Tu sei qui: Portale PIAZZA 1 BIBLIOTECA Adriano Napoli, Memoria dell’albero capovolto, Lampi di Stampa, 2010

Adriano Napoli, Memoria dell’albero capovolto, Lampi di Stampa, 2010

Antonio Spagnuolo

A volte la realtà ci oltrepassa con segni indescrivibili ed accenni che lasciano ferite incisive e sanguinanti, ma la memoria è capace di plasmare le lacerazioni per poter ripetere all’infinito il calore della solitudine.

“L’inizio del mondo/ è una strada ondulata/ una fila silente di lecci/ che asciugano leggeri/ nella nebbia/ il sudore della notte./ Io sono qui/ senza bussole né calvari/ vestito del mio niente/ un filo d’erba/ masticato dal tempo.”

Un mondo , quello di Adriano Napoli, contrassegnato dalle immagini colorate delle vegetazioni, degli animali, dei giorni trascorsi nella contemplazione dei rigori invernali o delle primavere segretamente fiorite. Un mondo che si immobilizza nel sogno, tra il silenzio o il fragore del mare, fra terrazze assolate ove le fanciulle attesero con ansia il trascorrere delle loro illusioni, o in una spiaggia affollata nel rincorrere il divenire del Tempo ai margini di una luce abbagliante.

Sentimenti provati, angosce vissute,  passioni incontrate e soffocate, germogli di rinascita ed ipotetiche variazioni, invocazioni di armonie e  miraggi d’amore, costituiscono il sottofondo di un canto tutto teso prepotentemente a quei frammenti di vissuto, sottratti con inquieta partecipazione all’ombra dell’ignoto.

Qui una forte intensità metaforica mostra il suo fascino, avvolta spesso da una malinconia che distingue il canto, come un fluire dei versi prima nella psiche e poi sulla pagina, quasi mosaico lirico delle trasparenze e delle vibrazioni di una rifrazione.

“Ora vi chiedo, portatemi via,/ la luce del giardino è insostenibile/ come la bellezza, ferisce gli occhi,/ fuggono le lucertole tra le crepe/ e i mattoni della casa diroccata./ Cercavo parole imperfette,/ da pronunciare con desiderio,/ non questa impalpabile eternità/ di alberi e acque che salgono/ alle sorgenti, nell’ombra dell’origine./ Ma prima lasciatemi cercare in questo verde/ ancora acerbo, qui si nasconde, è certo,/ la sagoma smagliante del primo fico,/ quello che annuncia il colore/ di un tempo nuovo, dove l’amore e il sangue/ si confondono in un'unica ferita.”

Una elegia che cerca l’essenza, gli squarci, il lampeggiare dell’indefinito per contemplare i misteri.

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