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Il Bucky Novel di Philip Roth

V.S. Gaudio

Bucky Novel 01

1.L’angoscia nella cornice di Weequahic
 
“L’angoscia si produce quando appare, nella cornice, quello che era già lì, molto più vicino, a casa, Heim[1]. L’ospite, o meglio: l’ospite sconosciuto, che si presenta all’improvviso, ha assolutamente a che fare con quello che si incontra nell’Unheimlich.
L’ospite non è l’abitante della casa, è un ostile ammansito,pacificato, ammesso.
Il fenomeno dell’angoscia quando avviene?
Quando nella cornice emerge l’Heimlich.
Ecco perché Lacan dice che è falso dire che l’angoscia è senza oggetto.
Nella zona ebraica di Weequahic, nell’angolo sudoccidentale di Newark, noi non veniamo a conoscenza del primo caso di polio che quell’estate si verificò agli inizi di giugno[2], in un quartiere italiano povero all’altro capo della città rispetto al nostro.
Lo schema della traccia cancellata, usato da Roth, è o non è quello lacaniano?
“Il significante rivela senza dubbio il soggetto, ma cancellandone la traccia.
                                   
                                           a           A
                                                 $
Ci sono dunque innanzitutto un a, oggetto della caccia, e un A.
Nel loro intervallo il soggetto S appare con la nascita del significante, ma come barrato $, come non-saputo. Ogni individuazione successiva del soggetto poggia sulla necessità di una riconquista rispetto a questo non-saputo originario”[3].


1.1.La polio, l’oggetto a non-saputo
 
La polio, che è a, l’oggetto non-saputo, della domanda che occupa indebitamente il posto di quello che non viene aggirato, ma viene espressamente indicato.
Vedete: non è ciò che inganna e non è nemmeno ciò che non inganna.
L’angoscia, nel suo quadro, dalla Newark equatoriale, vi sembra che abbia sopra di sé l’imbarazzo, e a ovest, prima, l’impedimento e, poi, più infinita, l’inibizione?
La traccia del soggetto, nel quadro della polio, con i suoi tre virus(Brünhilde, Lansing e Leon), è tra l’emozione, il sintomo e il turbamento.
Ma non è l’acting out che è nella posizione centrale, dove, virtualmente, dovrebbe trovare l’S barrato.
Lì, nell’angolo sudoccidentale di Newark, nella zona ebraica di Weequahic, c’è nell’angolo del turbamento e dell’emozione quello che poi sarà il passaggio all’atto che, di norma, è sopra l’angoscia, sotto l’imbarazzo, a est-nord-est.
Che cosa vuol dire questo?
Che l’irriducibile dell’incognito si struttura già all’inizio, come se quel posto, in quanto circoscritto da qualcosa che è materializzato nell’immagine, un bordo, un’apertura, in cui la costituzione dell’immagine speculare mostra il proprio limite, ecco questo è il luogo eletto dell’angoscia.
La scena della polio:
questo bordo, questa incorniciatura, questa apertura è il punzone che è il(fa da) segnale di quello che c’è da cercare in mezzo.
Solo che qui quello da cercare in mezzo è talmente evidente che bisogna solo aspettare di vedere come e dove,infine, si manifesterà.
 

2.Che cos’è il racconto di Nemesi?
 
I romanzi della castrazione è questo che fanno vedere nello specchio, l’angosciante, che non permetterà mai il riconoscimento dell’Altro se non sotto la sua forma estrema, radicale, del taglio.
Il soggetto è prigioniero di quella traccia che non viene cancellata.
Sono i romanzi in cui non c’è il desiderio, e quindi non sono racconti-contratto: contro che cosa scambiare il racconto di Nemesi ? Che cosa “vale” questo racconto?
Il racconto, lo sappiamo, è al tempo stesso prodotto e produzione, merce e commercio, posta e portatore di questa posta.
Il racconto di Nemesi cos’è?
Prodotto o produzione? Merce o commercio?
Posta di quella traccia che non è cancellata o portatore di quella posta?
In cambio di che cosa?
Di un corpo, o di una vita, di più corpi, di più vite, di una malattia epidemica?
Un racconto-polio: una storia di castrazione che immobilizza il lettore nella Newark equatoriale del  1944.
Tra la Malattia di Heine(-Medin), con i suoi tre virus mai definiti dal narratore, e la polio, come sinonimo diffuso in qualsiasi lingua, alterità radicale al tempo stesso prodotto e produzione, merce e commercio, posta e portatore di quella posta.
 

