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Lino Angiuli, L’appello della mano, Ed. Nino Aragno, 2010

Antonio Spagnuolo

Percorso lungo ed autentico, durato decenni , quello che Lino Angiuli, con il sapore della creatività più fervida, insegue , tra un processo di umana semplicità e una difesa assoluta della ricerca, nel senso più ampio che si possa immaginare.

Ancora una volta le sue poesie lasciano luminosamente storditi, sia per la severità della scrittura, sia per la ridefinizione di un apparente facile nucleo del dettato, che scherza ed ammicca in versi volutamente lunghi, o addirittura in pagine di prosa poetica.

Egli “pensa alla poesia come ad un raschio luminoso, a qualcosa che ripulisce e raccoglie; – scrive Daniela Marcheschi nella postfazione – pertanto la intesse anche di memoria, di cultura, di recuperi letterari in chiave parodica, come accade nelle serie ricche di verbi all’infinito, che richiamano alla mente la finezza e i toni di sereno piacere delle corone” dei mesi del medievale Folgore da San Gemignano, ma per portarli, rovesciandoli, nella dimensione tutt’altro che fine e beatamente calma del basso materiale e corporeo”.

Siamo tutti corpi composti di materia forgiata da un misterioso fabbro , ove gli atomi si fondono e non esplodono, in sequenze di spazi, che dal più profondo silenzio irrompono a seguire quei vapori che travolgono per i contrassegni dell’infinito.

“Dovete sapere che mai e poi mai il cuore mio / spatrierà vivo o morto dal luogo del tempo / dove succhiai il latte e la luce insieme a voi / pure se adesso avete perso sonni e fantasie / e tirate diritto al capostrada davanti al duro / mestiere del corbezzolo selvaggio ebbene / dovreste ormai saperlo che una banca non vale / quanto il sorriso di vanna allorquando usciva / per andare incontro al suo primo bacio / con l’amore di basilico fresco nella bocca / perciò il giorno che dicembre allungherà la mano / voi ve ne verrete insieme a me sopra la scopa del / maestrale spingendo al pascolo nubi zuccherine / dopo aver lucidato i lastri di quella finestra che / dà sul largo dei nostri megli ricordi in carneossa.”

La coagulazione si svolge tra la visibilità della significazione e l’invisibilità di ciò che non è significato, in rapporto a successioni e stratificazioni che arricchiscono la pagina di un verosimile, che non è altro se non il filtro dell’esistente avvolto nella cronaca.

Non appare alcun valore misterico, ma l’enfasi della parola, che Lino Angiuli strappa alla sospensione, diviene metafora iniziatica , quasi che il poeta stesso giochi sul controllo razionale dell’operazione per lasciarsi trascinare dalle onde sonore della sorpresa e della lirica.

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