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SPLENDORE DEL VENTO. L'Albero azzurro (fr. 2004)

EB di Terzet

 

 

 

 

 ai miei studenti

 

 

 

 

 

Tra il Tanaro e via del Campo

tra il 32 parallelo e la cordigliera colombiana

si getta la gente alla disperata tra una fiamma

un portone e un’argine.

Se l’oracolo parlasse ancora tra gli irti boschi

le acque ripide di ombra fresche e bianche

il terremoto della Colombia sarebbe castigo

per le cattiverie umane, per la distruzione

delle terre per coltivare coca che inonda

i poveri infelici e deboli e viziosi

incapaci al sostegno pesante del vivere,

gli occhi grigi verso l’esterno che male solo

vedono e il bello non sentono e il buono.

Ma anche nella devastazione la mano velata

del dio si china tra questi dannati e tristi,

soffia un vento sulla bocca e le aperte ferite

così sopravvivono dopo giorni di polvere

e vengono estratti lentamente con timore

alla luce opacizzata del villaggio errabondo,

altri rimangono a respirare l’alito divino

salvandosi secondo modi diversi.

Un segno della benevolenza sarebbe questo

se l’oracolo ancora dicesse parole ambigue

segno che apre alla constatazione

che la verità è il velo di tutti i colori

quando una vita da altra è salvata,

quando azione benefica cancella ogni nequizia

e senti lo sfrigolio della luce dietro il mantello

che si apre che si scopre a frammenti per non accecare

i nostri poveri occhiali abituati alle frequenze

avvolte dall’atmosfera sporca e assorbente.

 

 

 

 

 

 

Strappare dallo svenimento dei sensi

la carne di un uomo,

resurrezione ricomposizione

di quanto era spezzato frastagliato

riesce per un attimo a sgombrare

la vita dalle frattaglie incredibili

quando il momento del salvataggio

è pronto ecco scivolare via il respiro

per le macerie polverose che cadono sbriciolate,

l’attonito viso guarda davanti a sé

nell’alto gli occhi pone veloce

passando nella mente tutti i ricordi

delle morti vedute

le morti sentite

inutilmente sedate dalla memoria.

 

 

 

 

 

 

 

 

I pesci navigano più silenziosi del solito

oggi che il temporale improvvido

si abbatte sulla terra le case i giardini,

di nebbia e vento avvisando

la gente al sole di marzo avvezza

oramai verso temperature più calde.

Improvvido e improvviso

scende sui pesci sulle donne blu

che danzano e ballano tra le pieghe

della carta bianca suonando

chitarre picassiane e pifferi,

silenziose anch’esse e liete

di spandere musica e profumo

al mondo che le ama e continua

ammirandole, a spargere sangue.

 

 

 

 

 

 

 

Dalle scorribande delle nuvole rosse

impresse sul grigio di un mondo ancora fragile

la forza senza errore di una voce

tutela il canto che abbellisce il giardino

seppure i morti continuano a dire

sofferenza e patimento

neppure attenuate

dal marchio sicuro di vera immortalità

poesia

di poetessa spagnola scomparsa.

 

 

 

 

 

 

 

 

Dal mare fiammate orientali

le canne i bambù i papiri

lungo la strada sento e non so che gridare

che dire che fare con questo mare

orientale lì sotto casa

che manda ondate di deserto,

tutto diventa rosso come

un pastello di Nolde

solitario granulato impastato

a zenzero e basilico:

non so che fare non so che dire

attendo quel rigoroso temporale

di un occidente indifferente.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Dopo l’età dell’ansia non rimane niente   

da rendere e

 il mondo fu indifferente.

E’ indifferente all’offesa

alla distruzione alla sopraffazione

alla mancanza del pane e dell’acqua

alla morte di giovani e vecchi

come della vita di ogni combattente.

E’ indifferente all’opera d’arte

alle architetture nuove alla poesia

che non interessa più -

agli sforzi dei poeti di non essere ridondanti

di stringere giustizia di scartare l’errore

di essere nella verità e nella bellezza.

Indifferenza travolge ogni idea

ogni utopia ogni progetto

senza più redenzione

se non fosse che da qualche parte

del mondo più vecchio e di quello più giovane

si sentono i rumori di un attrito che non

è frizione di macchinario ma ronzio

di penna elettronica che cerca

l’articolazione più secca più piena

di alcune parole salvate dalla spazzatura,

pulite lucidate come i candelieri d’argento

per stare ritti sul pianoforte non

per bella figura ma per rischiarare

la casa appena riordinata.

 

 

 

 

 

 

Spianare la carta a un discorso poetico

sciogliere le rughe bianche al canto

senza astratte parole, memori dell’esperienza

con improvvisi sussulti e sfolgorii di visione

per centrare la luce di un poema rinnovato

dall’andamento collinare

di forte e piano di basso e alto.

Cantare senza paura di abbellire il mondo

lasciando le lusinghe di dimenticare realtà,

poetare come gli antichi cantari le urla

didascaliche dei muezzin e melodiose

poetare con il respiro lungo di chi

sa la difficoltà di essere poeta

senza risparmio senza ricompensa,

questo saputo all’interno di un appagamento

non affrettato che immediato viene.

 

 

 

 

 

 

 

Le circostanze sfavorevoli dell’estate

non hanno portato un settembre radioso

non hanno rallegrato i raccolti e le spighe

non c’è giallo, niente bagliori rossi.

Le circostanze sfavorevoli d’autunno

non hanno portato un tiepido ottobre

sulle rive del Mar Nero e le dacie

sono già fredde e il cappotto indossato.

Le circostanze sfavorevoli dell’inverno

hanno destituito un capo e lo hanno fatto morire

senza onori come Pasternak un novembre,

uno è poeta di memoria incorrotta

l’altro qualche riga nei digesti storici:

restiamo in attesa delle circostanze di primavera.

 

 

 

 

 

 

 

 

Arricciato come un gomitolo di ferro

con le spine urlate come sangue

rappreso sulle punte del bisturi

taglio i nodi della gola

filo acceso di elettricità spinosa

rimbocco le maniche del mare

sboccante con la spuma ventosa

bianco di faraglioni lavici

meravigliosi totem invernali

attendo la rincorsa di Ulisse

ancora una volta perduto

tra gli aculei delle sirene

urlo spezzato di miele.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Scandito lago tra monti neri

una padella di terra

raccoglie case aggrumate

città spostata nella sera

intravista dalla strada verticale

tra luna e silenzio dove

la mia richiesta so parziale.

Non venga respinta

dissolta da umano diniego

senza ascolto perché i motivi

che l’hanno mossa

sorgono nella testa impulsiva

maturano nelle viscere

alimentati dal cuore sono venuti alla bocca

come naturale bava

saliva indistruttibile nella coscienza della stupidità

della domanda di minuscolo interrogativo

che comunque si agita eccita

e vuole essere ascoltato.

Senza la speranza dell’ascolto

niente più potremo

niente più progettare

senza orizzonte oltre la siepe

oltre gli ontani e degli allori la fila

nessun frutto nascerà dal pero biancorosa

dal rosso ciliegio dalla quercia possenteverde

che guarda i giovani alberi nascere e crescere

senza invidia con pazienza e passione per la vita

lei come Tu che non puoi respingerci così lontano.

 

 

 

 

 

 

 

 

Sottile il filo tra la rosa e il cassettone e resistente

si allarga a triangoli diseguali secondo un progetto

che subito non si comprende e si pensa al casuale:

le piccole vittime alimentari e la rinascita della tela

sfasciata dai nemici ti accorgono che un progetto sovrintende

intelligente e più arguto di quanto non lo possano.

Massima è la tensione tra gli oggetti rilegati

tra le righe del giorno e della notte che argentano

gli spazi tramati, alveoli tenaci che dondolano

come le canne del papiro dietro la testa quando

ti riposi con il giornale tra le dita curate

nella trasparenza di un chiaro filtrato dalla tenda

a mano da donna paziente ricamata e antica.

