i ricordi
delle morti vedute
le morti sentite
inutilmente sedate dalla memoria.
I pesci navigano più silenziosi del solito
oggi che il temporale improvvido
si abbatte sulla terra le case i giardini,
di nebbia e vento avvisando
la gente al sole di marzo avvezza
oramai verso temperature più calde.
Improvvido e improvviso
scende sui pesci sulle donne blu
che danzano e ballano tra le pieghe
della carta bianca suonando
chitarre picassiane e pifferi,
silenziose anch’esse e liete
di spandere musica e profumo
al mondo che le ama e continua
ammirandole, a spargere sangue.
Dalle scorribande delle nuvole rosse
impresse sul grigio di un mondo ancora fragile
la forza senza errore di una voce
tutela il canto che abbellisce il giardino
seppure i morti continuano a dire
sofferenza e patimento
neppure attenuate
dal marchio sicuro di vera immortalità
poesia
di poetessa spagnola scomparsa.
Dal mare fiammate orientali
le canne i bambù i papiri
lungo la strada sento e non so che gridare
che dire che fare con questo mare
orientale lì sotto casa
che manda ondate di deserto,
tutto diventa rosso come
un pastello di Nolde
solitario granulato impastato
a zenzero e basilico:
non so che fare non so che dire
attendo quel rigoroso temporale
di un occidente indifferente.
Dopo l’età dell’ansia non rimane niente
da rendere e
il mondo fu indifferente.
E’ indifferente all’offesa
alla distruzione alla sopraffazione
alla mancanza del pane e dell’acqua
alla morte di giovani e vecchi
come della vita di ogni combattente.
E’ indifferente all’opera d’arte
alle architetture nuove alla poesia
che non interessa più -
agli sforzi dei poeti di non essere ridondanti
di stringere giustizia di scartare l’errore
di essere nella verità e nella bellezza.
Indifferenza travolge ogni idea
ogni utopia ogni progetto
senza più redenzione
se non fosse che da qualche parte
del mondo più vecchio e di quello più giovane
si sentono i rumori di un attrito che non
è frizione di macchinario ma ronzio
di penna elettronica che cerca
l’articolazione più secca più piena
di alcune parole salvate dalla spazzatura,
pulite lucidate come i candelieri d’argento
per stare ritti sul pianoforte non
per bella figura ma per rischiarare
la casa appena riordinata.
Spianare la carta a un discorso poetico
sciogliere le rughe bianche al canto
senza astratte parole, memori dell’esperienza
con improvvisi sussulti e sfolgorii di visione
per centrare la luce di un poema rinnovato
dall’andamento collinare
di forte e piano di basso e alto.
Cantare senza paura di abbellire il mondo
lasciando le lusinghe di dimenticare realtà,
poetare come gli antichi cantari le urla
didascaliche dei muezzin e melodiose
poetare con il respiro lungo di chi
sa la difficoltà di essere poeta
senza risparmio senza ricompensa,
questo saputo all’interno di un appagamento
non affrettato che immediato viene.
Le circostanze sfavorevoli dell’estate
non hanno portato un settembre radioso
non hanno rallegrato i raccolti e le spighe
non c’è giallo, niente bagliori rossi.
Le circostanze sfavorevoli d’autunno
non hanno portato un tiepido ottobre
sulle rive del Mar Nero e le dacie
sono già fredde e il cappotto indossato.
Le circostanze sfavorevoli dell’inverno
hanno destituito un capo e lo hanno fatto morire
senza onori come Pasternak un novembre,
uno è poeta di memoria incorrotta
l’altro qualche riga nei digesti storici:
restiamo in attesa delle circostanze di primavera.
Arricciato come un gomitolo di ferro
con le spine urlate come sangue
rappreso sulle punte del bisturi
taglio i nodi della gola
filo acceso di elettricità spinosa
rimbocco le maniche del mare
sboccante con la spuma ventosa
bianco di faraglioni lavici
meravigliosi totem invernali
attendo la rincorsa di Ulisse
ancora una volta perduto
tra gli aculei delle sirene
urlo spezzato di miele.
Scandito lago tra monti neri
una padella di terra
raccoglie case aggrumate
città spostata nella sera
intravista dalla strada verticale
tra luna e silenzio dove
la mia richiesta so parziale.
Non venga respinta
dissolta da umano diniego
senza ascolto perché i motivi
che l’hanno mossa
sorgono nella testa impulsiva
maturano nelle viscere
alimentati dal cuore sono venuti alla bocca
come naturale bava
saliva indistruttibile nella coscienza della stupidità
della domanda di minuscolo interrogativo
che comunque si agita eccita
e vuole essere ascoltato.
Senza la speranza dell’ascolto
niente più potremo
niente più progettare
senza orizzonte oltre la siepe
oltre gli ontani e degli allori la fila
nessun frutto nascerà dal pero biancorosa
dal rosso ciliegio dalla quercia possenteverde
che guarda i giovani alberi nascere e crescere
senza invidia con pazienza e passione per la vita
lei come Tu che non puoi respingerci così lontano.
Sottile il filo tra la rosa e il cassettone e resistente
si allarga a triangoli diseguali secondo un progetto
che subito non si comprende e si pensa al casuale:
le piccole vittime alimentari e la rinascita della tela
sfasciata dai nemici ti accorgono che un progetto sovrintende
intelligente e più arguto di quanto non lo possano.
Massima è la tensione tra gli oggetti rilegati
tra le righe del giorno e della notte che argentano
gli spazi tramati, alveoli tenaci che dondolano
come le canne del papiro dietro la testa quando
ti riposi con il giornale tra le dita curate
nella trasparenza di un chiaro filtrato dalla tenda
a mano da donna paziente ricamata e antica.
Ragno e scorpione risalgono i sassi spinosi
desertico passaggio senza il respiro dell’acqua
il giallo e il nero mostrando emblemi del coraggio
allontanati da tutti, solitari audaci e permalosi
come il camaleonte che azzurro e rosso
si adagia sulla punta estrema della pianta
cerca un equilibrio che solo una zampa
non converte in caduta.
Respinti sempre più lontano ecco il grande esilio
anche per la metafora di questi
o poeta che spegni
con un movimento di parole ogni romantica luna
annulli l’orizzonte temperando di giallo e di viola
la terra amata col cielo temuto, alla fine ritrovato.
Tra questi mondi passa la figura di uno sconosciuto
ignota a tutti se non al leonino fanciullo che scruta
chi passa chi va, chi si ferma chi sosta
sapiente segnato sotto il sole della stupidità
dalle rughe dell’indifferenza scolorata e sciapa.
Indifferenza non può accompagnare il cammino
essere compagna sorridente del viaggio
quando manca un senso che non conduce
ad essere duci perché il senso può essere
non solo di ragione, ma portare con sé
l’alone della favola bella forse ingannante
certo spinta all’agire con dignità e resistenza
contro ogni possibile disagio, ogni bella sirena
che ti mettono davanti contro soprusi e inganni
ribalderie, davanti a ballerini improvvisati e ben istruiti.
