Venti sonetti
Massimo Sanelli
(agosto-ottobre 2010)
1
In un istante, in un istante solo
si vuole la reazione a molte offese,
avute e amare. La mente fa un volo
di anni. Questa voglia non aiuta
nulla, prima; poi prega che il suo ruolo
ritorni fumo e aria; allora nasce
in una vita di tutti: il bel suolo
ed una lingua che la vita usa.
Nulla è mai dovuto, ma qualche cosa
è necessaria. Opporsi ad una storia
stabilita non giova: vale il rosa
del colore che completa la gloria
serale; e una ricerca ora si posa
qui, qui e ora, e ne resta memoria.
2
Quando la parte colorata è vista
dall’occhio sano, il colore non lascia
più chi vede. E chi osserva le trine
bianchissime con l’occhio molto sano
sta bene; il contrario è una cosa triste.
E una vita di donna alla finestra,
da sola, che lavora, e forse assiste
i vecchi o i figli, sembra una vittoria
degli occhi buoni. Questa forza era,
ed è, nel mondo vero. Ancora adesso
questa storia materna è già presente,
è vera e una realtà si unisce al sogno
e lo distrugge. È il più grande bisogno
dei perduti e dei cari del presente.
3
Il cibo preso e l’acqua che si beve
sono il cuore del corpo; questo muro
è un corpo. Una misura sola vive
per tutto e tutti. Così UN solo seme
crea UNA pianta: ma UNA pioggia cade
su tutte. Dove si trema, si trema
per la paura, più che per la fame
bestiale. E si lascia quel che si deve;
quello che perde, crolla senza vincere
nulla; quello che vince, un uomo, vuole
più spazio che ragione, più cultura
che gloria. Il risultato che si vince
è molto bello: una posizione vera
di questo cibo, che è una cosa pura.
4
La volontà di dire vuole prosa
e non poesia. Adesso la potenza
dello stile è diversa, in ogni pausa
dei quaderni finiti: c’è una cosa
più chiara in chiaro cielo, la gioiosa
passione dove è chiaro, una danza
giusta dove la danza serve, lancia
contro lancia se serve, una rosa
accanto a un’altra rosa. Questo è il gesto
cristiano e è opposto al suo contrario aspro,
il poco contro il buio. Tutta questa
storia privata è detta dalla prosa:
la madre esalta il figlio e il figlio questa
donna. In realtà è, da una rosa, una rosa.
5
Per imitare il suono della vera
vita, piaceva quasi una porpora
infetta, e presto tolta dalla scena
presente. La soavità è apparsa:
materia e materiali sono un oro
comune e l’arte è date, istanti, ore
reali e nomi uniti per la luce.
Da frutto deriva frutto, e l’estate
lo mostra bene. Un’aria lieve adorna
il cielo, i frutti, i semi, e questa fresca
presenza delle cose, che dà segni
visibili; e la vista possiede intensa-
mente la lunga dolcezza sognata:
che ora vive, avuta come propria.
6
Ora il tempo dei sospiri ha una forma
nuova. Ora inizia uno stato felice,
con Cristo, e infatti dura; la sua orma
è ferma sempre: dove è, non è fragile.
Lo stato antico ha trovato una forma
per sopravvivere, e ben viene; esiste
la nuova condizione al mondo; prova
soddisfazione in ogni atto voluto,
e la voglia soddisfa ogni voglia
umana, e perché è umana si rivede
come il tamburo battente: che spoglia
la scelta della quiete e la concede
in altro modo e forma, e in un migliore
stato. Si dice stato, che non cede.
7
La struttura è ibrida: il suo principio
non è meglio di nulla, fu il nuovo.
Tra la fine e l’inizio, un nuovo inizio
non si vede. L’occhio aperto si muove
come un occhio normale, il suo giudizio
resta da un’ora all’altra. Il nuovo è quasi
un seme che si lancia. Non c’è vizio
nel cercare la vita. Non si trova
più nessuna speranza nuova. È ragione
questa deriva: se fosse, potrà
essere un simbolo nuovo. Non è
così: resta deriva, come è
stata in principio. Oppure ricadrà
in quello che non è, sola ragione.
