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Finis Austriae (un raccontopoesia)

Paolo Melandri

Frammento

 

In una cittadina della Pomerania, Sipolje, magiara di nazionalità e costumi, ai confini dell’Imperial-Regia Amministrazione Apostolica, giunse un giorno del tardo agosto 1914 Joseph Conrad, Ministro della Guerra, in quel periodo in “visita pastorale” presso i più sperduti territorî dell’Absburgica Corona, per valutare lo stato del presidio militare. Tutto ciò in vista di una incombente e ormai non più procrastinabile offensiva nei Balcani. I Serbi, o parte di essi, non gradivano più, evidentemente, di esser governati da un monarca austriaco. Un ennesimo strascico dell’annoso “Problema delle Nazionalità” o piuttosto uno strappo senza precedenti, destinato ad annunciare il crollo dell’Impero? Nella sua comoda carrozza scoperta, dall’aria ancor non surriscaldata del mattino il Ministro sentiva affluire fino a lui gli odori della terra ove da un mese era stato falciato il grano, con i covoni qua e là e i contadini al lavoro per raccogliere i fasci di spighe e riporli nelle rimesse, da cui sarebbero stati estratti per la trebbiatura e la setacciatura, secondo le avite pratiche del luogo. I contadini cantavano – il Ministro Conrad lo sentiva distintamente – e cantavano del loro Imperatore, che non avevano visto una sola volta in vita loro, ma che per loro era una presenza, qualcosa di vicinissimo e lontanissimo insieme. Si udivano or sì or no affluire le voci, spesso chiare e scandite, talvolta anche confuse nell’immenso spazio della pianura sotto il sole estivo. Era come quando, in Chiesa, si sentono salmodiare le lodi divine, che or sì or no giungono le voci dei cantori tra il suono degli strumenti e il tuono dell’organo. Nonostante l’Imperatrice fosse morta da ormai diciassette anni, i contadini non lo sapevano, e anche se lo avessero saputo, per loro sarebbe stato lo stesso, e cantavano:

 

L’Imperatrice è una bella regina

e attende il dolce sposo nella reggia.

La reggia è una fortezza inespugnabile,

la sede del Sovrano di ogni terra.

 

L’Imperatore va sempre alla guerra:

monta un cavallo bianco, e nulla teme.

Nella sua mano regge, e tiene in alto

la sciabola che fu già di suo padre.

 

Impavido precede i forti Ulani,

intorno a lui son nobili i guerrieri.

Vede languire un misero: s’affretta,

un lampo e l’avversario è volto in fuga.

 

L’Imperatrice attende il dolce sposo,

fila la tela e mai non pare stanca.

L’attende nel castello, la fortezza,

ma il dolce sposo ha cuore di guerriero.

 

Il cor guerriero all’armi ormai l’invita

anno per anno, giorno dopo giorno.

L’Imperatrice attende con pazienza,

fila la tela e attende il suo Signore.

 

Da settant’anni[1] un Padre egli è per noi,

ogni diciotto agosto è la sua festa.

Ovunque sulla terra celebriamo

l’uomo di cui è la terra che ci nutre.

 

L’Imperatore abbraccia tutti i popoli

e dà a ciascuno il suo, secondo legge.

Per lui biondeggia la spiga di luglio,

il ciel sereno brilla sui suoi campi.

 

Un giorno lo vedremo a noi apparire:

sul suo destriero bianco, di noi fiero.

Allora udremo il cavallo annitrire

e il re annuire con sembiante altero.

 

E la regina attenderà per noi

anno per anno, giorno dopo giorno.

E il nostro Padre a lei farà ritorno

e, nella stanza, le dirà di noi.

 

Le voci giungevano sempre meno distinte, mentre il Ministro si approssimava alla cittadina, lasciandosi alle spalle i campi dorati e quel canto rassicurante, che sembrava esalare da profondità ancestrali. Era il Francesco Giuseppe I l’Imperatore di cui cantavano, il Comandante Supremo delle forze armate o era un altro imperatore quello che ricordavano con tanto amore in quella sperduta provincia, forse Giuseppe II, che centovent’anni prima vi aveva portata la guerra contro i Turchi? Di certo le parole si convenivano or sì or no all’anziano Imperatore; ma quale cosa si attaglia completamente a colui di cui parliamo? Era Francesco Giuseppe I Imperatore d’Austria e Re d’Ungheria, e l’Imperatrice era proprio Elisabetta di Baviera? Erano proprio loro? Non erano loro in quanto persone; piuttosto era la loro essenza, il loro ruolo, si sarebbe detto. La cosa sarebbe apparsa estremamente interessante a un antropologo o ad un etnografo, pensò.

 

 

 

Paolo Melandri

6 dicembre 2009

«risum teneatis, amici!»



[1] Nel 1914 Francesco Giuseppe I era Imperatore da 66 anni, e aveva 84 anni. Morì nel 1916, a 68 anni d’Impero e a 86 anni d’età. Ma già nel 1914 nemmeno l’Imperatore ricordava più la propria età. Era l’Imperatore più vecchio del mondo.

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