Il viaggio deve andare verso la meta sua
che non sta nel punto di ritorno ma nell’ansia desiderante
di oltrepassare il prefigurato disegno per ridisegnare
un luogo che diventi Luogo dove gettare le unghie
graffiarlo sporcarlo segnarlo per sempre
e ripartire verso isole e mari e cieli e terre
sconosciute a noi che abbiamo sentito soltanto
i mormorii della loro bellezza, della loro magnificenza,
dell’attrattiva che ci attrae oltre ogni destinazione:
destino di sola illusione
consistenza concreta di accecante luminosità.
mentre vedevamo riquadri televisivi verdi e bianchi
incendiarsi e inondare di rosso le case di cartone
nel calore di un termosifone marzolino partecipavamo
al silenzioso accadere, passibili impossibili
a ostacolare qualche morte di più precipitata
nella fossa ricolma di terra di neve
addossati i corpi con le teste fasciate di sangue
come i lampi delle fucilazioni di Goya
in attesa di partire per la Spagna -
memoria costante di ogni guerra civile
- tutte le guerre sono civili -
inizio delle guerre dal cielo provate nelle secche
di terreno senza frassini ed ontani.
Giunsero i compagni di Ulisse a vedere
i maiali che erano l’occhio unico del gigante
Saturno ingoiatore di uomini
mentre tutto era dovuto al destino
che prometteva isola e casa
attraverso misture di morti e dolore.
Non più eroi cadevano sotto elmi fregiati
guerrieri invisibili lanciavano bombe
astati missili ubriachi per la spinta
perduti oltre l’orizzonte dell’occhio
e sai che da un tempo predeterminato
non raggiungeranno il rifugio frettoloso
e la strada conterà qualche cadavere in più.
Il viottolo della pace è solo
cantano gli angeli antichi a noi vicini.
Come ricominciare daccapo se cademmo
una virata d’intenti
una sterzata della vita
dopo amassi di storia
continuando l’umana vicenda
nell’aggressione nelle offese?
Come iniziare un tempo presente
senza distruggere il tempo passato?
Come mantenere la memoria?
Come tenere una tradizione?
La tradizione cade putrido fogliame
il nuovo non avrebbe sostegno:
come mantenere la storia senza continuarla
come starci desiderando cambiamento radicale?
Quando gli alligatori gialli del tempo impastato
vengono con guizzo insolito a sbranare
il coniglio selvatico la storia continua,
si ripete senza storia. Non per gli uomini:
ogni azione è intento diverso e ricomincia
la corsa dell’Avventura come il carro di Ettore
lanciato senza affanno contro Achille
- la responsabilità del primo - e cadde
e si stampò nel cuore dell’eroe piumato
sporcato di fango come la preda del Serengheti.
Avvinghiato alle forcelle dell’aereo
sta l’aquilone strappato da un vento incredulo,
lascia pezzi di ogni colore per il cielo
arroventato dalle turbine come il Monte Bianco
il fuoco divampato per l’errore umano
portandosi nella neve rossa decine di corpi
abbrustoliti come i cadaveri di duemila anni
scavati dalle macerie spostando la torba,
pacciame che attenua il gelo, conserva le radici
degli alberi dei fiori stendendo un manto
sulle bruciature ghiacciate venute dall’Ovest
dalla Siberia incolpevoli quadranti geografici.
Dall’Est e dal Sud salgono lente maree
dal Nord scendono valanghe precipitose
nel centro scontrandosi come quando
nella pianura la leonessa avvinghia la gazzella
e la stringe al collo sino all’ultimo strappo.
Poi il dilaniato del corpo con la rabbia
di una fame giornaliera da sempre
nell’indifferenza completa delle gazzelle lontane
mentre i fruscii le brezze appena percettibili
riportano calma e innaturale equilibrio
dall’imbrunire all’alba negli accadimenti dovuti.
Il compatto midollo dell’intelligenza
impastato con la cultura trova risonanze
nella difesa che la vita oppone.
Lungo le direttrici dell’aristocrazia mentale
dello spirito come del corpo porta
al problema di non sentirsi schiavo
non essere soggetto ad altro
non vendere la propria dignità.
Kukes narra dello sgozzamento
di un poeta come uccisione di fanciullo
la dignità della storia della civiltà
del popolo delle montagne lunga la riga
della parlata rossa su colline ancora bianche
brulla miniera di cromo appena si scorge
e la passeggiata dei fuggitivi con l’asino
è la fuga in Egitto continuata
sotto i lampi e i bagliori di uomini
che non ricordano lasciando spazio
all’interminabile partita a scacchi
attenti alle mosse solo per vincere questo
solo per non perdere quello
altri morendo condannati dalla loro povertà
che non lascia campo
all’essere uditi e di altri hanno
bisogno perché siano ascoltati
e basta di parlare addosso a loro,
uomini queste donne bambini questi vecchi
appesantiti dalla mancanza del latte e dell’acqua.
Non c’è retorica né sussulto approssimativo
non risposte scomposte di opportuni sentimenti
non eccitabili tensioni vocali che tradiscono
un disinteresse reale come quando
si cantano gli spartiti seguendo crome e biscrome
accuratamente con cadenza impiegatizia
senza vivere l’invisibile melodia della musica
sordi e ciechi piangendo e urlando per ogni
disagio disastro o strage o immagine
di chi non trova la mano adulta
per un momento nel trambusto tra le tende
o per la farina bastante una settimana
mentre aerei scaricano tonnellate di cibo
e l’infamia è quella che venga perduto o rubato.
Quando ci parlavano di antichissime migrazioni
di popoli attraversanti il deserto o del taglio della testa
sotto i due anni o la nascita di un bambino
tra sofferenze e miseria e disagi con povertà
tra animali e case distrutte nessuno prendeva col cuore
la narrazione come se fosse favola sciocca.
Adesso ci si accalca attorno al padre
perché onnipotente fermi le volontà di guerra e di stragi
con un solo discorso freni e blocchi
possa fermare secoli di odio e di ricambiata sfiducia
secoli di rabbia di rivendicazione là
nelle terre bagnate dal mare antico e solenne
questo Mediterraneo sonnecchiante e poco pacifico
che non smette di rinnovare i suoi blu i suoi celesti
tra le sponde non lontane di mare saggio e sapiente
che sa della storia del genere umano e delle lotte
accanite che popoli diversi hanno ingaggiato
nel tempo quando le leghe erano forti e dure
come le odierne e quando la forza veniva esercitata
da chi la possedeva e non si poteva scoppiare
per entropia per troppe potenze accumulate.
Mare di poveri pescatori che conosce
le ricche navi dei mercanti grigie e dorate solcandolo
per arricchire la ricchezza con ogni possibile mezzo
la pace la guerra o diplomazia
nell’animo stretto il nascosto proposito
di sopraffare il nemico così diventando l’altro
che si oppone ai desideri di imperio.
Noi che non potemmo intervenire
stavamo contro l’Usurpatore
che condusse la terra del Duero dispotico
verso una stabilità cattolica ed europea:
frememmo per la truffa del Patto
le uccisioni le corse tra i viali di Budapest
con la bandiera a croce rossa per salvare un ferito
la radio gentile che chiede il possibile aiuto
all’Europa e all’Occidente. Poi i carri armati
il silenzio le fucilazioni come a Praga:
noi riavvicinati di sgembo a dio
non siamo d’accordo coi gesti vaticani capendo
nella Guerra Balcana quando la strage di un popolo
spinse con dieci anni di ritardo a fermare i tiranni:
noi sapendo della leggerezza americana
lontano impero che vede un’infiltrazione mussulmana
guidata dalla Turchia noi sappiamo la differenza
dei mussulmani europei da quelli del vicino Oriente,
noi sappiamo la possibile convivenza noi sappiano il genocidio
del Kosovo e la voglia della grande Albania:
noi non marxisti e poco cristiani sudando freddo
per le nostre posizioni piangendo per le morti
fermi restiamo sulla strategia cercando
spiragli di negoziati sapendoli difficili
per l’insensata Serbia che resisterà
sin quanto potrà impotente la Russia di debiti:
noi non appoggiamo l’Impero Occidentale
cerchiamo segni dell’autentica Europa
non solo affarista e delle banche:
Europa della poesia dell’arte della narrazione:
Europa che tanto ha da imparare tanto da insegnare
impantanata sul soldo incapace di trovare
un criterio stabile e meno scivoloso
per essere Grande Nazione rispettosa delle diverse Terre
che conformano il Continente non ancora domato.