2.1 Il racconto-polio
 
Il racconto-polio è tematico, nella stessa virtù connotativa speculare alla rigidità, all’immobilità, alla rottura secca, tagliente della malattia di Heine.
Il senso però non slitta, né copre e avanza a un tempo; non c’è trascendenza lessicale, e la parola generica è sempre raggiunta.
Il rendimento di un séma, lo scrive Barthes[4], dipende dalla sua ripetizione:
il séma dell’immobilità non ha rispetto per il carattere perpetuo del linguaggio, la produzione della lettura e non ha nemmeno la fatalità di un colpo di dadi che fermi e fissi lo slittamento dei nomi e determini, quindi, la verità, la natura, il segreto dell’opera.
La verità è che nel racconto-polio, o, in genere, nei racconti-castrazione, l’inconscio, l’anima non possono che essere rinvenuti nella rete impersonale dei simboli trattata sotto il nome proprio.
Dal nome proprio dell’eroe si segue la natura economica del Nome, per una raccolta di tratti che stabilisce un rapporto di equivalenza fra il segno e la somma.
La funzione economica del Nome, nel séma irrigidito e immobile del racconto-polio che ha inizialmente l’oggetto-non saputo ma già svelato, e il paradigma di ogni sovvertimento, o di ogni sottomissione romanzesca, aspettato ma che, alla fine, non arriverà mai, perché quello che manca nel romanzo-castrazione non è il personaggio,ma è il romanzesco, quello che si scrive è il Nome Proprio, e nel paradigma di quel nome si nasconde il paradigma dell’oggetto a, l’inibizione angosciante o, se vogliamo, l’impedimento totale del desiderio, che, già nell’oggetto a il Soggetto vi si specchia barrato.
Pertanto, gli interrogativi attivati dal racconto-polio è da questa rete impersonale di simboli, trattata sotto ogni nome proprio, che hanno l’origine e la ragione di essere:
perché il narratore usa il sinonimo “polio” per “Heine(-Medin) disease”?
Perché la famiglia che bada alla nonna del protagonista quando va ad Indian Hill si chiama “Einneman”?
Perché la fidanzata del protagonista si chiama “Marcia”, nome proprio speculare alla “March of Dimes”, che era la raccolta delle monete da dieci centesimi per contribuire alla lotta contro la malattia nelle scuole?
Perché il cognome stesso di Marcia, “Steinberg”, è speculare al cognome “Einneman”?
E perché Steinberg, che è la “montagna di pietra”,  fa arrivare a Indian Hill, che è la “collina indiana”, la “freccia invisibile” dell’Heine-virus?
Ma c’è anche il “daino” che è “buck”[5], in “Bucky”, che si ricollega alla malattia di Heine e il “dollaro”, che è “buck”, che si ricollega alla “March of Dimes”, che sono i dieci centesimi.;
“Bucky” può essere il “leprotto” e “Marcia” fa pensare alla “lepre marzolina”.
 

2.2 L’enigma formulato e la lettura sintagmatica
 
Nel romanzo-polio l’enigma è formulato, non c’è inganno, né domanda, semplicemente il risalto di un soggetto barrato prima che castrato; l’enigma, quando è nel segno del virus, è sempre in corso, attacca ogni soggetto, lo tematizza, lo enfatizza, ne punteggia esclamativamente il nome, e taglia la domanda del predicato, anche il complemento perde qualsiasi virtù di incertezza.
La struttura ermeneutica è tutta nell’angoscia che pervade ogni frase e ogni nome che si manifesta sulla superficie di Weequahic; ogni soggetto sembra che postuli la radicalità del virus.
Il codice paradigmatico nel romanzo-polio è in qualche modo già fondato all’inizio e per questo fermato e bloccato.
Ma questo blocco, questo intoppo del codice, non è il capolavoro, attraverso il quale la struttura dei corpi è sempre dotata di un termine che è al tempo stesso la sua origine; qui, nel romanzo-polio, è una sorta di lettura sintagmatica, essendo immobilizzato l’insieme diagrammatico delle letture di un testo.
 