8
La lingua è corporale per mancanza
di un altro corpo. Questa arte del corpo
caro si trasformerà! E nella stanza
illuminata, alta sopra il sale
del mondo, il sole e il mare di vacanza
per chi non vive qui: e questi sono;
la terra è esposta all’acqua, non si rinuncia.
Quello che vale è grande e ha il grido
asciutto e aspro, è naturalmente
il paesaggio, dove tutto è impuro
per la sporcizia, bello per l’aperto
spazio. Qui brilla bene il sesso certo,
le membra nude no, e non altro: è duro
pubblicare quel miele, e non è niente.
9
Appare la dignità del miracolo:
questa non è la coscienza offuscata
da un difetto taciuto; si ammira
nella grazia una seta, nella garza
che è poco velo il contrario del lusso
grande, nella vita glorificata
una perfetta nascita, che basta:
nell’altra stanza è il dormiveglia, il fiato
rotto. Di notte la voglia si sente
del sonno: esaudirla è un piacere
perfetto, ma il riposo non è pieno,
si sente. Nella natura non dorme
chi opera di notte e si rivela
in questa lotta, vivo per parlarne.
10
Nell’anarchia senza potere e ordine
l’ordine esiste ancora, in altre forme;
non il potere. Inizia il giorno e dorme
chi presidia le stanze, nel disordine
mentale dell’insonnia; e non risponde
più a nessuno. Tra poco l’aria informe
entra nel luogo del lavoro; è enorme
lo sforzo della veglia e corrisponde
al servizio di clinica, portato
fino all’alba. QUESTA è la volontà
di dire e QUESTA felice pietà
si vede: l’opera è senza potere,
non aggredisce più, non vuole avere
intelligenza e amici. Tutto è tolto.
11
Il sollievo sta solo in un momento
segreto. Poi il sollievo si dissocia
dal corpo, non più nudo: il sentimento
della vera presenza non rimane
con l’orecchio che muore e già non sente
più le parole. Oggi il tuo occhio è mente,
non per merito tuo, in un fermento
che è bello; di quel fermento si tace,
per il pudore che chiede. L’onore
onora la persona quando è accolta
in uno spazio, e la persona sembra
un vero figlio o figlia, e questa cura
è nuova e piace: ardere una volta,
due volte e tre, decine, per esistere.
12
L’oggetto disciplinato è coerente
con la ricerca avviata, prima. Meglio
trovare custodia che quella semenza
disperdere, nuova: e si mostra meglio
in una buona terra; con gentile
questo stimolo a fare, che assomiglia
a giustizia. La pace si raccoglie
in poco spazio, di metri diffusi e
più che metri. La tendenza alla forma
è coerente con l’oggetto di carta
o pietra o rame; presto li modifica.
Per occupare spazio, non c’è cosa
meglio del seme, e cresce tra le antenne
e i fili storti: è il modo liberato.
13
C’era una prova iniziata al candore
della virtù e di pelle bianca sotto
l’aria più calma: ecco un alto decoro
presente, molto, di cui si fa motto,
e per poco si trema. Anche il cuore
è svegliato improvvisamente, tanto
con furia. E poi si spegne questo ardore
di sesso e lotta vana, e si abbandona
l’intero campo. Se il cieco vedrà
per fede, le cose fatte non sono
vane. E chi sembra spoglio riderà
di tutti, tutti; la diversità
è intellettuale e non del corpo. Il corpo
nudo non c’entra: il suo ruolo è poco.
14
Perché si tremava così, muovendo
la testa e altro? E poi: non farlo più?
L’infanzia che ha giocato e ora gioca
di nuovo continuerà nel mondo
degnamente. Dove la pietà c’è,
la pietà non è frustrata: amando
questo tempo, e la sua Europa, c’è
un atto diverso. L’educazione
non è innocua; esiste un modo privato
che è nel giusto: è passione e la paura
di febbre e altro non lo tocca. Eccelle
la perfezione durissima e l’obbligo
dell’azione: se qui agisce la vera
carità, è forte; se è acuta è una culla.