L’esuberanza della terra
accolta dal cielo rinfrescante
mostra calori e rumori.
Un fumo diagonale s’infiltra
senza apparente violenza
dentro i teloni d’azzurro
tesi tra una nuvola e l’altra.
Pazienti oltre ogni riserbo
i cieli pensano ai gesti che vedono
scendono alle architetture inventate
si abbassano e sfilano interni
ai vuoti lasciati liberi dalla mano
che dice l’incipiente sorpresa
sotto l’impossibile maschera.
Orizzonti segnano confini incredibili
limite rotolante all’infinito
e quell’aria che diciamo mare
solo perché orizzontale e solida
è quell’aria che diciamo cielo
solo perché sopra le teste
particelle incolori liquide che
non rispondono alle faticose domande.
Sette file di alberi bucano
sette volte il tetto stellato
nel giorno affollato di lampi
di schianti di schegge di tuoni:
questa la lotta ordita lassù
pensata come disumano conflitto
per respingere lontano ogni debito
che l’incolta aggressione pone
alla civile intelligenza spargendo
sassi e boschi verso innaturale sito,
rompendo le radici le zolle i fiori
spazzando ogni speranza di coltivazione
spezzando ogni possibile resurrezione.
Continuano gli abbracci delle nuvole
squillo di torneo tra i condensamenti
dei gialli dei verdi i grigi gli amaranti
finzione di morte e di nero
anche se un acquazzone fa pensare al contrario:
finzioni sfogano la sensualità accaldata
nella purezza precisa,
traccia dello splendente architetto.
Lo sente mai ogni tanto
uno sfrigolìo interno
come uno stato di attesa
un sentire che qualcosa
dovrà avvenire mutare
trasformare il tuo corpo
pisside dello spirito?
E’ una sensazione
o altro
tra il bello e l’inatteso
netta nell’inizio della giornata
sfumata nel corso
uno scivolare via di profumo
che rimane intensa memoria.
Ma noi ci faremo da parte
come la belbergia e il bananamusa
quando nasce la pianta-figlio
aspettando il suo rafforzamento?
Ci faremo da parte per i nuovi venuti
niente sarà più di noi
se non impasto acido
secondo costituzione comunque azoto?
Un poco di terra riportata ricopre ogni cosa
e tutto sarà silenzio della natura.
Ci faremo da parte naturalmente
senza fiori e spighe arditi nell’alzarsi
al sole incontratosi col cielo svolazzante:
ci faremo da parte certo ma non
senza aver provato il nostro fuoco
l’energia sapiente che da lontano
spinge e preme le spalle odorose
questa energia che sprechiamo volentieri
ma che ritroviamo al quando opportuno
antica energia che spinse Ettore
alla Grande Lotta, Ulisse al Grande Viaggio,
ser Thomas a non rinnegarsi:
fuoco che ci distingue dalla belbergia come
dal fischiante gibbone. Sì
ci faremo da parte assolta la nostra
concluso il colloquio col mondo
non più accaldati
senza più il freddo e maccaia
adagiate tra le mani e il naso teso:
ci faremo da parte
lasciando le tracce dovute
ai giovani lo spazio dovuto
ripresa la via a noi segnata
con l’allegria e la leggerezza di anni trascorsi.
La spudoratezza di un voto
accompagnata dalla presunzione
di un colloquio puntiglioso
impedisce la risoluzione dei problemi
di una realtà persa di vista
rimane la tracotanza delusa.
Strette sono le parole e chiuse
quando labbra si schiudono nella sera
illuminata dalla invisibile luna chiara
quando il cuore affanna nel calore appiccicoso,
rincorre i ritmi del diaframma
spaccato da sconosciuto affanno.
Le rotazioni della mente
avvallano il pericolo avvertito
nessuna figura o forma nasce
se non distorsione di effimero,
niente che lasci al poi e poco dura
nella considerazione emotiva.
Inutile scrivere sul vetro
senza le passioni dell’intelligenza
senza il sangue sulle dita
affollate di corpuscoli che vogliono uscire,
andare verso l’aria mescolata di cielo e nuvole
quando la pioggia ancora non è formata
e il vento dondola da un balcone all’altro
intirizzendo i gerani le rose bisognose.
Non di lui ma di fosforo azoto insieme al potassio
quanto poco dell’acidità della maligna compagnia.
Inutile scrivere sulle apparenze cardinali
quando il cuore non sobbalza
alle mostruose stragi
alle grandiose invenzioni
delle umane genti
deliziate di sinusoidi
tra imbecillità e maestosità.
Passano correndo le immagini
di una figura di profilo
grande impasto trasparente
solido segno aperto alle più folli pretese
ignorando gli ultimi disegni
sobri ed attenti alla grammatica
ricostruita per diversa sintassi.
Passano le immagini scorrendo
un fiume impossibile di tempo
perduto e spiegazzato come se
eternità si potesse rovinare con inutili trovate.
Poi si venne a sapere
che strategia non c’era,
solo un dopo non compreso,
rinsecchito dalla frenesia di tutto potere,
dicendo chi sono gli impostori.
Senti i mormorii?
le urla
Odi gli scoppi?
la rumorante folla
Ascolti i pianti veloci?
le imprecazioni
Rispondi alle implorazioni?
alle preghiere.
Nel posto di sempre
serena ed appagata
con sorriso compiacente
guardi gli spigoli storici
abbandonata ogni impennata
dolce della quieta calma
esplosa nella liberata luce
mattutina e serale
per chi non sente la retta
e dentro obliquo si muove
sollievo alle nostre contraddizioni
ogni cosa vivi adempiuta
tutto avendo compiuto.
Silenziose scarpe di pietra
rossa nell’agosto imperterrito
senza tregua transitano e lucidano
il pavimento della chiesa che offre
immancabile ristoro:
albero ritto accanto come campanile
muove le ore assolate
silenziosi muri e mattoni
per uno slargo di strade senza riparo
a lato un piccolo bar che promette
un immediato sollievo
centellinando i respiri i secondi
consumati nell’acqua giallastra
riparata dall’ospitale marmo.
Non c’è allegria in giro
non serve più il canto ungarettiano
per dire le tristezze e gli strazi dell’uomo
attorno il grigio domina:
soddisfatti della raggiunta mediocrità
vagano gli uomini in cerca di alibi
si circondano di chiacchiere e
leccano il proprio corpo e
si tuffano nel mare rassicurato da bandierine blu
altro non cercano non trovano non sentono
involucri pesanti al proprio essere
stanno dentro una sauna
felici di sudare di raggelare
senza sapere lo scopo dell’improvviso sbalzo
non più usi all’urto
fiduciosi in un mare estivo
piatto per sempre.