3.Il romanzo-polio non è epico
 
Il testo non è più plurilingue, non ha una struttura infinita, è come se si fosse accordato con la semplicità breve e svelta della frase, per trascinare la verità non lontano dal lettore ma sempre più attorno al lettore, l’inflessione sintattica della scrittura del romanzo-polio è sbrigativa e scioglie l’artificio del racconto.
La polio, che è la malattia di Heine, con tutto l’heinous che ha nel suo paradigma, più che dentro l’insondabilità dell’unheimlich, è come se fosse dentro il suono bloccato dello shofar, l’oggetto, il corno che viene suonato in sinagoga nello svolgimento rituale delle feste ebraiche, che lega il desiderio all’angoscia, in cui tra a e Altro passa la rimembranza della voce di Dio, la ripetizione che è automatica e connessa al ritorno, al necessario convoglio della batteria del significante.
Lo shofar, nel romanzo-polio, non ha suono, ha il ronzio del virus, semmai, che c’è, poi, se andiamo a vedere o a sentire, in ogni novella drammatica purché ci sia un castrato.
Anche nel teatro drammatico, questa apparizione è per lo scioglimento; nel teatro epico, l’apparizione del castrato serve allo svolgimento.
Nel romanzo-polio[6],lo svelamento c’è già nell’epilogo, nella situazione iniziale c’è già la conclusione, e non è una predizione, semmai è la verità, che, da un punto di vista epico, apparirebbe sempre incompleta, insaturata, iniziale soggetto errante alla ricerca del suo predicato finale: niente si mostra durante questo svolgimento, se non l’esca, l’inganno; l’enigma è questa mancanza del predicato.
Allora, il romanzo-polio –pur avendo la fine inizialmente mostrata – non è epico, è drammaticamente concluso, tragedia predeterminata, ecco perché bisogna cercare la differenza riempita del suo proprio nel Nome Proprio.
 
3.1 Il Nome Proprio e il Bucky novel
 
Il nome proprio permette al personaggio di esistere al di fuori dei sèmi, il Nome è soggetto e il proprio del racconto non è l’azione ma il personaggio come Nome Proprio: il materiale semico, però, non viene a riempire il proprio di essere, il nome di aggettivi, perché la nominazione del sèma è bloccata, tutt’al più se ne può rinvenire il suono nella disseminazione nominale del virus.
Il Bucky novel, è evidente, per via del Nome Proprio e anche perché nomina la proprietà dell’oggetto a, ha la semplicità della frase breve come se fosse un linguaggio naturale, teso com’è tra il paradigma del “daino” e della “lepre”, ma anche del “dollaro”, che, nei suoi tagli, ha il dime[7], che è la monetina d’argento di 10 centesimi, che costituiva il fondo base della “March of Dimes” scolastica; il Bucky novel, che non ha cadenze e armature particolari né strutture profonde, non è, per intenderci, dal lato della stilistica trasformazionale in questo medioevo profondo del romanzo nell’era dell’industria culturale, si costituisce come posta economica, oggetto di contratto, moneta di scambio, one buck, 1 dollaro, “ein buck”[8], avrebbe detto il padre della polio, Jakob Heine, contro il dime novel, che, in altre transazioni editoriali, era semplicemente il romanzo di 10 centesimi, da quattro soldi, in traduzione italiana.
 