Ragno e scorpione risalgono i sassi spinosi

desertico passaggio senza il respiro dell’acqua

il giallo e il nero mostrando emblemi del coraggio

allontanati da tutti, solitari audaci e permalosi

come il camaleonte che azzurro e rosso

si adagia sulla punta estrema della pianta

cerca un equilibrio che solo una zampa

non converte in caduta.

Respinti sempre più lontano ecco il grande esilio

anche per la metafora di questi

o poeta che spegni

con un movimento di parole ogni romantica luna

annulli l’orizzonte temperando di giallo e di viola

la terra amata col cielo temuto, alla fine ritrovato.

Tra questi mondi passa la figura di uno sconosciuto

ignota a tutti se non al leonino fanciullo che scruta

chi passa chi va, chi si ferma chi sosta

sapiente segnato sotto il sole della stupidità

dalle rughe dell’indifferenza scolorata e sciapa.

Indifferenza non può accompagnare il cammino

essere compagna sorridente del viaggio

quando manca un senso che non conduce

ad essere duci perché il senso può essere

non solo di ragione, ma portare con sé

l’alone della favola bella forse ingannante

certo spinta all’agire con dignità e resistenza

contro ogni possibile disagio, ogni bella sirena

che ti mettono davanti contro soprusi e inganni

ribalderie, davanti a ballerini improvvisati e ben istruiti.

Il viaggio deve andare verso la meta sua

che non sta nel punto di ritorno ma nell’ansia desiderante

di oltrepassare il prefigurato disegno per ridisegnare

un luogo che diventi Luogo dove gettare le unghie

graffiarlo sporcarlo segnarlo per sempre

e ripartire verso isole e mari e cieli e terre

sconosciute a noi che abbiamo sentito soltanto

i mormorii della loro bellezza, della loro magnificenza,

dell’attrattiva che ci attrae oltre ogni destinazione:

destino di sola illusione

consistenza concreta di accecante luminosità.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

mentre vedevamo riquadri televisivi verdi e bianchi

incendiarsi e inondare di rosso le case di cartone

nel calore di un termosifone marzolino partecipavamo

al silenzioso accadere, passibili impossibili

a ostacolare qualche morte di più precipitata

nella fossa ricolma di terra di neve

addossati i corpi con le teste fasciate di sangue

come i lampi delle fucilazioni di Goya

in attesa di partire per la Spagna -

memoria costante di ogni guerra civile

- tutte le guerre sono civili -

inizio delle guerre dal cielo provate nelle secche

di terreno senza frassini ed ontani.

Giunsero i compagni di Ulisse a vedere

i maiali che erano l’occhio unico del gigante

Saturno ingoiatore di uomini

mentre tutto era dovuto al destino

che prometteva isola e casa

attraverso misture di morti e dolore.

Non più eroi cadevano sotto elmi fregiati

guerrieri invisibili lanciavano bombe

astati missili ubriachi per la spinta

perduti oltre l’orizzonte dell’occhio

e sai che da un tempo predeterminato

non raggiungeranno il rifugio frettoloso

e la strada conterà qualche cadavere in più.

 

 

 

 

 

 

 

 

Il viottolo della pace è solo

cantano gli angeli antichi a noi vicini.

Come ricominciare daccapo se cademmo

una virata d’intenti

una sterzata della vita

dopo amassi di storia

continuando l’umana vicenda

nell’aggressione nelle offese?

Come iniziare un tempo presente

senza distruggere il tempo passato?

Come mantenere la memoria?

Come tenere una tradizione?

La tradizione cade putrido fogliame

il nuovo non avrebbe sostegno:

come mantenere la storia senza continuarla

come starci desiderando cambiamento radicale?

Quando gli alligatori gialli del tempo impastato

vengono con guizzo insolito a sbranare

il coniglio selvatico la storia continua,

si ripete senza storia. Non per gli uomini:

ogni azione è intento diverso e ricomincia

la corsa dell’Avventura come il carro di Ettore

lanciato senza affanno contro Achille

- la responsabilità del primo - e cadde

e si stampò nel cuore dell’eroe piumato

sporcato di fango come la preda del Serengheti.

Avvinghiato alle forcelle dell’aereo

sta l’aquilone strappato da un vento incredulo,

lascia pezzi di ogni colore per il cielo

arroventato dalle turbine come il Monte Bianco

il fuoco divampato per l’errore umano

portandosi nella neve rossa decine di corpi

abbrustoliti come i cadaveri di duemila anni

scavati dalle macerie spostando la torba,

pacciame che attenua il gelo, conserva le radici

degli alberi dei fiori stendendo un manto

sulle bruciature ghiacciate venute dall’Ovest

dalla Siberia incolpevoli quadranti geografici.

Dall’Est e dal Sud salgono lente maree

dal Nord scendono valanghe precipitose

nel centro scontrandosi come quando

nella pianura la leonessa avvinghia la gazzella

e la stringe al collo sino all’ultimo strappo.

Poi il dilaniato del corpo con la rabbia

di una fame giornaliera da sempre

nell’indifferenza completa delle gazzelle lontane

mentre i fruscii le brezze appena percettibili

riportano calma e innaturale equilibrio

dall’imbrunire all’alba negli accadimenti dovuti.

 

 

 

 

 

 

 

 

Il compatto midollo dell’intelligenza

impastato con la cultura trova risonanze

nella difesa che la vita oppone.

Lungo le direttrici dell’aristocrazia mentale

dello spirito come del corpo porta

al problema di non sentirsi schiavo

non essere soggetto ad altro

non vendere la propria dignità.

Kukes narra dello sgozzamento

di un poeta come uccisione di fanciullo

la dignità della storia della civiltà

del popolo delle montagne lunga la riga

della parlata rossa su colline ancora bianche

brulla miniera di cromo appena si scorge

e la passeggiata dei fuggitivi con l’asino

è la fuga in Egitto continuata

sotto i lampi e i bagliori di uomini

che non ricordano lasciando spazio

all’interminabile partita a scacchi

attenti alle mosse solo per vincere questo

solo per non perdere quello

altri morendo condannati dalla loro povertà

che non lascia campo

all’essere uditi e di altri hanno

bisogno perché siano ascoltati

e basta di parlare addosso a loro,

uomini queste donne bambini questi vecchi

appesantiti dalla mancanza del latte e dell’acqua.

 

Non c’è retorica né sussulto approssimativo

non risposte scomposte di opportuni sentimenti

non eccitabili tensioni vocali che tradiscono

un disinteresse reale come quando

si cantano gli spartiti seguendo crome e biscrome

accuratamente con cadenza impiegatizia

senza vivere l’invisibile melodia della musica

sordi e ciechi piangendo e urlando per ogni

disagio disastro o strage o immagine

di chi non trova la mano adulta

per un momento nel trambusto tra le tende

o per la farina bastante una settimana

mentre aerei scaricano tonnellate di cibo

e l’infamia è quella che venga perduto o rubato.

 

Quando ci parlavano di antichissime migrazioni

di popoli attraversanti il deserto o del taglio della testa

sotto i due anni o la nascita di un bambino

tra sofferenze e miseria e disagi con povertà

tra animali e case distrutte nessuno prendeva col cuore

la narrazione come se fosse favola sciocca.

Adesso ci si accalca attorno al padre

perché onnipotente fermi le volontà di guerra e di stragi

con un solo discorso freni e blocchi

possa fermare secoli di odio e di ricambiata sfiducia

secoli di rabbia di rivendicazione là

nelle terre bagnate dal mare antico e solenne

questo Mediterraneo sonnecchiante e poco pacifico

che non smette di rinnovare i suoi blu i suoi celesti

tra le sponde non lontane di mare saggio e sapiente

che sa della storia del genere umano e delle lotte

accanite che popoli diversi hanno ingaggiato

nel tempo quando le leghe erano forti e dure

come le odierne e quando la forza veniva esercitata

da chi la possedeva e non si poteva scoppiare

per entropia per troppe potenze accumulate.