Che cosa questi innocenti per meritarsi questa morte
Dura difficile insensibile da affrontare nella lontananza
Nel buio un coltello sacrificale di un bastone pulito.
Che cosa questo vecchio da qualche anno solo fumatore
Sullo sgabello accanto la casa a guardare oche e secchi
Qualche volta portando a spasso la mucca salutando l’Oriente.
Che cosa incolpevoli e vecchi questi bambini che niente possono
Perché queste sofferenze forse capiranno i tuo avi non noi abituali
Di uno sfrenato Occidente che poco ricordiamo delle antiche tribù.
Il giallo rosa della Giudea e la moschea dorata di Omar
Memoria di un nascere tra pareti azzurrogiallobianche
Tra ancora colori di frutta e la verdura che odora forte più del basilico.
Rimane la frizzante pace di stare a tutti sacro nel Luogo
Dove ciascuno mangia la carne come deve e il tè si versa dalla spalla
Nel suono di una campanella che contrasta con il gracchiare della radio.
Si prolunga la processione dentro i lamenti e le ondulazioni
Scritte in foglietti di muro mentre un canto dall’affilata torre
Ricorda l’immensità del cielo e la soglia dell’eterno.
Le colline inesorabili e il frastuono dell’altro mondo
Quella dei caffedehors che non vede l’altro
Se non possibile occhiata e curiosità turistica.
Benevoli sono passate le rondini
sopra la ruggine delle case sfalsate
infiltrandosi tra le feritoie dei merli
dominatori della spiaggiata collina
verso la risalita di un poggio dove
l’acqua cade e il vento refola.
Riposate sono passate le ore
amiche e i dimenticati giorni
con le tempeste e le bonacce
sopra queste aie e questi recinti
sopra questi prati e questi fiori
corrosi da un aria sempre più spessa.
Distaccati sono passati i sogni
che neppure la memoria riprende
filo dei tappeti sotto il sole nudo
pianure senza arbusti e brune
così lamentevole il grido come pianto
di un uomo sopra la croce senza parole.
Emozionata la fantasia ha lottato
l’immaginazione si è scaldata di notte
la ragione tranquilla come la poesia
nelle caverne abitate dalle distrazioni
rumore di gola ritorta che ritorna
al fiume lungo e antico di spuma
cadenza lanuginosa non risparmiata
dalla luna accecante che nella notte
s’incarna tra i velari del settentrione.
Impassibili sono passate le capre
con l’occhio semita hanno belato
al soldato ferito e nemico
disteso sotto il dirupo rotta la gamba
la mano pietosa si tese alla bocca
direttamente dal capezzolo paziente
passando autocarri cantanti
tra il pietrisco e la polvere saltellante,
da anni manca l’acqua risanatrice.
Le vesciche si manifestano ad intervalli
regolari come le stagioni di un tempo
arrivano come l’infestante estate e
il consacrato inverno secondo una spinta
prodotta da insetti che si alimentano
del sangue dell’innocente.
Carne esposta ai massacri
più crudeli che avvengono
in tempo di sbandamento
alla ricerca di nuove costituzioni
di un equilibrio di vita
di un asse senza cadute
nell’ostinazione di stare a galla
sulle posizioni conquistate.
E questo favorisce le vesciche
che si mutano in ferite
che si chiudono che si riaprono
per ogni passaggio di mano
sulla pelle fresca e sconveniente.
La concretezza del sasso inciampa il piede
che non volle saltare pesci matissiani
carne baconiana non poté il salto impedito
dalla mano stretta dall’altra che lo tira a sé
salvataggio frenetico che accade
quando piccolo è il pericolo e nessun panico
attraversa il corpo di un’anima
avvezza alla tranquillità dei gesti.
Accettare di vedere la Cappella Sistina
godere del tondeggiar di colori
prima che l’occhio cada nella nebbia circostante
con tranquilli ricordi e le emozioni nuove:
reggerei tale strazio o nel terrore
del buio sbranato da me stesso non
sosterrei la prova e contro mi scaglierei?
Contro chi la prova dettò nella casa antica
a fronte del mio coraggio tinteggiato
di quel glauco verde oramai sparito
dalla tomba scoperta nell’anno fatale di Marcel.
L’immobile giudice
all’ora del sole calato
si adagia allo schienale:
la discussione degli uomini
diventa discorso con la Madonna
affidato agli angeli il Figlio.
Liberi dagli obblighi turistici
felici del fedele custode
narrano le storie avvenute
per il giorno dopo riprendere
il posto loro proprio
giustezza di un ordine
che neppure muta
nella fresca notte ondulata e verde di vento.
Al diniego consapevole
di una coscienza che rifiuta
il male
ricompensa e merito.
A chi per pigrizia o natura
portato non è alla malizia
si riveste lui di merito?
L’azione di ridurre al minimo scarto
l’intervallo tra pensiero e azione
in sé e all’esterno già è
atto benefico se nell’area
del bene si muove l’idea:
il problema del male e del bene
della loro differenza e distinzione
agli uomini se soli inestricabile
necessita per ansia di libertà
il ritorno ai sacri antichi testi.
La ballerina rotea sulla punta
Modula la destra con la sinistra
Vortica nel misterioso
Dei quattro punti cardinali
Per i venti della rosa che
La tengono snella e rotante
Se la mano che la gira interviene
Con appropriata mossa,
Non lascia cadere il movimento
Che sarebbe soltanto mancanza.
Leggiadra curvatura
Il corpo sopporta
In avanti declinato
Le braccia protese
Mani intrecciate alle dita.
Le rotondità intuite
Al loro posto inducono
Il pensiero a rotondità
Sapendo comunque
Il destro occhio eccentrico
Non nella distrazione.
Tra i decori dorati
Il tondo tiene il liquido
Vorrebbe versarsi e scappa
Verso le convessità dello spessore
In alto spingendo a terra tenuto
Dal momento estremo del passaggio:
Il cristallo s’appanna per la pasta
Addensata e rossa quando avviene
Con la precisione e la naturalezza
Chiamato miracolo.
Dal buco della porta spagnola
Acqua e fuoco tra colline nude.
Il diaframma respinge
Illusione della realtà
Rimane il sospetto della magia
Ma la visione dello spirito
Accompagna verso la figura
Con le parti un assieme
Altro dalla grande intuizione
Trasfigurata in forma.
Sgrondano le ferite
lacerazioni di pelle
anche se il freddo
inospitale di un mese
che non è aprile
anestetizza il cuore
parte che non sappiamo
se solo meccanica:
e ci richiama o è solo la mente ?
Alla serialità dei massacri
che niente aggiungono al mondo
diminuendo il bello
richiamano a migliore poesia più forte
ancora a uno sforzo di Bellezza
a compensare i delitti
che ancora storti fumano
dalla terra angustiata.
Sobbalzano le auto
sui tracciati lunari
presi d’infilata
dal trucco ingegneristico
non le cadute improvvise
dei corpi i tonfi delle teste
gli accartocci del fegato
legato alla palla della milza
che saltella lontano
dalla quercia trafitta.
Poco rimane se non ripararsi
chiedere di uscire da lì
e lotti una via di salvezza:
improvvisa dinanzi
una capra ti guarda
semita come te
che non ricordi più
e scappi travolgendo
l’ultimo appiglio
contro la morte
che nessuno vorrebbe
così innaturale. Eppure
quanti restiamo
riusciamo a vivere
debolmente
se non
riagguantiamo speranza.
