Alessandra Ponticelli Conti, Alla fermata dell'anima, Ibiskos Editrice,2010
Antonio De Marchi-Gherini
Con un ’attenzione
prioritaria agli ’ultimi’, a quelli che non entrano nella storia, ma che sono
l’humus, il substrato che fa la storia delle moltitudini, cioè quella vera e non
ufficiale.
In questi fascinosi racconti, incalzanti nel ritmo e veloci nel dipanarsi della
trama.
Con una fotogrammetria quasi filmica, in piena sintonia con l’era dell’immagine
veloce che stiamo vivendo, ma si farebbe un torto all’autrice se non si sottolineasse
la pregnanza delle figure ben vive e presenti con una personalità marcata
seppure nel veloce tratteggio descrittivo, ma non si pensi ad un’arida
elencazione di fatti , situazioni e persone. Vi è una ricchezza quasi
certosina, un lavoro di bulino, una cesellatura che fa del dettaglio una sua
peculiarità ricca di affetti, sentimenti, paure a volte intense a volte quasi
taciute per pudore. L’incombere della morte fa venire alla mente certe
rappresentazioni medioevali dove la ’morte secca’ danza fra prelati e popolino
gozzovigliante e in festa, quasi a ricordarci che comunque quella è ciò che ci
aspetta, comunque si agisca e qualunque cosa si pensi sull’argomento.
E la solitudine presente come ossatura dei vari racconti non è altro che la
riproposizione del celebre aforisma di Cesare Pavese: la morte si sconta
vivendo.
Storie insomma, e citarne una tralasciando l’altra ci sembrerebbe scorretto,
’chè tutte portano ad un anelito: conservare nel cuore, nella mente, quali
preziosi scrigni, i ricordi piacevoli e tristi, passionali e mortiferi,
luminosi ed oscuri come gioielli da presentare ad un traghettatore di anime che
forse ci darà un lasciapassare per un aldilà meno opprimente, più leggero, per
vivere serenamente in quella luce gioiosa che a tratti fa capolino qua e là
nella tessitura narrativa dei racconti.
Certo sono racconti intimistici, come sottolinea la prefatrice alla raccolta,
ma nel senso alto del termine, direi quasi una sorta di neorealismo alla
Pasolini, quando la letteratura era forte e incideva sulle coscienze e sui
comportamenti, non come oggi che tutto scorre via veloce come acqua sui vetri.
La vera narrazione mette sempre a nudo l’anima, l’importante è che questa
delicata operazione serva allo scrittore ma anche al lettore.
E qui credo che Alessandra Ponticelli Conti abbia raggiunto pienamente
l’obiettivo, come si direbbe a scuola. Credo, in definitiva, che l’autrice
intenda la vita come un’altalena di gioie e di dolori che devono comunque
essere vissuti da tutti in ’interione animi’,senza bisogno di cause esterne,
ogniqualvolta la sua mente e il suo spirito entrano nell’assorbimento della
meditazione.
Uno stato di grazia che convive con il dolore o l’allarme che dir si voglia, ma
che è talmente forte e pregnante da orientare la pulsione vitale, contro il
prevalere di altri pensieri di morte e scomparsa.