Mare di poveri pescatori che conosce

le ricche navi dei mercanti grigie e dorate solcandolo

per arricchire la ricchezza con ogni possibile mezzo

la pace la guerra o diplomazia

nell’animo stretto il nascosto proposito

di sopraffare il nemico così diventando l’altro

che si oppone ai desideri di imperio.

 

Noi che non potemmo intervenire

stavamo contro l’Usurpatore

che condusse la terra del Duero dispotico

verso una stabilità cattolica ed europea:

frememmo per la truffa del Patto

le uccisioni le corse tra i viali di Budapest

con la bandiera a croce rossa per salvare un ferito

la radio gentile che chiede il possibile aiuto

all’Europa e all’Occidente. Poi i carri armati

il silenzio le fucilazioni come a Praga:

noi riavvicinati di sgembo a dio

non siamo d’accordo coi gesti vaticani capendo

nella Guerra Balcana quando la strage di un popolo

spinse con dieci anni di ritardo a fermare i tiranni:

noi sapendo della leggerezza americana

lontano impero che vede un’infiltrazione mussulmana

guidata dalla Turchia noi sappiamo la differenza

dei mussulmani europei da quelli del vicino Oriente,

noi sappiamo la possibile convivenza noi sappiano il genocidio

del Kosovo e la voglia della grande Albania:

noi non marxisti e poco cristiani sudando freddo

per le nostre posizioni piangendo per le morti

fermi restiamo sulla strategia cercando

spiragli di negoziati sapendoli difficili

per l’insensata Serbia che resisterà

sin quanto potrà impotente la Russia di debiti:

noi non appoggiamo l’Impero Occidentale

cerchiamo segni dell’autentica Europa

non solo affarista e delle banche:

Europa della poesia dell’arte della narrazione:

Europa che tanto ha da imparare tanto da insegnare

impantanata sul soldo incapace di trovare

un criterio stabile e meno scivoloso

per essere Grande Nazione rispettosa delle diverse Terre

che conformano il Continente non ancora domato.

 

 

 

 

 

 

 

 

L’esuberanza della terra

accolta dal cielo rinfrescante

mostra calori e rumori.

Un fumo diagonale s’infiltra

senza apparente violenza

dentro i teloni d’azzurro

tesi tra una nuvola e l’altra.

Pazienti oltre ogni riserbo

i cieli pensano ai gesti che vedono

scendono alle architetture inventate

si abbassano e sfilano interni

ai vuoti lasciati liberi dalla mano

che dice l’incipiente sorpresa

sotto l’impossibile maschera.

Orizzonti segnano confini incredibili

limite rotolante all’infinito

e quell’aria che diciamo mare

solo perché orizzontale e solida

è quell’aria che diciamo cielo

solo perché sopra le teste

particelle incolori liquide che

non rispondono alle faticose domande.

Sette file di alberi bucano

sette volte il tetto stellato

nel giorno affollato di lampi

di schianti di schegge di tuoni:

questa la lotta ordita lassù

pensata come disumano conflitto

per respingere lontano ogni debito

che l’incolta aggressione pone

alla civile intelligenza spargendo

sassi e boschi verso innaturale sito,

rompendo le radici le zolle i fiori

spazzando ogni speranza di coltivazione

spezzando ogni possibile resurrezione.

Continuano gli abbracci delle nuvole

squillo di torneo tra i condensamenti

dei gialli dei verdi i grigi gli amaranti

finzione di morte e di nero

anche se un acquazzone fa pensare al contrario:

finzioni sfogano la sensualità accaldata

nella purezza precisa,

 traccia dello splendente architetto.

 

 

 

 

 

 

 

Lo sente mai ogni tanto

uno sfrigolìo interno

come uno stato di attesa

un sentire che qualcosa

dovrà avvenire mutare

trasformare il tuo corpo

pisside dello spirito?

E’ una sensazione

o altro

tra il bello e l’inatteso

netta nell’inizio della giornata

sfumata nel corso

uno scivolare via di profumo

che rimane intensa memoria.

Ma noi ci faremo da parte

come la belbergia e il bananamusa

quando nasce la pianta-figlio

aspettando il suo rafforzamento?

Ci faremo da parte per i nuovi venuti

niente sarà più di noi

se non impasto acido

secondo costituzione comunque azoto?

Un poco di terra riportata ricopre ogni cosa

e tutto sarà silenzio della natura.

 

Ci faremo da parte naturalmente

senza fiori e spighe arditi nell’alzarsi

al sole incontratosi col cielo svolazzante:

ci faremo da parte certo ma non

senza aver provato il nostro fuoco

l’energia sapiente che da lontano

spinge e preme le spalle odorose

questa energia che sprechiamo volentieri

ma che ritroviamo al quando opportuno

antica energia che spinse Ettore

alla Grande Lotta, Ulisse al Grande Viaggio,

ser Thomas a non rinnegarsi:

fuoco che ci distingue dalla belbergia come

dal fischiante gibbone. Sì

ci faremo da parte assolta la nostra

concluso il colloquio col mondo

non più accaldati

senza più il freddo e maccaia

adagiate tra le mani e il naso teso:

ci faremo da parte

lasciando le tracce dovute

ai giovani lo spazio dovuto

ripresa la via a noi segnata

con l’allegria e la leggerezza di anni trascorsi.

 

 

 

 

 

 

La spudoratezza di un voto

accompagnata dalla presunzione

di un colloquio puntiglioso

impedisce la risoluzione dei problemi

di una realtà persa di vista

rimane la tracotanza delusa.

Strette sono le parole e chiuse

quando labbra si schiudono nella sera

illuminata dalla invisibile luna chiara

quando il cuore affanna nel calore appiccicoso,

rincorre i ritmi del diaframma

spaccato da sconosciuto affanno.

Le rotazioni della mente

avvallano il pericolo avvertito

nessuna figura o forma nasce

se non distorsione di effimero,

niente che lasci al poi e poco dura

nella considerazione emotiva.

Inutile scrivere sul vetro

senza le passioni dell’intelligenza

senza il sangue sulle dita

affollate di corpuscoli che vogliono uscire,

andare verso l’aria mescolata di cielo e nuvole

quando la pioggia ancora non è formata

e il vento dondola da un balcone all’altro

intirizzendo i gerani le rose bisognose.

Non di lui ma di fosforo azoto insieme al potassio

quanto poco dell’acidità della maligna compagnia.

Inutile scrivere sulle apparenze cardinali

quando il cuore non sobbalza

alle mostruose stragi

alle grandiose invenzioni

delle umane genti

deliziate di sinusoidi

tra imbecillità e maestosità.

Passano correndo le immagini

di una figura di profilo

grande impasto trasparente

solido segno aperto alle più folli pretese

ignorando gli ultimi disegni

sobri ed attenti alla grammatica

ricostruita per diversa sintassi.

Passano le immagini scorrendo

un fiume impossibile di tempo

perduto e spiegazzato come se

eternità si potesse rovinare con inutili trovate.

Poi si venne a sapere

che strategia non c’era,

solo un dopo non compreso,

rinsecchito dalla frenesia di tutto potere,

dicendo chi sono gli impostori.

 

 

 

 

 

 

 

Senti i mormorii?

le urla

Odi gli scoppi?

la rumorante folla

Ascolti i pianti veloci?

le imprecazioni

Rispondi alle implorazioni?

alle preghiere.

Nel posto di sempre

serena ed appagata

con sorriso compiacente

guardi gli spigoli storici

abbandonata ogni impennata

dolce della quieta calma

esplosa nella liberata luce

mattutina e serale

per chi non sente la retta

e dentro obliquo si muove

sollievo alle nostre contraddizioni

ogni cosa vivi adempiuta

tutto avendo compiuto.

 

 

 

 

 

 

 

 

Silenziose scarpe di pietra

rossa nell’agosto imperterrito

senza tregua transitano e lucidano

il pavimento della chiesa che offre

immancabile ristoro:

albero ritto accanto come campanile

muove le ore assolate

silenziosi muri e mattoni

per uno slargo di strade senza riparo

a lato un piccolo bar che promette

un immediato sollievo

centellinando i respiri i secondi

consumati nell’acqua giallastra

riparata dall’ospitale marmo.