3.2 Le leggi del leggibile e altri codici; la retorica dell’epidemia nel Bucky novel
 
La legge di solidarietà del leggibile è quella in cui tutto è collegato, e lo è nel miglior modo possibile.
La legge di valore del leggibile è quella di riempire le catene causali in maniera che ogni notazione – per quanto debba essere il più possibile determinata- sia intermedia[9].
Il leggibile, così, anche nel Bucky novel, è una semplice sospensione di elementi affini prima che siano fatti confluire in uno stesso fascio economico.
Il carattere compatibile delle circostanze sembra che debba contrastare qualsiasi infrazione del “buon senso”, ma l’andatura solidale della frase compatibile sembra che faccia a pugni con il principio di indeterminazione del virus.
Non si tratta di entrare nella pandemia, o nel disseminarsi dei tre virus e vedere come si frantumi il leggibile, né si tratta di rinvenirvi un annuncio interno alla storia, analogo agli indizi fisici o sociologici del personaggio che permettono di decifrare in anticipo un dramma, una tragedia; non siamo in una storia naturale dell’orgia, che è annunciata all’interno del discorso e progressivamente si finirà con l’essere in una retorica dell’orgia.
Ma la retorica di una epidemia non ha ragione d’essere, perché non è come l’orgia che deperisce e cessa, e ha una fisica, e quindi è soggetta a transazioni sviluppabili con la legge di solidarietà e con la legge di valore del leggibile.
Non ha nemmeno un codice proairetico, e, quindi, figuriamoci come l’Altro possa relazionarsi all’oggetto a del Soggetto barrato: le espansioni infinite, che sono i codici che si originano dal codice proairetico e quindi i punti di fuga, non potrebbero mai essere significate da un semplice punto di vista, nella materialità del discorso.
Il referente(la polio, la malattia di Heine-Medin) quando mai potrebbe essere, nel Bucky novel, l’immagine inquadrata?
La virulenza si impossessa di un corpo, di una rete di simboli o di un sistema linguistico nel momento stesso in cui esso espelle tutti gli elementi negativi e si risolve in una combinatoria di elementi semplici[10].
Il corpo quindi diventa non-corpo, una macchina virtuale, i virus lo assalgono.
La patologia di terzo tipo, inaccessibile a qualunque farmacopea dell’epoca precedente(quella delle cause visibili e degli effetti meccanici), lavora come l’inconscio.
Così come l’essere umano diventa il terreno d’elezione delle malattie virali, così la legge di solidarietà del leggibile va in metastasi.
L’assenza di alterità secerna un’altra alterità inafferrabile, questa alterità assoluta che è il virus.
Il Bucky novel è come la buona vecchia medicina riparatoria che si occupava dell’incidente meccanico tradizionale, può guarirle e discorrere delle malattie della forma, ma è senza difesa, e senza linguaggio, di fronte alle patologie della formula.
Il Bucky novel non può rendere leggibili i fenomeni estremi o in generale la catastrofe, contro queste escrescenze è inutile rifarsi alla legge di solidarietà e di valore del leggibile, dovrebbe, come la poesia, andare da un segno all’altro senza passare per il riferimento; o, come nella metamorfosi, da una forma all’altra senza passare per il senso; o, se proprio vogliamo dirla tutta, come nella velocità, in cui cos’altro si fa se non andare da un punto all’altro senza passare attraverso il tempo, andare da un momento all’altro senza passare per la durata e il movimento.
 
4. Il mythos dell’autunno
 
In chiave archetipica, riconoscendo alla tragedia, come fa Northrop Frye[11], una mimesi del sacrificio, l’ eiron , che è la fonte con diverse sembianze della nemesis, è dentro la forza invisibile che si impossessa man mano di tutti o di vari attanti fino a colpirlo direttamente.
Nella tragedia del Bucky novel non si può dire che le sei fasi del mythos dell’autunno abbiano la stessa sequenza di cui al canone di Frye.
Comunque, qui interessa notare come sia la giovinezza dell’eroe- che è legata tradizionalmente alla seconda fase- la fase cruciale nella tragedia di Roth; la terza fase, che corrisponde al tema centrale del romance, quello della ricerca, se guardate bene, è quasi inesistente nel Bucky novel, mentre sono essenziali le fasi successive, in cui c’è la caduta dell’eroe(la quarta) e la separazione o l’interruzione interattiva dell’eroe e dell’eroina(la quinta).
La sesta fase, in cui predominano le immagini di sparagmos, cioè di cannibalismo, mutilazioni e torture, nel Bucky novel l’epifania demonica è che l’eroe in effetti forse “era stato davvero la freccia invisibile”, e Roth aggiunge ai simboli principali, la prigione, il manicomio, gli strumenti della morte per tortura, tra cui la croce alla luce del tramonto, il lancio del giavellotto, che – come se fosse la freccia invisibile del virus- fa sì che l’eroe, dalla struttura diairetica, schizomorfa e diurna, venga trasformato in demone e quindi venga illuminata dalla luce della luna la sua struttura notturna e mistica.
 
