Tu sei qui: Portale PIAZZA 3 CASA DELLO SCRIBA Il sapere dell'arte nell'Estetica di EB di Terzet

Il sapere dell'arte nell'Estetica di EB di Terzet

Raffaele Perrotta

  Ettore Bonessio di Terzet è un professore universitario, docente di estetica. Ha dell'estetica l'idea buona e giusta, quella di autorità sia in fatto di forma sia in fatto di lezione; infatti, un libro da lui curato reca per titolo L'arte come forma del sapere. Recentemente, ha spesso scritto in collaborazione, con chi scrivee con maria Grazia Montaldo Spigno; ha fondato e diretto la rivista di estetica e spazi creativi “iL Cobold”; e l'anno scorso ha poubblicato, per Marietti, Del frammento organico (sottotitolo: Una teoria del discorso).

  La prosa che ha assunto Bonessio di Terzet lo distanzia da tutti gli estetologi sulla piazza (ma non si scordi che in lui è l'anima del poeta: ultimo suo lavoro poetico Lo splendore del vuoto). Si tratta dell'unica prosa possibile. Marramao, scoprendo l'acqua calda, lamenta che la filosofia non sia al passo con le altre esperienze conoscitive, che non sia stata toccata dal felice estro della Musa e dell'Avanguardia Storica. Bene, leggendo Bonessio di Terzet che lègge “il frammento organico del discorso” leggiamo la svolta della filosofia sul terreno dell'espressione.

  Rimbaud e Nietzsche hanno, chi per un verso e chi per un altro, messo a ferro e fuoco le carte poetico-filosofiche, sicché, dopo di loro, è necessario avere a mente il come i presocratici hanno detto il problema della sapienza.

  Il libro sopracitato di Bonessio è una sorta di summa del suo pensiero, dove l'estetica ama qualificarsi pensiero. E anche qui, come non trovarci in concordia con lui? Peraltro Nietzsche stesso, dedicando a Wagner l'opera giovanile sulla Tragedia, aveva polemicamente introdotto il “senso” nell'apporto estetico (e la reale possibilità nel “senso” della musica).

 

  La lettura del testo bonessiano ci porta alle considerazioni del massimo rilievo che riguardano la “poesia pensante” e il “pensiero poetante”. Assai interessante, a mio avviso, nell'ultimo libro di Bonessio, è il capitolo sull'”Esperienza dell' arte”. Non vi mancano suggestioni heideggeriane (per quanto l'autore non sia tenereoi con il pensatore che io amo); l'uomo (l'artista, il poeta) si destina in una determinazione di mondità (di “mondità”, si badi bene, non di “mondanità”).

  Non sono poche le consonanze che ho con l'amico Ettore. Sempre dal capitolo di cui sopra, prendo a riflessione due parole, due temi: storia e metalinguaggio. La prima non viene negata. Come potrebbe negarsi la storia, il mondo stesso? Soltanto non ci si  commercializza nella storia: la storia non è un mercato, o almeno non si reputa tale; è ovvio che la storia tracciata dal capitolo in questione è il materiale in virtù del quale formatore o ordinatore attendono all'opera, materiale che è materia, e materia che è energia, già predisposizione alla forma dell'opera: Il metalinguaggio viene negato facendo forza di autorità nel nome di Berryman (un grande poeta alquanto fuori dalle conoscenza nostrane). E' da far presente che alla negazione di ogni metalinguaggio da parte di Berryman fa riscontro la costruzione della “sua” lingua. Voltiamo pagina e ci imbattiamo nei “discorsi”. Credo che qui il cerchio si chiuda per aprire alla discussione intorno alle fortune dell'arte come forma di sapere; e credo che Ettore Bonessio di Terzet abbia a concordare con il mio commento su di lui e tenendo presente la mia problematica del discorso. Dunque: la linguistica saissuriana ci ha insegnato che la lingua è un sistema di segni; noi ribattiamo che la lingua è un sistema di gerghi. Tra lingua e linguaggio non vanno fatte poi confusioni; la prima, si è appena detto, è un iter di corporazioni linguistico-semantiche; il secondo è allo stato liquido, inorganico, più che elementare, stato rudimentale di segni non ancora fusi nell'ordine del sintagma. Il discorso è l'iniziativa della lingua  come linguaggio organato, cioè operato nella selezione e eretto per l'appunto a formazione di discorso. Questo discorso è il luogo senza il quale non è dicibile né il dicibile né l'indicibile. Esso prende nomi diversi a seconda dei capricci tassonomici; esso è la Critica kantiana o l'Amleto shakespeariano, il grido di guerra comunque venga gridato. Intorno al discorso spendo la definizione dei miei attuali giorni di redazione testuale; il discorso è il luogo insopprimibile allorché si sia dato il campo al dire inquanto dire, la sfida con il silenzio delle cose, delle cose che, si sa, al massimo parlano le lacrime.

Ed è perciò che <Berryman, Leonardo, Joyce hanno “aperto i generi”>, per tornare al capitolo del Frammento organico bonessiano. Il vero artista o poeta, di là da precettistica romantica è a caccia di ispirazioni e non di testualità precostituite. Egli è solo e nudo innanzi alla pagina bianca del libro; e il libro è metafora, o meglio è utopia, luogo altro e luogo non-luogo: il libro che viene (avviene) è questo mio “limite” di discorso (come insegna Wittgenstein). I generi letterario-disciplinari vengono attraversati, e, attraversandoli, è possibile la dirompenza nella cerchia magica dei paradigmi che orientano il sapere e il gusto della storia: la dirompenza paradigmatica, un sintagma di terribilità per l'etica crudele (cruda), spogliata delle vesti della Moda e forte del Modo in cui mette-in-opera l'opera stessa, l'opera, Bonessio di Terzet d'accordo, che a sua volta mette-in-scena se stessa legittimando l'auctoritas dell'Antico.

 

Genova/Milano, 1993

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