….. delle ombre preciso contorno
non vedi tra la nebbia che accappa
la testa in mille schegge si spezza
adagiate tra i sassi gelati
attorno alla statua oltre il confine:
briciole si accumulano inutilmente
gli ultimi rottami si sfarinano
dall’argine alla casa illuminata
come a Natale quando tutto è chiaro
le luci distinte e il cielo bianco:
il fiume che avvolge il castello è lento
inumidisce le piazze senza rimorso
ma rimane il desiderio di un respiro
profondo più lungo di questi tre laghi
riservati ai domenicali amori…
ignaro dalle menzogne pensate
solleva la polvere oltre le balze rosse
sbuffando come un cavallo di ferro
per le accidentate strade che portano
dietro i calanchi ferruginosi di bianco
come le montagne di vaniglia
tra le mani dei bimbi ignari.
Così va la mano tra le ordinate carte
arroventate dal vento di luglio
che non risparmia neppure le tempie
livide del sudore che rinasce ad ogni
passata di mano come il pensiero
non impedito dal tempo e dalla fatica
si stempera sempre diverso e uguale
tra i righi e gli spazi di una carta
che non ingiallisce.
Bocca aperta nello stupore
Il grande premio apparso
Meraviglia di un sospetto
Come se il mondo ad un tratto
Avesse capito di riposarsi
Di stare al caldo e nel silenzio
Invece di continuare a spostarsi
Inutilmente per ricominciare
Di nuovo e tutto senza curarsi
Di un fiore per gustarne il profumo
Sentirne il colore con la palma aperta
Il naso socchiuso in un giardino
Rinascente mentre un po’di luna
Si appresta alla sostituzione del sole
Tra i confini delle nuvole
La testa sonnecchiante
L’anima libera.
Scritture sotto la pelle
Nascoste dalla camicia a righe
Alto sul collo il maglione
Marciscono se non aerate
Come gli uomini nascosti nelle baracche
Dormitori senza sonno
Mangiatoie per un lavoro
Che nega la redenzione.
Si guarda alla presunta colpa e alla pena
Che nessuno porta per loro
Se non anime gentili
nascoste ai più e silenziose
come il fumo che in più è pesante:
E le voci dure e mitraglianti
Dicono ordini e comandi
Fuori dei confini dell’umano
Sceso a prima degli animali
Questa idiozia pensabile
Orrore che porta alla disperazione
Alla durezza di un cuore disamorato
Niente più riconoscendo
Per le troppe ferite ricevute
Sotto il livello di guardia
Fredde come un golem
Nel cimitero infranto
Sulla terra guastata
Dalla storia irrisolta.
Le ranocchie nel paludato stagno
cantano alle giovani ninfee
senza dare ascolto ai maschi:
molle scorre l’acqua
sotto le foglie avverdate di limo:
i pappagalli dai multipiumaggi
gorgheggiano tra i rami
dei più rosseggianti alberi:
pantere si aggirano mostrando
denti luccicanti ai poveri gatti
che niente hanno più di felino:
ancora si ripete l’antica notte
quando il creato apparve
nella lussuria di se stesso
nessuna vergogna tradendo.
…fuoco divampa di vulcano
grandezza di montagne all’orizzonte
spaziosità di mare sotto il terrazzo
dove uno stridìo si alza ogni giorno
gelido e accalorante urlo
che ammazza ogni farfalla
annienta i fiori dei gerani
spezza le corde ferrose ai cancelli.
Urlo che esce dallo stomaco
che ammazzerebbe un cavallo
se non costretto dalle regole imposte
di un ritmo sconvolto come quando
la lava precipitò su Pompei
e tutto fu imbragato
come il ponte di Christo…
Urlo che esce dalla testa
che brucerebbe un’aurora
se non allineato sulla carta
imbiancata dalla bava
irrigata dalle sospensioni
del pensiero che smania
contro l’avversità rinnovata:
testa e stomaco si arrovesciano
dalla bocca stridendo come ferraglia
attenuato il rumore e trasformato
nella musica rotonda di una vittoria
annunciata dall’azzurro del vetro.
Bellezza non fu l’ispiratrice
Ma la nettezza del fare
Sicuro che un’asettica
Formalità riservasse da
Ogni possibile impegno:
Stupidi come disse Prevert
A continuare a marcire
Sicuri di tutto sul niente
Asciutti come acciughe
Ricchi come i cavoli sfogliati.
Imbecilli ancora chiamate
Alle armi le fette di storia
Non ricordando neppure
Le strofe della canzone
Portata ad inno di guerra.
Poi a cantare tra i fondi
Ragionieri della legge
Alla fine un rombo uscì
Dalla gola contraffatto
Di antica melodia e dolce.
Dopo lo sforzo che tolse ogni sangue
questo sforzo che annebbia la mente e
fa sentire il corpo sottile come velina
che cosa dobbiamo ancora attraversare
per rivedere le sponde pensate e splendenti
passando a volo la terra lasciando riposare
ogni immaginazione ogni istinto per aderire
claudicanti ma di fantasia ricca alla sollecitudine
che venne a noi che chiamò amante più bella
che disse speranza verso il transitare prossimo?
Le Ande come le Sierre sono lontane
i mari più bianchi come le argentate lune
le foreste salgariane e le giungle
le cascate e le torri gemelle non vediamo
troppo alto il salto dal cammello
per giungere alla Sfinge senza impantanarsi
nella tomba etrusca scomparso il cielo
nessun orizzonte visibile
chiedendo calore e silenzio
per dire quel senso che siamo
significato non più maledetto.
Le maestose conchiglie rosate
posate con garbo e intendimento
tra i libri curati dalle sottolineature
i divani e le poltrone sotto gli affreschi
dell’amico impacciato e curioso
la fila dei piccoli quadri sopra
la libreria nera corridoio di colori
non sfidano più la campagna aperta
ai fischi del merlo che cinguetta il nome
lontano come il treno a ridosso del mare
l’aria fresca del pomeriggio estivo
non controlla più la pompa che alimenta
l’ossigeno e il sangue rimescolati:
riposi pensando alle possibilità che inseguivi
sicuro che ostacoli non sono stelle e pianeti
solo stupidità e malizia che bene sapevi
non t’avanza il corpo tra i baffi e il fumo
le mani sotto il prudente ombrello
che odora e profuma dell’amato caffè.
uel caffèquelun
La disciplina del creato non risparmia
i reperti del mondo
regala vastità alle gazzelle
sbuccia una pelle senz’anima
sorride ai venuti dalle profondità
le dita delicate del pescatore
quando il pesce non ritorna
la barca impazzita
tra colline oceaniche portata dalla tempesta:
una pioggia si lascia al tenero sole
il melograno fiorisce e con affanno
si inerpica sulla collina il viaggiatore
lungo i cipressi che non sentono
il passaggio degli stagionali tramonti.
La disciplina del creato non induce
a sentimenti depressi
rovinando i pianori spellati
trascinate teste di bufali e corpi
il nero melmoso
impauriti quelli che rimangono
ricominciano la benedizione
i campi ricchi
miglio e papaveri
rosolano al venticello gravido
di piogge apprezzabili
la campagna riapre
le primule al sole che non trafigge
le nuvole piazzate come un Monet nel cielo.