15
Il caldo a metà anno non è strano:
ma è il tempo giusto e in questo mese i sensi
sono più forti. Questa scena ha
una maestà matura e anche la voce
migliora. In chi parla è sicura,
sicurissima, forza; ecco: è fatta
un’azione di pochi contro molti,
ma è incruenta, e piace. C’è una pura
e semplice obbedienza all’italiano,
dove in realtà noi sogniamo l’amore
perfetto. E oggi la lingua naturale
diventa altro: né inutile né arida,
né fredda. Quello che era non amato,
perché è storia morta, non è più tale.
16
Questo è il futuro e si offrirà di colpo
una serie di azioni, e sono facili:
il dire e il fare. Questa vocazione
sola basta, una voglia organizzata
è grande, e basta che la cosa pura
sia molto offerta, più volte con furia.
La somiglianza con il giglio della
pelle chiara è la norma; e poi è reale
la somiglianza del gesto alla voglia
intima. La vocazione riunisce
tutto: da tutto il vecchio nasce il nuovo
e da un rapporto molte somiglianze
coerenti. Accade con furia non nuova
e più volte con pace, che rinnova.
17
Si ride in uno spazio, e cede a questo
la forza dell’uomo: il suo piede arriva
mosso sopra le cose. Ora è padrone
e signore chi agisce su una riva
dura, dovunque, con la voglia onesta
di fare e dire: non ha e non avrà
più altro. In una terra coltivata
verde, la meraviglia si sarà
unita presto ai colori umili
della terra: i normali, non gli smalti
lucidi, su cui la vista si spegne
sempre di più. Dentro lo spazio verde
o dentro l’acqua si capmerà subito,
quando si nutre, una fase adulta.
18
L’andatura si mostra come luce
particolare. L’uomo che ama vuole
solo toccare il lobo dell’orecchio
e non la pelle: ma il gioco seduce
e stravolge chi gioca. C’è l’amore
per la donna e il suo nudo, e come sta
nell’opera: è la pittura; mentre ora
la famiglia è la cosa molto onesta
che conforta: «e io ci sono!». Allora il torso
è scolpito perfetto, con la mano
che disperde la polvere; e occorre
il mezzo duro, con la forza sporca
del lavoro. Vediamo questa azione
liberissima e forte, a cui si corre.
19
I modi d’avanguardia sono rose
e ilenso è salvo, salvo. L’armonia
tra l’interno e l’esterno ora è salva
e più vivace. Lo scritto ripete
tutta questa salute. Anche la pace
è riapparsa di colpo; e anche il nome
pubblico vive. È opera dell’ira
sconfitta, oppure l’opera allontana
dall’ira. I modi d’avanguardia sono
la prima età, ed è loro virtù; questa
cosa non si toglie facile, senza
violenza dell’esterno. La pietà
si invoca per chi crolla, mentre un’ombra
di questa arte vale come la storia.
20
Non si rinuncia a un abbraccio che sembra
piccolo, ed è di adulto. Ecco l’infanzia,
che parla: ecco l’infanzia, già distrutta
per rabbia. L’età è nuova: chi non ama
desiderare non ama, e qui sembra
e non è, non è, la fine delle membra
presenti e del paesaggio pieno, con
dolcezza. Il corpo vive. E belli i fatti!,
uno per uno: uno stato tremendo
è quasi tutto spento; nel pensiero
prima si esita, il primo; si vuole
unire età ad età, e il molle al duro,
per diventare grande. Non scompare
da noi il contatto chiaro ed il suo pregio.
I Venti sonetti (prima edizione: La Camera Verde, 2006) rimangono isolati dal libro che riscrive tutto. Lo chiede il loro aspetto e la loro storia privata: il lavoro della clinica e il lavoro in clinica. Anche i Sonetti sono oggetto di una nuova scrittura, e anche la loro prima edizione è abbandonata del tutto.