 

 

 

 

 

 

 

 

Non c’è allegria in giro

non serve più il canto ungarettiano

per dire le tristezze e gli strazi dell’uomo

attorno il grigio domina:

soddisfatti della raggiunta mediocrità

vagano gli uomini in cerca di alibi

si circondano di chiacchiere e

leccano il proprio corpo e

si tuffano nel mare rassicurato da bandierine blu

altro non cercano non trovano non sentono

involucri pesanti al proprio essere

stanno dentro una sauna

felici di sudare di raggelare

senza sapere lo scopo dell’improvviso sbalzo

non più usi all’urto

fiduciosi in un mare estivo

piatto per sempre.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Che cosa questi innocenti per meritarsi questa morte

Dura difficile insensibile da affrontare nella lontananza

Nel buio un coltello sacrificale di un bastone pulito.

 

Che cosa questo vecchio da qualche anno solo fumatore

Sullo sgabello accanto la casa a guardare oche e secchi

Qualche volta portando a spasso la mucca salutando l’Oriente.

 

Che cosa incolpevoli e vecchi questi bambini che niente possono

Perché queste sofferenze forse capiranno i tuo avi non noi abituali

Di uno sfrenato Occidente che poco ricordiamo delle antiche tribù.

 

Il giallo rosa della Giudea e la moschea dorata di Omar

Memoria di un nascere tra pareti azzurrogiallobianche

Tra ancora colori di frutta e la verdura che odora forte più del basilico.

 

Rimane la frizzante pace di stare a tutti sacro nel Luogo

Dove ciascuno mangia la carne come deve e il tè si versa dalla spalla

Nel suono di una campanella che contrasta con il gracchiare della radio.

 

Si prolunga la processione dentro i lamenti e le ondulazioni

Scritte in foglietti di muro mentre un canto dall’affilata torre

Ricorda l’immensità del cielo e la soglia dell’eterno.

 

Le colline inesorabili e il frastuono dell’altro mondo

Quella dei caffedehors che non vede l’altro

Se non possibile occhiata e curiosità turistica.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Benevoli sono passate le rondini

sopra la ruggine delle case sfalsate

infiltrandosi tra le feritoie dei merli

dominatori della spiaggiata collina

verso la risalita di un poggio dove

l’acqua cade e il vento refola.

Riposate sono passate le ore

amiche e i dimenticati giorni

con le tempeste e le bonacce

sopra queste aie e questi recinti

sopra questi prati e questi fiori

corrosi da un aria sempre più spessa.

Distaccati sono passati i sogni

che neppure la memoria riprende

filo dei tappeti sotto il sole nudo

pianure senza arbusti e brune

così lamentevole il grido come pianto

di un uomo sopra la croce senza parole.

Emozionata la fantasia ha lottato

l’immaginazione si è scaldata di notte

la ragione tranquilla come la poesia

nelle caverne abitate dalle distrazioni

rumore di gola ritorta che ritorna

al fiume lungo e antico di spuma

cadenza lanuginosa non risparmiata

dalla luna accecante che nella notte

s’incarna tra i velari del settentrione.

Impassibili sono passate le capre

con l’occhio semita hanno belato

al soldato ferito e nemico

disteso sotto il dirupo rotta la gamba

la mano pietosa si tese alla bocca

direttamente dal capezzolo paziente

passando autocarri cantanti

tra il pietrisco e la polvere saltellante,

da anni manca l’acqua risanatrice.

 

 

 

 

 

 

 

 

Le vesciche si manifestano ad intervalli

regolari come le stagioni di un tempo

arrivano come l’infestante estate e

il consacrato inverno secondo una spinta

prodotta da insetti che si alimentano

del sangue dell’innocente.

Carne esposta ai massacri

più crudeli che avvengono

in tempo di sbandamento

alla ricerca di nuove costituzioni

di un equilibrio di vita

di un asse senza cadute

nell’ostinazione di stare a galla

sulle posizioni conquistate.

E questo favorisce le vesciche

che si mutano in ferite

che si chiudono che si riaprono

per ogni passaggio di mano

sulla pelle fresca e sconveniente.

 

 

 

 

 

 

 

 

La concretezza del sasso inciampa il piede

che non volle saltare pesci matissiani

carne baconiana non poté il salto impedito

dalla mano stretta dall’altra che lo tira a sé

salvataggio frenetico che accade

quando piccolo è il pericolo e nessun panico

attraversa il corpo di un’anima

avvezza alla tranquillità dei gesti.

Accettare di vedere la Cappella Sistina

godere del tondeggiar di colori

prima che l’occhio cada nella nebbia circostante

con tranquilli ricordi e le emozioni nuove:

reggerei tale strazio o nel terrore

del buio sbranato da me stesso non

sosterrei la prova e contro mi scaglierei?

Contro chi la prova dettò nella casa antica

a fronte del mio coraggio tinteggiato

di quel glauco verde oramai sparito

dalla tomba scoperta nell’anno fatale di Marcel.

 

 

 

 

 

 

 

 

L’immobile giudice

all’ora del sole calato

si adagia allo schienale:

la discussione degli uomini

diventa discorso con la Madonna

affidato agli angeli il Figlio.

Liberi dagli obblighi turistici

felici del fedele custode

narrano le storie avvenute

per il giorno dopo riprendere

il posto loro proprio

giustezza di un ordine

che neppure muta

nella fresca notte ondulata e verde di vento.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Al diniego consapevole

di una coscienza che rifiuta

il male

ricompensa e merito.

A chi per pigrizia o natura

portato non è alla malizia

si riveste lui di merito?

L’azione di ridurre al minimo scarto

l’intervallo tra pensiero e azione

in sé e all’esterno già è

atto benefico se nell’area

del bene si muove l’idea:

il problema del male e del bene

della loro differenza e distinzione

agli uomini se soli inestricabile

necessita per ansia di libertà

il ritorno ai sacri antichi testi.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

La ballerina rotea sulla punta

Modula la destra con la sinistra

Vortica nel misterioso

Dei quattro punti cardinali

Per i venti della rosa che

La tengono snella e rotante

Se la mano che la gira interviene

Con appropriata mossa,

Non lascia cadere il movimento

Che sarebbe soltanto mancanza.

 

 

 

 

 

 

 

Leggiadra curvatura

Il corpo sopporta

In avanti declinato

Le braccia protese

Mani intrecciate alle dita.

Le rotondità intuite

Al loro posto inducono

Il pensiero a rotondità

 

Sapendo comunque

Il destro occhio eccentrico

Non nella distrazione.

 

 

 

 

 

 

 

 

Tra i decori dorati

Il tondo tiene il liquido

Vorrebbe versarsi e scappa

Verso le convessità dello spessore

In alto spingendo a terra tenuto

Dal momento estremo del passaggio:

Il cristallo s’appanna per la pasta

Addensata e rossa quando avviene

Con la precisione e la naturalezza

Chiamato miracolo.

 

 

 

 

 

 

 

 

Dal buco della porta spagnola

Acqua e fuoco tra colline nude.

Il diaframma respinge

Illusione della realtà

Rimane il sospetto della magia

Ma la visione dello spirito

Accompagna verso la figura

Con le parti un assieme

Altro dalla grande intuizione

Trasfigurata in forma.

 

 

 

 

 

 

 

Sgrondano le ferite

lacerazioni di pelle

anche se il freddo

inospitale di un mese

che non è aprile

anestetizza il cuore

parte che non sappiamo

se solo meccanica:

e ci richiama o è solo la mente ?

Alla serialità dei massacri

che niente aggiungono al mondo

diminuendo il bello

richiamano a migliore poesia più forte

ancora a uno sforzo di Bellezza

a compensare i delitti

che ancora storti fumano

dalla terra angustiata.