Anche se passiamo il giorno
tra lemmi e articolazioni tecniche
niente può ostacolare
il passaggio da un cadavere all’aperto
alla vita imprigionata tra mura.
Anche sezionando la vita
non possiamo emendare le parti di essa
dal loro essere parte e rimane
il tragico della vita stessa che possiamo vedere
di trasformare in drammatico:
sciogliere in soluzione la contraddizione
questo il compito del nostro percorso
sbavature errori omissioni
nel computo particolare ammesse
se la negazione ogni cosa
non abbia già precluso.
ah la Sfinge
che
mi posso dire dinanzi Lei
che
possono i tendini le vene
fegato e sangue
singhiozzo di parole
pagliuzze di tappeto
che
neppure ad Alessandria a Tunisi
vogliono i più sbrecci dei mercanti
nei loro volanti colori
sotto le tende vaganti
al deserto presente.
che
posso dire se la Sfinge tace ( anelante )
che
posso se il vento di polvere ( insinuante )
s’incontra nelle vallette petrose
IO ( desiderante )
che dire
che dico? se non attendere
il cambiamento del vento.
Indica la svelta punta
Arma veloce immobile
Lampada arco sfera
Insinuata tra la tramatura
Dei rami uscendo
A rivedere i voli:
l’indicazione alzata verso il cielo
coltivata materia di nomi
abete di silenziosa neve
accesa al cominciamento
l’anima può memorare
il sentimento del tempo.
non esiste una pena grande
per riscattare quello che ho fatto
esiste dicono
volete la mia sconfitta?
la vita
mi indichi
tu
:
cercare Bellezza
appiglio di Verità.
Lo sfaldamento della pietà
Non riconosce durissime prove
Cammini aspri ed impervi
Dovuti alla legge suprema
Quella che supera fede e carità
Legge di unica provenienza
Che interessi privati e affari
Rovinano tra i corpi nudi
Innocenti e sapienti
Come quando vivevano
Grande Giardino
Ora
Rovinata Giungla.
Affannata formica
cavalca
il peso di se stessa
lo porta
per enormi autostrade
affanno immane per domani
poco felice del fare e senza fede
ma
la cicala contemplativa
amante della danza e del bel canto
lieta e appassionata
sta fiduciosa.
Silenzio si sente come rumore
Dalle altezze della montagna
Dove sta il dio che sbava
Verso le valli
Lentamente
I laghi rischiumano
Ondeggiando verso le sponde
Dove tranquilli bevono i bufali
E gli ippopotami sbuffano
Senza sentire il lamento di chi
Cerca con le mani scorticate
Quell’erba che soddisfa la fame.
repentinamente ……………………….
………………scurisce
come se la luce mancò
solo delle lampadine tremano
oltre le tende
dentro la tazza del te
i mozziconi bruciati
improvvisamente………………………
………………...ritornò
il lampo del fulmine
illuminò lo scorrere del fiume
le oche allungate e le dalie
dietro la staccionata coperta di panni
poi……….scuro e chiaro vacillarono
niente rimane più del viso intelligente
delle parole marcanti
come se niente fosse mai stato…………
così……………………………………..
Palpebre di una notte
estate al calore insorgente
respirano i lillà biancoviola
striate le panche di verde
pareggiato praticolo dove
corre la sventata lucertola
striscia l’accorta lumaca.
Scene di un giorno
che s’avventa sul sole
lasciando indietro
colori sbiaditi di un cielo
proprio adesso che gli occhi
vedono i suoni delle nuvole
rombanti dopo la prima cortina
secondo il ritmo del temporale.
Notte si lascia al giorno
scandisce il tocco ritornante
giorno si apre a se stesso
rapisce ogni nostro sonno
e vedi il transito inconsueto
di una giornata qualunque.
Lasciamo dietro noi
gesti e parole guastate
più non guardiamo
colpe e storture
non compitiamo gli errori
verso il progetto della luce
guardiamo rilassati
lo stomaco tranquillo
sicuri che le introversioni
non colpiscono più gli occhi
le mani non si chiuderanno:
passo spedito e calmo
quando piove leggero
sotto un cielo volteggiante
riprendiamo il coraggio
alzando la testa riconoscendo
il colorato vento che passeggia
tutt’intorno a noi favorevole.
Quale ragione combusta
Permette ai giovani sposi di vivere
Oltre ogni lacerazione ogni strappo
Di risalire alle macerie dopo tanto graffiare
Soli per mano ad aiutarsi
Contro la polvere negli occhi
Senz’acqua senza luce dietro il sipario
Improvvisamente apertosi miracolosamente
Mani pietose che scavano a sangue
Pietra per pietra contro ogni legge
Secondo quella legge che avvinghia tutti
Che calpestiamo il giardino meraviglioso
Dimenticando di non bruciarlo quotidianamente.
Fuori muoiono davvero
dentro il sicuro teorizzare
sul bene e sul male
niente rischiare
una goccia di sangue
e il dolore allora
che provammo che vale?
fu nostro partecipare contributivo
alla pulitura dello schermo
quel poco che potemmo
recitare sino all’ultima sera
senza sapere come muoverci?
valgono ancora le mille morti
i dolori bestiali le sofferenze atroci
contro le nostre acidità ansiose
sino al panico di un pomeriggio senz’aria?
Lotta e suda con noi
affidati alla parola di un chierico
non la parola di chi è parola
credendo e tralasciando sghembi
come una rotaia contorta dal sole:
lavora con noi
polpa e buccia
tutto mangiamo tuffandoci
nell’utero paterno
grande frutto dolciastro
insopportabile
annusato da lontano
assunto poco per volta
come l’arsenico
per giungere al cuore
mangiarlo come un cannibale
lottiamo per non morire
se sentissimo la tua puzza
quando boxava a Marsiglia.
Ricordiamo i nostri morti e tutti
Che non si scomponga nel pensiero
La figura della loro vita
Senza retoriche piuttosto maschere
Per dire il significato dell’esistenza loro.
Proiezioni soprattutto della memoria
Del nostro costrutto del nostro desiderio
Di come siano: lasciandoli colpevoli come sono
Come erano con noi e gli amori nostri
I delitti e le stupidaggini compiute
Infilzate come spade che dobbiamo pulire
Con un poco di sangue e uno straccio
Senza pungerci a meno che la morte
Sia per noi liberazione deliberata
Per compiere il proprio destino:
Quello trovato tra scogliere fredde e calde spiagge
Baciando una donna invitata a fuggire
Impotenti a coniugare troppi amori.
Così tralasciamo le cose e davvero moriamo
Nel tempo di un spazio dove non sappiamo
Curare una dalia o fumare con rigore una pipa
Riposta con cura sul caminetto.
Nessuno si salva se continua ad amare
Il luogo del vagabondare suo anche se
Piange le lacrime al dio che
Aveva parlato.
Le rose nascono alla terra
Per far risplendere la luce
Sull’Antico Nuovo
così
Si raccolgono tra querce e frassini
Sulla porta dei leoni immobili
Chi a Barcelona chi a Chartres
Chi ad Andria chi a Tebe
Leggendo il numero nel presente /
Escono così dal mare oscuro
Le intelligenze pazze
Sorridenti per sempre.
Centodiciassette angeli escono
dalle mura quando Orione
viene estromesso dal cielo e
pneuma si restituisce al luogo
contro las meninas dagli
edemi rossi e quelli verdi e
i neri segnati in montcada:
ignoto al bene e del male
incerto da disegnare colomba
rimane solo col toro…..
