Anita Piscazzi, Maremàje, Ed. Campanotto, 2012
Antonio Spagnuolo
Le immagini si susseguono in un tessuto serrato , nel quale ogni parola sembra essere cesellata per sospingere lo sguardo e l’ascolto verso figure che richiamano armonie. La fragile primavera ha colori che mutano a seconda del pensiero poetante, in merletti ricuciti sottovoce, quasi sussurri che a stento rimuovo il silenzio, mentre l’urlo di una preghiera – a volte - cerca di smuovere la quotidiana inerzia degli umani : “Contro l’ira degli uomini mi velo / di Maria e urlo preghiere:/ c’è vuoto sulla croce…” . Anita riesce a descrivere con una maestria tutta propria e ricercata le lacerazioni che trafiggono il corpo di Cristo , tra il pianto della Veronica o la delicatezza di una Maddalena, per rinascere al di là degli altari e al di là delle miserie dell’ignavia. La terra , la sua terra , ritorna alle memorie più volte per raccontare la sete dei campi o i deliri dell’inverno, quando l’ansia del “ginocchio” si piega alla sospensione dei venti.