 

 

 

 

 

 

 

Sobbalzano le auto

sui tracciati lunari

presi d’infilata

dal trucco ingegneristico

non le cadute improvvise

dei corpi i tonfi delle teste

gli accartocci del fegato

legato alla palla della milza

che saltella lontano

dalla quercia trafitta.

Poco rimane se non ripararsi

chiedere di uscire da lì

e lotti una via di salvezza:

improvvisa dinanzi

una capra ti guarda

semita come te

che non ricordi più

e scappi travolgendo

l’ultimo appiglio

contro la morte

che nessuno vorrebbe

così innaturale. Eppure

quanti restiamo

riusciamo a vivere

debolmente

se non

riagguantiamo speranza.

 

 

 

 

 

 

 

….. delle ombre preciso contorno

non vedi tra la nebbia che accappa

la testa in mille schegge si spezza

adagiate tra i sassi gelati

attorno alla statua oltre il confine:

briciole si accumulano inutilmente

gli ultimi rottami si sfarinano

dall’argine alla casa illuminata

come a Natale quando tutto è chiaro

le luci distinte e il cielo bianco:

il fiume che avvolge il castello è lento

inumidisce le piazze senza rimorso

ma rimane il desiderio di un respiro

profondo più lungo di questi tre laghi

riservati ai domenicali amori…

 

 

 

 

 

 

 

ignaro dalle menzogne pensate

solleva la polvere oltre le balze rosse

sbuffando come un cavallo di ferro

per le accidentate strade che portano

dietro i calanchi ferruginosi di bianco

come le montagne di vaniglia

tra le mani dei bimbi ignari.

Così va la mano tra le ordinate carte

arroventate dal vento di luglio

che non risparmia neppure le tempie

livide del sudore che rinasce ad ogni

passata di mano come il pensiero

non impedito dal tempo e dalla fatica

si stempera sempre diverso e uguale

tra i righi e gli spazi di una carta

che non ingiallisce.

 

 

 

 

 

 

 

 

Bocca aperta nello stupore

 

Il grande premio apparso

Meraviglia di un sospetto

Come se il mondo ad un tratto

Avesse capito di riposarsi

Di stare al caldo e nel silenzio

Invece di continuare a spostarsi

Inutilmente per ricominciare

Di nuovo e tutto senza curarsi

Di un fiore per gustarne il profumo

Sentirne il colore con la palma aperta

Il naso socchiuso in un giardino

Rinascente mentre un po’di luna

Si appresta alla sostituzione del sole

Tra i confini delle nuvole

La testa sonnecchiante

L’anima libera.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Scritture sotto la pelle

Nascoste dalla camicia a righe

Alto sul collo il maglione

Marciscono se non aerate

Come gli uomini nascosti nelle baracche

Dormitori senza sonno

Mangiatoie per un lavoro

Che nega la redenzione.

Si guarda alla presunta colpa e alla pena

Che nessuno porta per loro

Se non anime gentili

nascoste ai più e silenziose

come il fumo che in più è pesante:

E le voci dure e mitraglianti

Dicono ordini e comandi

Fuori dei confini dell’umano

Sceso a prima degli animali

Questa idiozia pensabile

Orrore che porta alla disperazione

Alla durezza di un cuore disamorato

Niente più riconoscendo

Per le troppe ferite ricevute

Sotto il livello di guardia

Fredde come un golem

Nel cimitero infranto

Sulla terra guastata

Dalla storia irrisolta.

 

 

 

 

 

 

 

 

Le ranocchie nel paludato stagno

cantano alle giovani ninfee

senza dare ascolto ai maschi:

molle scorre l’acqua

sotto le foglie avverdate di limo:

i pappagalli dai multipiumaggi

gorgheggiano tra i rami

dei più rosseggianti alberi:

pantere si aggirano mostrando

denti luccicanti ai poveri gatti

che niente hanno più di felino:

ancora si ripete l’antica notte

quando il creato apparve

nella lussuria di se stesso

nessuna vergogna tradendo.

 

 

 

 

 

 

 

 

…fuoco divampa di vulcano

grandezza di montagne all’orizzonte

spaziosità di mare sotto il terrazzo

dove uno stridìo si alza ogni giorno

gelido e accalorante urlo

che ammazza ogni farfalla

annienta i fiori dei gerani

spezza le corde ferrose ai cancelli.

Urlo che esce dallo stomaco

che ammazzerebbe un cavallo

se non costretto dalle regole imposte

di un ritmo sconvolto come quando

la lava precipitò su Pompei

e tutto fu imbragato

come il ponte di Christo…

Urlo che esce dalla testa

che brucerebbe un’aurora

se non allineato sulla carta

imbiancata dalla bava

irrigata dalle sospensioni

del pensiero che smania

contro l’avversità rinnovata:

testa e stomaco si arrovesciano

dalla bocca stridendo come ferraglia

attenuato il rumore e trasformato

nella musica rotonda di una vittoria

annunciata dall’azzurro del vetro.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Bellezza non fu l’ispiratrice

Ma la nettezza del fare

Sicuro che un’asettica

Formalità riservasse da

Ogni possibile impegno:

Stupidi come disse Prevert

A continuare a marcire

Sicuri di tutto sul niente

Asciutti come acciughe

Ricchi come i cavoli sfogliati.

Imbecilli ancora chiamate

Alle armi le fette di storia

Non ricordando neppure

Le strofe della canzone

Portata ad inno di guerra.

Poi a cantare tra i fondi

Ragionieri della legge

Alla fine un rombo uscì

Dalla gola contraffatto

Di antica melodia e dolce.

 

 

 

 

 

 

 

 

Dopo lo sforzo che tolse ogni sangue

questo sforzo che annebbia la mente e

fa sentire il corpo sottile come velina

che cosa dobbiamo ancora attraversare

per rivedere le sponde pensate e splendenti

passando a volo la terra lasciando riposare

ogni immaginazione ogni istinto per aderire

claudicanti ma di fantasia ricca alla sollecitudine

che venne a noi che chiamò amante più bella

che disse speranza verso il transitare prossimo?

Le Ande come le Sierre sono lontane

i mari più bianchi come le argentate lune

le foreste salgariane e le giungle

le cascate e le torri gemelle non vediamo

troppo alto il salto dal cammello

per giungere alla Sfinge senza impantanarsi

nella tomba etrusca scomparso il cielo

nessun orizzonte visibile

chiedendo calore e silenzio

per dire quel senso che siamo

significato non più maledetto.

 

 

 

 

 

 

 

 

Le maestose conchiglie rosate

posate con garbo e intendimento

tra i libri curati dalle sottolineature

i divani e le poltrone sotto gli affreschi

dell’amico impacciato e curioso

la fila dei piccoli quadri sopra

la libreria nera corridoio di colori

non sfidano più la campagna aperta

ai fischi del merlo che cinguetta il nome

lontano come il treno a ridosso del mare

l’aria fresca del pomeriggio estivo

non controlla più la pompa che alimenta

l’ossigeno e il sangue rimescolati:

riposi pensando alle possibilità che inseguivi

sicuro che ostacoli non sono stelle e pianeti

solo stupidità e malizia che bene sapevi

non t’avanza il corpo tra i baffi e il fumo

le mani sotto il prudente ombrello

che odora e profuma dell’amato caffè.

 

uel caffèquelun

 

 

 

 

 

 

 

 

La disciplina del creato non risparmia

i reperti del mondo

regala vastità alle gazzelle

sbuccia una pelle senz’anima

sorride ai venuti dalle profondità

le dita delicate del pescatore

quando il pesce non ritorna

la barca impazzita

tra colline oceaniche portata dalla tempesta:

una pioggia si lascia al tenero sole

il melograno fiorisce e con affanno

si inerpica sulla collina il viaggiatore

lungo i cipressi che non sentono

il passaggio degli stagionali tramonti.

La disciplina del creato non induce

a sentimenti depressi

rovinando i pianori spellati

trascinate teste di bufali e corpi

il nero melmoso

impauriti quelli che rimangono

ricominciano la benedizione

i campi ricchi

miglio e papaveri

rosolano al venticello gravido

di piogge apprezzabili

la campagna riapre

le primule al sole che non trafigge

le nuvole piazzate come un Monet nel cielo.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Anche se passiamo il giorno

tra lemmi e articolazioni tecniche

niente può ostacolare

il passaggio da un cadavere all’aperto

alla vita imprigionata tra mura.