Numeri e sogni
Si affollano nell’ombra
Mentre la lampadina elettrica
Sempre accesa per la lettura
Rimanda segni e parole
Immagini e figure
Colori e bianconero
Un tumulto soffre
Fa soffrire lo spazio nel tempo della ribellione
Alla ricerca di chi.
Aggrovigliati al parapetto della terra
Tentano le corde di arpionare la roccia
Dolcemente tenta il lancio la mano
Ritratta senza speranza
Svilito il seno di ogni respiro
Non riconosce la pupilla più
La luminosità che sfiora:
Ancora una volta guarda
Verso la spumeggiante venere
Confusi i capelli nelle spine sicure:
Immobile il cigno dipana
I complicati segni dell’anima.
Furiosa la tempesta sull’altare
spacca laterale la pietra
Sangue sgorga violento
impastando il tempio che
scricchiola tremendo
ogni uccello svanisce
ogni chiarore s’abbatte
Le navate e i fedeli
si piegano alla forza evocata
unti del sale antico e
la ferita si raccoglie nel vaso
ricomponendo la divisione
Celebrato il rito che sacrifica
continua la funzione incredula
di amore e psiche
nella fessura tagliente
Furiosa memoria dell’ignoto
che volontà ebbra
tra noi richiama nell’azione.
quando Andromaca accarezzava
i capelli lisci e morbidi Ettore
socchiudeva gli occhi ed odiava la guerra /
passava la mano lenta
circolante le orecchie attente
ai cavalli coi cani correndo sul prato
segnando la rena di circoli strani /
ritornano le dita dal collo
verso la fronte ed escono colorati
giardini e frutti e cauti giacigli
per i quieti baci e le carezze /
quando accarezzava Andromaca
i capelli sorrideva del fanciullo
addormentato al grembo
sognando passeggiate tranquille
sul mare passando una nave
a portata di braccio /
quando Ettore sentì strani
i capelli e infastidiva l’elmo
lanciò distratto la lancia
da Andromaca che accarezzava la pietra:
nessuna menzogna.
non spesso chiamai -
trovai spesso una segreteria -
lasciai un messaggio e
nessuno ritelefonò /
sarebbe bello parlarsi
faccia a faccia
come tentò.
impratichirsi di stessi
senza intenzione di parlarsi
e lasciare uno spazio
alla comprensione /
sarebbe utile e fors’anche bello
ritrovare i passaggi
degli aforismi finali.
Disseminato per le vastità del Cosmo
compete l’azzurro con l’oro
per sovranità e magnificenza
testimonianza dell’alto /
manto della madonna
esploso nella forza della grazia /
manto della madonna
avvolto nella leggera tessitura /
azzurro il cielo
azzurro il mare
azzurro l’aria
bianco impalpabile /
Quando passano per i due mari
le cicogne che vanno alle terre estreme
si triplica l’azzurro insinuato tra minareti e cupole
ponti e barche affollate le sponde ricche di odori
formiche di parole veloci i mercati
tra le spirali d’aria che salgono da terre rocciose e fumanti.
Quando le tonnare sono apprestate
si stringono con la costanza di un maglio
meccanico il rossosangue inonda il quadrato marino
che odora di acido profumo rimescolato
col bianco delle codate
per ritornare di più azzurro.
Quando la notte cala sul giorno
e sembra che il nero domini
folate di azzurro corrono tra i lampi
delle stelle notturne a rischiare la cupola area
nell’attesa del grigio celestino che rosseggiando
chiude la notte al giorno progressivo.
Quando triangoli e quadrati s’incorniciano
nel cono concentrico escono piramidi di luce tagliata
che ricopre i tetti rossastri a mattoni e il verde bosso
come marea argentina quando di granuli sommerge le spiagge
silenti e assolate tra mare e cielo, le case rispecchiano
inquadrature di azzurro tra cielo e terra.
Le possibilità di una tempesta sono
terribili come il calore dell’ingiallito
dove non trovi i colori saputi
mutati in raggi imbiancati
dalla polvere e dalla spuma:
solo nell’equilibrio temperato
spuntano sorgono ondulano
illuminano tetti e piazze
i visi mutevoli degli uomini
il confidente pacifico della maestà
tra pietre preziose nascosto.
I colpi assestati
colpiscono al fondo
distruggono ogni scenario:
ma non moriamo
pur sghembi come la mano
che traccia eternamente
mano nata che corrisponde
l’umana richiesta che preme.
Matasse s’ingegnano
tra pennellate spellati
matasse e grovigli di chiodi
di lame di glifi
stendono cortina
respingono gli impulsi
ricacciano gli sguardi
oppongono barriera
che il salto nell’idea
solo permette di accarezzare
soffice seta lontano operata:
queste matasse di ferro
trattengono presenti memorie
problemi soprusi ingiustizie
indici razionali.
Arrotolati i tubi in attesa
di una scintilla che sorga
e accenda i rottami
cosparsi per lo spazio
i piedistalli imperiali
sostengono lamiere e ferro
legati dalla fiamma.
Si apre uno spiraglio
inizia un rumoroso concerto
movimento lento che partecipa
al maestoso giro terrestre.
Spaventato il traino dalla
gravità lascia sospendere
il peso dell’ingombro
che si scioglie per le strade.
Interni di rosso voluttà
bagnanti e lussuose odalische
la calma d’amore
tra vallette amene
e la frescura dei viali
di Nizza col vento consolante:
grandi spazi di lavande
più in alto al paese si alzò
il grande viso di pochi segni
colorato dalle fratture della luce
sul punto cruciale incideva
la recuperata armonia.
Misurata la sabbia tunisina
alle vette innevate
passata dalle distese campestri
ai rimorchiatori nella baia
figura prestante
dal punto scava sino
alla linea interrotta
da trattini ascendenti
per ritrovare nei piccoli segni
di animali e uomini audaci
le vertigini di un mondo
ricostruito al meglio.
Tagliata la roccia infida
dove un amore ardito
troppo per l’amante si ruppe
così ritaglia il bronzo
dalla complessa massa
e risplende il grande dolore
intonso sino ai consumati
interni di un cuore e di una testa
senza rispondenza del corpo
lasciato al consumo dei flutti
prima di rinascere negli spazi pudichi.
Depressioni e aspirazioni
riempimenti invisibili
trascinano l’emozione al
pensare un perché
non prontamente apprestato:
si contraddice l’inconsistenza
tra apparire e scomparire
giocata nell’invenzione di un colore
legato alle radici dell’opera
perché azione sia
dalle rotture paradigmatiche.
Nell’estate indecorosa
si disconoscono
bottiglie e campanili
brillantine acquose
che stingono i capelli
non nel rispettoso autunno
quando i contorni
si stabiliscono chiari
mescolati tepore e fresco
tra marchi di ceralacca
riconosciute le prudenze coraggiose.
Incantanti racconti
di strampalate storie
s’inerpicano per graticci
di impensabili costruzioni
come le glorie inaspettate
di uno stracciato corpo
che parla dall’abisso
di carne abbietta
tempio riconosciuto
di spazi energici
profumata architettura.
Triangoli tagliano
il piano di marmo
levigato di verde
il volo si stacca
dal piano obliquo
il bianco risale
al nero compatto
esplode il tetto
non tiene le forze
si allarga nel cielo
per ascoltare i segni poderosi.
senza vittoria
senza premi
i progetti
le azioni
alterate
del radicale
Duchamp.
