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Gianni Rescigno, Nessuno può restare, Ed. Genesi, 2013

Antonio Spagnuolo

 

Sarebbe opportuno ogni tanto riflettere sullo statuto speciale del libro non letto , del libro che viene trascurato dalla critica e dalla pubblicità , non perché non valido , ma perché non ha trovato l’ora della leggibilità ed è in attesa di esser letto. Ora più che mai bisognerebbe dedicarsi ai libri che invece esigono di esser letti , proprio perché sono fuori dalle infami classifiche dei libri più venduti e - si presume erroneamente – più letti. Da più parti le grandi case editrici, per lo più del Nord, sfornano volumi che cercano o hanno fortuna soltanto perché firmati da personaggi dello spettacolo, della TV, del giornalismo, dello sport,e molto spesso senza una valida sostanza culturale che li renda esemplari. Questo che dico è soltanto per avvalorare la necessità di inseguire anche quei volumi della editoria minore, che molte volte , fortunatamente , sono degni di essere letti e di essere diffusi. E ancor più se parliamo di poesia.

La poetica , anche se inseguita così poco dal pubblico disattento se non addirittura nemico , ha attraversato negli ultimi decenni varie fasi di destrutturazione del linguaggio, cercando nelle varie possibili espressioni di non immobilizzare, per non essere sconfitta dall’insorgere di linguaggi aberranti, e spesso attingendo energia da esperienze emotive già salde per eredità classiche definitivamente assorbite, sia come cristallizzazione di una carica energetica, sia come conoscenza razionale che sopravvive, e che sopravvive alla rivoluzione telematica che cerca di mettere nel cassetto il discorso poetico inteso come discorso lirico pronunciabile.

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C’è in queste nuove poesie di Gianni Rescigno un alone che rispecchia la luce della parola , scelta come racconto della propria vicissitudine quotidiana , tra il dono delle pieghe d’amore e il solfeggio delle note della memoria. Le ragioni sentimentali o le concretezze del racconto si adagiano nelle sembianze della fascinazione, per cui il sorriso o la carezza, la malinconia o l’illusione vengono proposte quasi come una sussurrata canzone , che ama gli accenni del ritmo.

“Non passa giorno / che non ho per te/ pensieri d’amore./ Devo tutto al tuo albero / che non si stancò di fruttificare/ pazienza e ore di attesa, / E le primavere da cui/ presi odori e profumi / furono abbondanti di fiori./ Molto ti devo:/ erano dolcissime le drupe / maturate con sapienza di sguardi/ e lampi di fede./ Tu sei nei miei giorni/ venuti dai tuoi / seminati lungo stagioni di spighe, / tu mia luna con passo di piuma / fino ad arrivare al mattino.”

La sosta coinvolge ed il coinvolgimento è la rete stessa della esistenza giornaliera, che vuole testimoniare il bisogno di rincorrere un incanto o di ripetere gesti che la persona amata riesce a realizzare.

Anche il pensiero ha le sue necessarie parole per riprendere quelle fascinazioni che la psiche suggerisce , sospesa tra le interrogazioni e le immaginazioni, nelle dimensioni che spezzano regolarmente l’incanto per situarsi nell’intimo della persona, nel cuore, nella realtà che circonda.

Così anche il pianto ha quella lacrima improvvisa che riesce a sospendere il sussurro di chi viene rapito improvvisamente , e nel ricordo delle movenze della carne sembra che possa sopravvivere per raccontare ancora qualche cristallo riflesso fra le palpebre.

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In una interessante pagina de “Il piacere” Gabriele D’Annunzio scrive : “Il verso è tutto. Nella imitazione della natura nessun istrumento d’arte è più vivo, agile, acuto, vario, multiforme, plastico, obbediente, sensibile, fedele. Più compatto del marmo, più malleabile della cera, più sottile d’un fluido, più vibrante di una corda, più luminoso di una gemma, più fragrante d’un fiore, più tagliente di una spada, più flessibile di un virgulto, più carezzevole di un murmure, più terribile di un tuono, il verso è tutto e può tutto. Può rendere i minimi moti del sentimento e i minimi moti della sensazione, può definire l’indefinibile e dire l’ineffabile , può abbracciare l’illimitato e penetrare l’abisso, può avere dimensioni d’eternità, può rappresentare il sopraumano, il soprannaturale, l’ultramirabile, può inebriare come vino, rapire come un’estasi, può nel tempo medesimo possedere il nostro intelletto, il nostro spirito, il nostro corpo, può infine raggiungere l’Assoluto. Un verso perfetto è assoluto , immutabile, immortale, tiene in se le parole con la coerenza del diamante, chiude il pensiero come un cerchio preciso che nessuna forza mai riuscirà a rompere, diviene indipendente da ogni legame e da ogni dominio, non appartiene più all’artefice, ma è di tutti e di nessuno, come lo spazio, come la luce, come le cose immanenti e perpetue…” Con tale e per tale luminosa interpretazione della poesia non resta che immergersi in toto nella lettura di versi e di musicalità, che riescano a coinvolgere il poeta e il fruitore. Si tenta allora una revisione di quanto avviene negli ultimi decenni.

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Rescigno ha una lunga e brillante carriera di poeta, poeta dotato di una squisita sensibilità per il suo sommesso e valido contributo di scrittura , e la sua costante ricerca della “parola” permette di riproporre e proporre le più varie sfaccettature della composizione immaginativa. E non va dimenticato il “calore” della sua terra nativa, sempre e comunque presente fra i versi , nel sommesso e profondo rammentare la palpabile gioia delle luci , dei riflessi , delle sfaccettature, dei profumi , che accompagnano tanti ritratti e tante rievocazioni.

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