Anche sezionando la vita

non possiamo emendare le parti di essa

dal loro essere parte e rimane

il tragico della vita stessa che possiamo vedere

di trasformare in drammatico:

sciogliere in soluzione la contraddizione

questo il compito del nostro percorso

sbavature errori omissioni

nel computo particolare ammesse

se la negazione ogni cosa

non abbia già precluso.

 

 

 

 

 

 

 

ah la Sfinge

che

mi posso dire dinanzi Lei

che

possono i tendini le vene

fegato e sangue

singhiozzo di parole

pagliuzze di tappeto

che

neppure ad Alessandria a Tunisi

vogliono i più sbrecci dei mercanti

nei loro volanti colori

sotto le tende vaganti

al deserto presente.

che

posso dire se la Sfinge tace          ( anelante )

che

posso se il vento di polvere             ( insinuante )

s’incontra nelle vallette petrose

IO                                                        ( desiderante )

che dire

che dico? se non attendere

il cambiamento del vento.

 

 

 

 

 

Indica la svelta punta

Arma veloce immobile

Lampada arco sfera

Insinuata tra la tramatura

Dei rami uscendo

A rivedere i voli:

l’indicazione alzata verso il cielo

coltivata materia di nomi

abete di silenziosa neve

accesa al cominciamento

l’anima può memorare

il sentimento del tempo.

 

 

 

 

 

 

 

 

non esiste una pena grande

per riscattare quello che ho fatto

esiste dicono

volete la mia sconfitta?

la vita

mi indichi

tu

:

cercare Bellezza

appiglio di Verità.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Lo sfaldamento della pietà

Non riconosce durissime prove

Cammini aspri ed impervi

Dovuti alla legge suprema

 

Quella che supera fede e carità

Legge di unica provenienza

Che interessi privati e affari

Rovinano tra i corpi nudi

Innocenti e sapienti

Come quando vivevano

Grande Giardino

Ora

Rovinata Giungla.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Affannata formica

cavalca

il peso di se stessa

lo porta

per enormi autostrade

affanno immane per domani

poco felice del fare e senza fede

ma

la cicala contemplativa

amante della danza e del bel canto

lieta e appassionata

sta fiduciosa.

 

 

 

 

 

 

 

Silenzio si sente come rumore

 

Dalle altezze della montagna

 

Dove sta il dio che sbava

 

Verso le valli

 

Lentamente

 

I laghi rischiumano

 

Ondeggiando verso le sponde

 

Dove tranquilli bevono i bufali

 

E gli ippopotami sbuffano

 

Senza sentire il lamento di chi

Cerca con le mani scorticate

Quell’erba che soddisfa la fame.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

repentinamente ……………………….

………………scurisce

come se la luce mancò

solo delle lampadine tremano

oltre le tende

dentro la tazza del te

i mozziconi bruciati

improvvisamente………………………

………………...ritornò

il lampo del fulmine

illuminò lo scorrere del fiume

le oche allungate e le dalie

dietro la staccionata coperta di panni

poi……….scuro e chiaro vacillarono

niente rimane più del viso intelligente

delle parole marcanti

come se niente fosse mai stato…………

così……………………………………..

                                               

 

 

 

 

 

 

 

Palpebre di una notte

estate al calore insorgente

respirano i lillà biancoviola

striate le panche di verde

pareggiato praticolo dove

corre la sventata lucertola

striscia l’accorta lumaca.

Scene di un giorno

che s’avventa sul sole

lasciando indietro

colori sbiaditi di un cielo

proprio adesso che gli occhi

vedono i suoni delle nuvole

rombanti dopo la prima cortina

secondo il ritmo del temporale.

Notte si lascia al giorno

scandisce il tocco ritornante

giorno si apre a se stesso

rapisce ogni nostro sonno

e vedi il transito inconsueto

di una giornata qualunque.

 

 

 

 

 

 

 

 

Lasciamo dietro noi

gesti e parole guastate

più non guardiamo

colpe e storture

non compitiamo gli errori

verso il progetto della luce

guardiamo rilassati

lo stomaco tranquillo

sicuri che le introversioni

non colpiscono più gli occhi

le mani non si chiuderanno:

passo spedito e calmo

quando piove leggero

sotto un cielo volteggiante

riprendiamo il coraggio

alzando la testa riconoscendo

il colorato vento che passeggia

tutt’intorno a noi favorevole.

 

 

 

 

 

 

 

Quale ragione combusta

Permette ai giovani sposi di vivere

Oltre ogni lacerazione ogni strappo

Di risalire alle macerie dopo tanto graffiare

Soli per mano ad aiutarsi

Contro la polvere negli occhi

Senz’acqua senza luce dietro il sipario

Improvvisamente apertosi miracolosamente

Mani pietose che scavano a sangue

Pietra per pietra contro ogni legge

Secondo quella legge che avvinghia tutti

Che calpestiamo il giardino meraviglioso

Dimenticando di non bruciarlo quotidianamente.

 

 

 

 

 

 

 

 

Fuori muoiono davvero

dentro il sicuro teorizzare

sul bene e sul male

niente rischiare

una goccia di sangue

e il dolore allora

che provammo che vale?

fu nostro partecipare contributivo

alla pulitura dello schermo

quel poco che potemmo

recitare sino all’ultima sera

senza sapere come muoverci?

valgono ancora le mille morti

i dolori bestiali le sofferenze atroci

contro le nostre acidità ansiose

sino al panico di un pomeriggio senz’aria?

 

 

 

 

 

 

 

 

Lotta e suda con noi

 

affidati alla parola di un chierico

non la parola di chi è parola

credendo e tralasciando sghembi

come una rotaia contorta dal sole:

lavora con noi

polpa e buccia

tutto mangiamo tuffandoci

nell’utero paterno

grande frutto dolciastro

insopportabile

annusato da lontano

assunto poco per volta

come l’arsenico

per giungere al cuore

mangiarlo come un cannibale

lottiamo per non morire

se sentissimo la tua puzza

quando boxava a Marsiglia.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ricordiamo i nostri morti e tutti

Che non si scomponga nel pensiero

La figura della loro vita

Senza retoriche piuttosto maschere

Per dire il significato dell’esistenza loro.

Proiezioni soprattutto della memoria

Del nostro costrutto del nostro desiderio

Di come siano: lasciandoli colpevoli come sono

Come erano con noi e gli amori nostri

I delitti e le stupidaggini compiute

Infilzate come spade che dobbiamo pulire

Con un poco di sangue e uno straccio

Senza pungerci a meno che la morte

Sia per noi liberazione deliberata

Per compiere il proprio destino:

Quello trovato tra scogliere fredde e calde spiagge

Baciando una donna invitata a fuggire

Impotenti a coniugare troppi amori.

Così tralasciamo le cose e davvero moriamo

Nel tempo di un spazio dove non sappiamo

Curare una dalia o fumare con rigore una pipa

Riposta con cura sul caminetto.

 

 

 

 

 

 

 

 

Nessuno si salva se continua ad amare

Il luogo del vagabondare suo anche se

Piange le lacrime al dio che

Aveva parlato.

Le rose  nascono alla terra

Per far risplendere la luce

Sull’Antico Nuovo

così

Si raccolgono tra querce e frassini

Sulla porta dei leoni immobili

Chi a Barcelona chi a Chartres

Chi ad Andria chi a Tebe

Leggendo il numero nel presente /

Escono così dal mare oscuro

Le intelligenze pazze

Sorridenti per sempre.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Centodiciassette angeli escono

dalle mura quando Orione

viene estromesso dal cielo e

pneuma si restituisce al luogo

contro las meninas dagli

edemi rossi e quelli verdi e

i neri segnati in montcada:

ignoto al bene e del male

incerto da disegnare colomba

rimane solo col toro…..