5.L’oggetto a senza mascheramento scopico
 
La possibilità ubiquista nel Bucky novel – è evidente – è del tutto annullata, altrimenti l’eroe avrebbe scorto, a livello del campo visivo, la macchia con cui appare o si prepara la possibilità che ricompaia all’improvviso nel campo del desiderio ciò che c’è dietro di occulto, ossia, eventualmente, quell’occhio il cui rapporto con questo campo deve necessariamente essere scavato affinché il desiderio possa restarvi, con quella possibilità ubiquista che gli permette di sottrarsi all’angoscia[12].
Quando c’è il virus è però difficile, se non impossibile, ammansire gli dei nella trappola del desiderio, per non suscitare la loro angoscia, ma se ci fosse stato il livello scopico sulla riga dell’inibizione il desiderio di non vedere avrebbe avuto, come sintomo, il misconoscimento sulla stessa riga dell’onnipotenza e del suicidio.
Perché, in una tragedia, misconosciuta l’angoscia, si va diritti diritti verso il suicidio[13].
In un Bucky novel, però, il livello scopico non c’è e difatti Bucky ha difetti di rifrazione visiva, per questo, da lanciatore di giavellotto, diventa l’eroe tragico della freccia invisibile della Heine disease, che quando colpisce, pur avendo tre virus, non fa che annientare in qualsiasi forma il mascheramento scopico dell’oggetto a.
V.S.Gaudio


[1] Jacques Lacan, Ciò che non inganna, in: Idem, Il seminario, Libro X, L’angoscia, trad.it: Einaudi, Torino 2007:pag.82.
[2] Singolare l’errore temporale di Roth: agli inizi di giugno non era certo ancora quell’estate… e agli inizi del romanzo:Philip Roth,  Nemesi, trad.it. Einaudi, Torino 2011: pag.3.
[3] Jacques Lacan, Ciò che inganna,in: Idem, trad.it.cit. :pag.70.
[4] Cfr. Roland Barthes, Nascita del tematico, in: Idem, S/Z, trad.it. Einaudi, Torino 1973: pag.88.
[5] Nello slang americano, “Buck” è anche “pellerossa” e Bucky porta il virus della Heine disease a Indian Hill! Il verbo “to buck” è “saltare col dorso arcuato”: Bucky è un provetto tuffatore.
Bucky Novel 02 [6] Nulla osta che lo si possa denominare Heine novel, in omaggio all’ortopedico tedesco del XIX secolo che da il nome scientifico alla polio:”Heine(-Medin)disease”, la malattia di Heine, sarebbe in lingua italiana. Il busto di Jakob von Heine
alla “Polio Hall of Fame”
in Warm Springs(Georgia,Usa)•
 
 
[7] Non si sottovaluti e non si dimentichi che dim, come aggettivo, sia “debole(di vista)”, come lo è Bucky, difetto somatico tragico che ne preclude l’arruolamento militare e la partecipazione alla Seconda Guerra Mondiale e quindi la possibilità di sottrarsi all’invadenza della Heine disease nell’angolo sudoccidentale di Newark nell’estate del ’44. Si cfr. la connotazione negativa di “Heinie”come “soldato tedesco”, l’univocità rigida da cazzone, è sicuro che debba essere fatta derivare dal nome “Heinz”, come fa il Forbidden American(Zanichelli ,National Textbook Company),piuttosto che dal nome “Heine”, vista la rigidità e l’immobilità della malattia?
[8] “Ein buck” che rispecchia l’”Ein Buch” tedesco dell’ortopedico che ha dato il nome proprio alla malattia della polio: “Ein Buch” ovvero:”un libro”,o, vista la posta in gioco e l’epidemia, “un registro”.
[9] Cfr. Roland Barthes, Il leggibile II, in: Idem.S/Z, trad.it.cit.:pag.165.
[10] Cfr.Jean Baudrillard, Profilassi e virulenza, in: Idem, La trasparenza del Male, trad.it. Sugarcoedizioni, Milano 1991:pag.72.
[11] Cfr. Northrop Frye, Il mythos dell’autunno: la tragedia, in: Idem, Anatomia della critica, trad.it. Einaudi, Torino 1969.
[12] Cfr.Jacques Lacan, Ciò che entra dall’orecchio, in: Idem, trad.it.cit.:pag.303.
[13] Per quest’altra variante di tragedia del “lanciatore di giavellotto”, cfr. Alessandro Gaudio, Il corpo isterico di Damín, in “Hortus” n.27, numero monografico su Paolo Volponi, Stamperia dell’Arancio, Ascoli Piceno, 2004; V.S.Gaudio, Il Berg isterico di Damín, La Lebenswelt sui baci di Lena, in Volponiana, a cura di A. e V.S.Gaudio, in “Lunarionuovo” n.25,Prova d’Autore, Catania, gennaio 2008.
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