Costruendo del nuovo sul terreno
inciampi sulle rotondità
delle pieghe montane
indagini di nature morte
sulla tavola impensata
l’occhio e i tagli delle mani.
Senza nessuna decorazione
Costruisce la bella casa
Sul vento sabbioso nell’acqua
Solo tra la modella e la piazza
S’inerpica tra le conosciute
Strade i palazzi i ristoranti
Rimanendo sicuro per
La tradizione sua e del popolo
Contro ogni servitù di cultura
E libertà fermo restando
Ai segni che la patria detta.
quei segni perduti
nel miscuglio chiarissimo
trascurando le coccinelle
che salgono in paradiso
i ritrovati segni
di un’amicizia inventata
giorno per giorno
parlando di pane e di sole
lontano da ogni parola
semplicemente sentendosi
vicini all’ostinata dolcezza.
Montagne in fondo alla vista
riparata dai mille pioppi
rispecchiano gialli sospettosi
rissosi rossi nel cammino di un cuore
che batte con le dita della mente:
desiderio di bocca e di occhio
canto e musica dell’Inizio restituito.
dove nasce il vento
dove si nasconde il sole
dove vanno le stelle
dove sorge il dolore
dove abitano gli angeli
dove germina questo male
che ci uccide la vita:
voglio sapere tutto
per non perire
mi accontento del poco che so
della favola finita bene
contento di quella come di questa vita.
Le nuvole fischiano
passano sopra l’azzurro
marciano sostano girellano
sospese sopra la luce
rischiarate dal bianco dal grigio.
Le nuvole sono gli uomini
camminano brillanti e zoppi
cappello di traverso le mani in tasca
sospettosi di essere belli
ripiegano sulla cortina del cielo
domani risospinte al nuovo défilé
accompagnate da morfologie impossibili.
Naso ricurvo
Dorato argento
Profilo di macchia
Tempio senza data
Rientrano le ossa
I tetti non bruciano
Sangue unguento
Piaghe risolte
Sappiamo la coppa
Bevendo mangiando
Ostacolo alla mente
Cuore sbandato
Divisione scomparsa
Albero sottile.
Dal caffè ristretto
Il calore profumato
Prende impensabili curve
Dalla trave appannata
Per strade senza divieti
Dove l’angelo incontra
L’insegna del cinghiale
Aspro e pericoloso
È l’aggettivo con il verbo
Quando taccagno di centesimi
Il barista parla di disastri e guerre
Appiccicose come lo zucchero
Per addolcire questa tazza
Che non riscalda il mattino
Leggiadro come i puntigliosi paramenti.
Il piatto di acciughe impanate
Con una strizzata di limone
Un destrogiro olio da frantoio
Permette di parlare di dio
Coprendo le pozzanghere che
Imbrattano i pantaloni rincalzati
Nei vapori che scaldano la notte
Altrimenti impreparata agli schizzi
Che risalgono la piazza della cattedrale.
Un brano di teologia preciso
Altra veduta e silenziosi camini
Soffiano verso l’alto delle nuvole
Che il cantore non riuscì a vedere
Ombre e figure perfette
Disturbato forse dallo sgradevole
Odore di fritto che non impedisce
Parole estreme.
Guarda davanti
Vicino orizzonte
Lontana la piana
Conduce lo sguardo
Lentamente attorno /
Improvviso il chiaro
Lo espone al cammino
Sancito dal dentro
Doveroso e piacevole
Sentita cerca bronzea di stile.
Accetto i trentasei alberi
Con un giardino fresco
Al riparo delle aride ventate /
Accetto anche se pochi
A patto tu permetta
Amico quando occorre
Ogni uomo parla ogni lingua
Come accade ai poeti /
Lasciate al giardino
le piccole imperfezioni
Curato e tolto
l’ingrato e il bello
il prospero aiutato
come quello che stenta
Attento e impaziente
al sole alla pioggia
sorride al migliorare
della terra affidata
come ai giunti articolativi.
protetto l’occhio
dal grande vetro
scava tra i segni
attento e impaziente
Pasmore delle caverne
l’acido nella gola
sale alle narici
tazza di tè mattutino
Quando nel pomeriggio
lontane le distraenti cure
ti curi del cuore
con l’acqua degli occhi
Marmo rotondo
scende da Carrara
con i colori della sera
qualunque bella sera del mondo.
non possiamo chiedere
sempre miracoli /
dobbiamo dare una mano /
i troppi figli che abbiamo
dimenticati nel mondo
al mondo ritorneranno
quali parole elette.
Il giovane guerriero
lascia la bipenne
lancia scudo e criniera
entra nella casa rossa /
lo accoglie con l’acqua
la roccia carica
del grande segno /
notte nera
per ascoltare
il sole rinato
e sali alla sommità
del monte per vedere
le misurate stanze lucide.
appoggiata sul mare
tra occidente e oriente
senza galleggiare
la barca è attenta
e azzurra alle forze
oscure incendiate
dal narrare.
audacia della fabbrica
pazienza del soldato
ferocia dell’aeroplano /
la città stordisce
per l’opacità monumentale
decorata senza i colori di ???
casette di legno
scatoline ricamate
barattoli lucidati
piccoli musei
armadi stipati
alfabeti di oggetti
ordinati in casellari
ricamati dalle mani pazienti.
La mia debolezza
si chiamò libertà /
Le devo custodia e difesa
da me da voi
non so se l’amo ma l’ho
mi si è data oltre ogni cosa
dai giudizi dalla fede
negli errori nelle idee /
Libertà dal consentire
dal dire dal tacere
nell’azione nella pigrizia
nell’eleggere amicizia /
Legato per libertà
a chi amo e stimo
per avere la loro pietà
se bene ti comprendono.
dove abbiamo dimenticato
tutto quel bene
che ci hanno dato
una strana pianta messicana
tillantia getta fuori fiori viola
trovarle un posto migliore
perché abbia luce e viva
sola questa grande pietra
guardo la luna
mentre lui muore nell’erba
e le chioccioline si baciano
di morbidissimi baci /
credi che le sofferenze
saranno minori perché
amavi il bene…la verità /
il cuore si è indurito
soffro e non sento dolore
pietà non accompagna il pianto /
perché ci facciamo truffare
uccidere derubare della luce
perché non moriamo due volte
bucando questa nebbia
che ci avvolge costante /
sicuro e attento
con passione e rigore
compio l’opera sull’ultimo segno
ricominciando come i granchi rosa
che vanno al mare non sapendo nuotare
per regalare al mondo i figli loro
lasciandosi cullare tra vita e morte.
Tu Nancy adesso avrai capito
quello che ancora cerco:
ritrarre la bocca dal calice
bere la frizzante acqua.
Non lo so e taccio.
Il resto è desiderio
della culminazione dopo la decadenza.
Ma il desiderio si ribella e diventa
memoria di Baudo il mago
che innalza le mani
come tenesse il neonato
e lo espone all’approvazione vostra
nell’estensione infinita del momento.
( tutti coloro che sono stati
fedeli e silenziosi accanto )
solleveremo i feriti
i morti che strisciano
il sangue millenario
piangeremo urleremo
contro lo strazio
compiremo
uno sforzo estremo
per ritrovare Poesia
contro dolore e sofferenza
deformanti ogni sorriso.
SDG