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Numeri e sogni

Si affollano nell’ombra

Mentre la lampadina elettrica

Sempre accesa per la lettura

Rimanda segni e parole

Immagini e figure

Colori e bianconero

Un tumulto soffre

Fa soffrire lo spazio nel tempo della ribellione

Alla ricerca di chi.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Aggrovigliati al parapetto della terra

Tentano le corde di arpionare la roccia

Dolcemente tenta il lancio la mano

Ritratta senza speranza

Svilito il seno di ogni respiro

Non riconosce la pupilla più

La luminosità che sfiora:

Ancora una volta guarda

Verso la spumeggiante venere

Confusi i capelli nelle spine sicure:

Immobile il cigno dipana

I complicati segni dell’anima.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Furiosa la tempesta sull’altare

spacca laterale la pietra

Sangue sgorga violento

impastando il tempio che

scricchiola tremendo

ogni uccello svanisce

ogni chiarore s’abbatte

Le navate e i fedeli

si piegano alla forza evocata

unti del sale antico e

la ferita si raccoglie nel vaso

ricomponendo la divisione

Celebrato il rito che sacrifica

continua la funzione incredula

di amore e psiche

nella fessura tagliente

Furiosa memoria dell’ignoto

che volontà ebbra

tra noi richiama nell’azione.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

quando Andromaca accarezzava

i capelli lisci e morbidi Ettore

socchiudeva gli occhi ed odiava la guerra /

passava la mano lenta

circolante le orecchie attente

ai cavalli coi cani correndo sul prato

segnando la rena di circoli strani /

ritornano le dita dal collo

verso la fronte ed escono colorati

giardini e frutti e cauti giacigli

per i quieti baci e le carezze /

quando accarezzava Andromaca

i capelli sorrideva del fanciullo

addormentato al grembo

sognando passeggiate tranquille

sul mare passando una nave

a portata di braccio /

quando Ettore sentì strani

i capelli e infastidiva l’elmo

lanciò distratto la lancia

da Andromaca che accarezzava la pietra:

nessuna menzogna.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

non spesso chiamai -

trovai spesso una segreteria -

lasciai un messaggio e

nessuno ritelefonò /

sarebbe bello parlarsi

faccia a faccia

come tentò.

 

 

 

 

 

 

 

impratichirsi di stessi

senza intenzione di parlarsi

e lasciare uno spazio

alla comprensione /

sarebbe utile e fors’anche bello

ritrovare i passaggi

degli aforismi finali.

 

 

 

 

 

 

 

 

Disseminato per le vastità del Cosmo

compete l’azzurro con l’oro

per sovranità e magnificenza

testimonianza dell’alto /

manto della madonna

esploso nella forza della grazia /

manto della madonna

avvolto nella leggera tessitura /

azzurro il cielo

azzurro il mare

azzurro l’aria

bianco impalpabile /

 

Quando passano per i due mari

le cicogne che vanno alle terre estreme

si triplica l’azzurro insinuato tra minareti e cupole

ponti e barche affollate le sponde ricche di odori

formiche di parole veloci i mercati

tra le spirali d’aria che salgono da terre rocciose e fumanti.

 

Quando le tonnare sono apprestate

si stringono con la costanza di un maglio

meccanico il rossosangue inonda il quadrato marino

che odora di acido profumo rimescolato

col bianco delle codate

per ritornare di più azzurro.

 

Quando la notte cala sul giorno

e sembra che il nero domini

folate di azzurro corrono tra i lampi

delle stelle notturne a rischiare la cupola area

nell’attesa del grigio celestino che rosseggiando

 chiude la notte al giorno progressivo.

 

Quando triangoli e quadrati s’incorniciano

nel cono concentrico escono piramidi di luce tagliata

che ricopre i tetti rossastri a mattoni e il verde bosso

come marea argentina quando di granuli sommerge le spiagge

silenti e assolate tra mare e cielo, le case rispecchiano

inquadrature di azzurro tra cielo e terra.

 

Le possibilità di una tempesta sono

terribili come il calore dell’ingiallito

dove non trovi i colori saputi

mutati in raggi imbiancati

dalla polvere e dalla spuma:

solo nell’equilibrio temperato

spuntano sorgono ondulano

illuminano tetti e piazze

i visi mutevoli degli uomini

il confidente pacifico della maestà

tra pietre preziose nascosto.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

I colpi assestati

colpiscono al fondo

distruggono ogni scenario:

ma non moriamo

pur sghembi come la mano

che traccia eternamente

mano nata che corrisponde

l’umana richiesta che preme.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Matasse s’ingegnano

tra pennellate spellati

matasse e grovigli di chiodi

di lame di glifi

stendono cortina

respingono gli impulsi

ricacciano gli sguardi

oppongono barriera

che il salto nell’idea

solo permette di accarezzare

soffice seta lontano operata:

queste matasse di ferro

trattengono presenti memorie

problemi soprusi ingiustizie

indici razionali.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Arrotolati i tubi in attesa

di una scintilla che sorga

e accenda i rottami

cosparsi per lo spazio

i piedistalli imperiali

sostengono lamiere e ferro

legati dalla fiamma.

Si apre uno spiraglio

inizia un rumoroso concerto

movimento lento che partecipa

al maestoso giro terrestre.

Spaventato il traino dalla

gravità lascia sospendere

il peso dell’ingombro

che si scioglie per le strade.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Interni di rosso voluttà

bagnanti e lussuose odalische

la calma d’amore

tra vallette amene

e la frescura dei viali

di Nizza col vento consolante:

grandi spazi di lavande

più in alto al paese si alzò

il grande viso di pochi segni

colorato dalle fratture della luce

sul punto cruciale incideva

la recuperata armonia.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Misurata la sabbia tunisina

alle vette innevate

passata dalle distese campestri

ai rimorchiatori nella baia

figura prestante

dal punto scava sino

alla linea interrotta

da trattini ascendenti

per ritrovare nei piccoli segni

di animali e uomini audaci

le vertigini di un mondo

ricostruito al meglio.

 

 

 

 

 

 

 

Tagliata la roccia infida

dove un amore ardito

troppo per l’amante si ruppe

così ritaglia il bronzo

dalla complessa massa

e risplende il grande dolore

intonso sino ai consumati

interni di un cuore e di una testa

senza rispondenza del corpo

lasciato al consumo dei flutti

prima di rinascere negli spazi pudichi.

 

 

 

 

 

 

 

Depressioni e aspirazioni

riempimenti invisibili

trascinano l’emozione al

pensare un perché

non prontamente apprestato:

si contraddice l’inconsistenza

tra apparire e scomparire

giocata nell’invenzione di un colore

legato alle radici dell’opera

perché azione sia

dalle rotture paradigmatiche.

 

 

 

 

 

 

 

Nell’estate indecorosa

si disconoscono

bottiglie e campanili

brillantine acquose

che stingono i capelli

non nel rispettoso autunno

quando i contorni

si stabiliscono chiari

mescolati tepore e fresco

tra marchi di ceralacca

riconosciute le prudenze coraggiose.

 

 

 

 


 

 

 

 

 

Incantanti racconti

di strampalate storie

s’inerpicano per graticci

di impensabili costruzioni

come le glorie inaspettate

di uno stracciato corpo

che parla dall’abisso

di carne abbietta

tempio riconosciuto

di spazi energici

profumata architettura.

 

 

 

 

 

 

 

 

Triangoli tagliano

il piano di marmo

levigato di verde

il volo si stacca

dal piano obliquo

il bianco risale

al nero compatto

esplode il tetto

non tiene le forze

si allarga nel cielo

per ascoltare i segni poderosi.

  

 

 

 

 

 

 

 

senza vittoria

senza premi

 

i progetti

le azioni

 

alterate

 

del radicale

Duchamp.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Costruendo del nuovo sul terreno

inciampi sulle rotondità

delle pieghe montane

indagini di nature morte

sulla tavola impensata

l’occhio e i tagli delle mani.

 

 

 

 

 

 

 

 

Senza nessuna decorazione

Costruisce la bella casa

Sul vento sabbioso nell’acqua

Solo tra la modella e la piazza

S’inerpica tra le conosciute

Strade i palazzi i ristoranti

Rimanendo sicuro per

La tradizione sua e del popolo

Contro ogni servitù di cultura

E libertà fermo restando

Ai segni che la patria detta.

 

 

 

 

 

 

 

quei segni perduti

nel miscuglio chiarissimo

trascurando le coccinelle

che salgono in paradiso

i ritrovati segni

di un’amicizia inventata

giorno per giorno

parlando di pane e di sole

lontano da ogni parola

semplicemente sentendosi

vicini all’ostinata dolcezza.

 

 

 

 

 

 

                                                  

                                           

Montagne in fondo alla vista

riparata dai mille pioppi

rispecchiano gialli sospettosi

rissosi rossi nel cammino di un cuore

che batte con le dita della mente:

desiderio di bocca e di occhio

canto e musica dell’Inizio restituito.

 

 

            

 

 

 

 

 

dove nasce il vento

dove si nasconde il sole

dove vanno le stelle

dove sorge il dolore

dove abitano gli angeli

dove germina questo male

che ci uccide la vita:

voglio sapere tutto

per non perire

mi accontento del poco che so

della favola finita bene

contento di quella come di questa vita.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Le nuvole fischiano

passano sopra l’azzurro

marciano sostano girellano

sospese sopra la luce

rischiarate dal bianco dal grigio.

Le nuvole sono gli uomini

camminano brillanti e zoppi

cappello di traverso le mani in tasca

sospettosi di essere belli

ripiegano sulla cortina del cielo

domani risospinte al nuovo défilé

accompagnate da morfologie impossibili.

 

 

 

 

 

 

 

 

Naso ricurvo

Dorato argento

 

Profilo di macchia

 

Tempio senza data

 

Rientrano le ossa

 

I  tetti non bruciano

 

Sangue unguento

Piaghe risolte

Sappiamo la coppa

Bevendo mangiando

Ostacolo alla mente

Cuore sbandato

Divisione scomparsa

Albero sottile.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Dal caffè ristretto

Il calore profumato

Prende impensabili curve

Dalla trave appannata

Per strade senza divieti

Dove l’angelo incontra

L’insegna del cinghiale

Aspro e pericoloso

È  l’aggettivo con il verbo

Quando taccagno di centesimi

Il barista parla di disastri e guerre

Appiccicose come lo zucchero

Per addolcire questa tazza

Che non riscalda il mattino

Leggiadro come i puntigliosi paramenti.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Il piatto di acciughe impanate

Con una strizzata di limone

Un destrogiro olio da frantoio

Permette di parlare di dio

Coprendo le pozzanghere che

Imbrattano i pantaloni rincalzati

Nei vapori che scaldano la notte

Altrimenti impreparata agli schizzi

Che risalgono la piazza della cattedrale.

Un brano di teologia preciso

Altra veduta e silenziosi camini

Soffiano verso l’alto delle nuvole

Che il cantore non riuscì a vedere

Ombre e figure perfette

Disturbato forse dallo sgradevole

Odore di fritto che non impedisce

Parole estreme.

 

 

 

 

 

 

 

Guarda davanti

Vicino orizzonte

Lontana la piana

Conduce lo sguardo

Lentamente attorno /

Improvviso il chiaro

Lo espone al cammino

Sancito dal dentro

Doveroso e piacevole

Sentita cerca bronzea di stile.

 

 

 

 

 

 

 

 

Accetto i trentasei alberi

Con un giardino fresco

Al riparo delle aride ventate /

Accetto anche se pochi

A patto tu permetta

Amico quando occorre

Ogni uomo parla ogni lingua

Come accade ai poeti /

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Lasciate al giardino

le piccole imperfezioni

Curato e tolto

l’ingrato e il bello

il prospero aiutato

come quello che stenta

Attento e impaziente

al sole alla pioggia

sorride al migliorare

della terra affidata

come ai giunti articolativi.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

protetto l’occhio

dal grande vetro

scava tra i segni

attento e impaziente

  Pasmore delle caverne

 

 

 

 

 

 

 

 

l’acido nella gola

sale alle narici

tazza di tè mattutino

Quando nel pomeriggio

lontane le distraenti cure

ti curi del cuore

con l’acqua degli occhi

Marmo rotondo

scende da Carrara

con i colori della sera

qualunque bella sera del mondo.

 

 

 

 

 

 

 

non possiamo chiedere

sempre miracoli /

dobbiamo dare una mano /

i troppi figli che abbiamo

dimenticati nel mondo

al mondo ritorneranno

quali parole elette.

 

 

 

 

 

 

 

 

Il giovane guerriero

lascia la bipenne

lancia scudo e criniera

entra nella casa rossa /

lo accoglie con l’acqua

la roccia carica

del grande segno /

notte nera

per ascoltare

il sole rinato

e sali alla sommità

del monte per vedere

le misurate stanze lucide.

 

 

 

 

 

 

 

 

appoggiata sul mare

tra occidente e oriente

senza galleggiare

la barca è attenta

e azzurra alle forze

oscure incendiate

dal narrare.

 

 

 

 

 

 

 

 

audacia della fabbrica

pazienza del soldato

ferocia dell’aeroplano /

la città stordisce

 per l’opacità monumentale

decorata senza i colori di ???

 

 

 

 

 

 

 

 

 

casette di legno

scatoline ricamate

barattoli lucidati

piccoli musei

armadi stipati

alfabeti di oggetti

ordinati in casellari

ricamati dalle mani pazienti.

 

 

 

 

 

 

 

 

La mia debolezza

si chiamò libertà /

Le devo custodia e difesa

da me da voi

non so se l’amo ma l’ho

mi si è data oltre ogni cosa

dai giudizi dalla fede

negli errori nelle idee /

Libertà dal consentire

dal dire dal tacere

nell’azione nella pigrizia

nell’eleggere amicizia /

Legato per libertà

a chi amo e stimo

per avere la loro pietà

se bene ti comprendono.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

dove abbiamo dimenticato

tutto quel bene

che ci hanno dato

 

una strana pianta messicana

tillantia getta fuori fiori viola

 

trovarle un posto migliore

perché abbia luce e viva

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

sola questa grande pietra

guardo la luna

mentre lui muore nell’erba

e le chioccioline si baciano

di morbidissimi baci /

 

credi che le sofferenze

saranno minori perché

amavi il bene…la verità /

 

il cuore si è indurito

soffro e non sento dolore

pietà non accompagna il pianto /

 

perché ci facciamo truffare

uccidere derubare della luce

perché non moriamo due volte

bucando questa nebbia

che ci avvolge costante /

 

sicuro e attento

con passione e rigore

compio l’opera sull’ultimo segno

ricominciando come i granchi rosa

che vanno al mare non sapendo nuotare

per regalare al mondo i figli loro

lasciandosi cullare tra vita e morte.

Tu Nancy adesso avrai capito

quello che ancora cerco:

ritrarre la bocca dal calice

bere la frizzante acqua.

Non lo so e taccio.

Il resto è desiderio

della culminazione dopo la decadenza.

Ma il desiderio si ribella e diventa

memoria di Baudo il mago

che innalza le mani

come tenesse il neonato

e lo espone all’approvazione vostra

nell’estensione infinita del momento.

 

 

 

 

 

 

 

 

 a Nessuno

 

( tutti coloro che sono stati

fedeli e silenziosi accanto )

 

 

                                                                                                           solleveremo i feriti

                                                                                                               i morti che strisciano

                                                                                                             il sangue millenario

                                                                                                                piangeremo urleremo

                                                                                                       contro lo strazio

                                                                                                compiremo

                                                                                                            uno sforzo estremo

                                                                                                            per ritrovare Poesia

                                                                                                                      contro dolore e sofferenza

                                                                                                                  deformanti ogni sorriso.

                                                                                                       

 

 

 

 

 

 

SDG

 

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